giovedì 29 gennaio 2009

Specchio delle mie brame


Rubens: Venere allo specchio c. 1615
Collezione Lichtenstein, Vienna


Specchio delle mie brame

di Solimano


In questo anno e mezzo di esperienza con Abbracci e pop corn, mi sono accorto di quanti specchi ci sono nei film. Qualche regista esagera, per manierismo, esibizionismo, narcisismo e così via. Ma frequentemente lo specchio, utilizzato in tanti modi diversi, fa il punto della situazione in cui si trovano i personaggi del film, più le donne che gli uomini. Non voglio fare critiche, tantomeno costruire un piccolo sistema che camminerebbe sugli specchi. Racconto brevemente cosa succede in venti film, che dispongo in ordine cronologico di data di realizzazione.
Sì, ma nella pittura, arte gemella del cinema sotto tanti aspetti, ci sono gli specchi? Sì che ci sono, ma molto meno che nel cinema. Però... avete riflettuto sul fatto che quasi ogni pittore ci ha lasciato degli autoritratti? Ci penserò, intanto occupo il posto mettendo due specchi di Venere del mio amato Pieter Pauwel Rubens. Buona visione ed ampliate le immagini, come al solito.


Duck Soup (1933) di Leo McCarey

Lo specchio non c'è: l'ha infranto Harpo, che si è travestito da Groucho e che imita i movimenti del fratello per fare in modo che non si accorga della sparizione dello specchio. Però Groucho ad un certo punto capisce e si volta verso di noi per dirci che se n'è accorto e che non si farà fregare. Ad Harpo cade il cappello ed è Groucho a raccoglierlo. I due si scambiano anche di posizione, passando attraverso lo specchio (che continua a non esserci). Il gioco del doppio si interrompe quando arriva Chico, travestito anche lui da Groucho: in tre non si può...


Sylvia Scarlett (1935) di George Cukor

E' un bel problema, quello di Sylvia Scarlett (Katharine Hepburn). Fa parte di una banda di quattro imbroglioni, gli altri tre sono suo padre Henry Scarlett (Edmund Gwenn), Jimmy Monkley (Cary Grant) e Maudie Tilt (Dennie Moore). Hanno scelto il nome di Pierrots e tutte le sere fanno un piccolo spettacolo vicino al mare. Sylvia ha dovuto travestirsi da maschio, e c'è riuscita benissimo, tutti ci credono. Solo che una sera durante lo spettacolo litiga con un disturbatore, Michael Fane (Brian Aherne), che è un pittore giovane e ricco. Sylvia se ne innamora, ma Michael crede che lei sia un ragazzo. In questo momento si sta guardando nello specchio; è infastidita dalla sua identità maschile e non sa come fare per liberarsene (tranquilli, la cosa si aggiusterà).


Lo sceicco bianco (1952) di Federico Fellini

A Wanda Giardino in Cavalli (Brunella Bovo) sembra di toccare il cielo con un dito. Scriveva con lo pseudonimo di Bambola appassionata allo Sceicco bianco (Alberto Sordi), l'eroe del fotoromanzo che legge con passione. Quando si sposa con Ivan Cavalli (Leopoldo Trieste), viene a Roma in viaggio di nozze, con la segreta speranza di conoscere lo Sceicco bianco. E' andata al di là delle previsioni più rosee: non solo l'ha conosciuto (il nome vero dello Sceicco è Fernando Rivoli), ma partecipa alla realizzazione del fotoromanzo sulla spiaggia di Fregene. Ha un ruolo da baiadera, ed è contenta di rimirarsi nello specchio rimediato sul set. Ha persino una spalla scoperta. Lo Sceicco l'ha aiutata a truccarsi ed adesso la vuol portare in barca. Intanto suo marito Ivan la sta cercando per tutta Roma, ma Bambola appassionata per il momento ha altro per la testa.


La provinciale (1953) di Mario Soldati

Gemma Foresi (Gina Lollobrigida) vive con la madre che fa l'affittacamere, ma durante l'estate frequenta gente di alto livello. Adesso si scrive con Paolo Sartori (Franco Interlenghi) che farà il medico, ma chissà perché la madre di Gemma (Nanda Primavera) non è contenta. A Gemma sta stretto il posto dove vive, c'è persino un professore, Fabrizio Vagnuzzi (Gabriele Ferzetti) che le fa goffamente la corte, ma Gemma sa cosa direbbero quelli del suo giro estivo di uno come Vagnuzzi, sempre immerso nei libri. Ambiziosa e sicura del fatto suo, si sta contemplando mentre mette a posto un vestito, fra le labbra stringe una spilla.


Les Vacances de Monsieur Hulot (1953) di Jacques Tati

Monsieur Hulot (Jacques Tati) è in vacanza al mare. Alloggia in una pensione familiare in Bretagna. Si aggira per la pensione, si vede in uno specchio e si fa una faccia. E' uno fatto così.


Sorrisi di una notte d'estate (1955) di Ingmar Bergman

Anne Egerman (Ulla Jacobsson) è molto giovane e si è sposata col vedovo Fredrik Egerman (Gunnar Björnstrand), ricco e maturo. Anne è timida, non ha ancora fatto l'amore col marito, che aspetta pazientemente che Anne si svegli. Intanto, Frederick continua a frequentare la sua amante storica, l'attrice Desirée Armfeldt (Eva Dahlbeck). Anne va d'accordo col figlio di Frederick, che si chiama Henrick (Björn Bjelfvenstam) e studia teologia. Henrick è ancor più timido di Anne, che ha notato con fastidio che la cameriera Petra (Harriet Andersson) provoca Henrick, che è tutt'altro che insensibile. Anne si guarda nello specchio e le viene di fare un movimento col braccio che suo marito Frederick non vede, altrimenti si occuperebbe di più di lei.


Picnic (1955) di Joshua Logan

Oggi c'è il grande picnic. Lo fanno tutti gli anni prima della riapertura delle scuole, e Madge Owens (Kim Novak) ha indossato l'abito rosa, il più bello che ha. Di abiti non ne ha molti, per il momento, ma prima o poi si sposerà con Alan Benson (Cliff Robertson), che è il giovane più ricco del paese mentre Madge lo sanno tutti che è la più bella. Lo sa anche sua sorella Millie (Susan Strasberg), più giovane di lei, che ha provveduto a sé con una borsa di studio per l'Università. Invece Madge non ha studiato, con quell'aspetto non ne aveva bisogno. Sua madre Flo (Betty Field) si preoccupa continuamente che tutto vada bene fra Madge ed Alan, e così andrà sicuramente anche oggi, al picnic dell'anno. Alan ha invitato un suo amico, Hal Carter (William Holden), che ha fatto il giocatore di rugby e adesso sta cercando un lavoro. Alan lo assumerà nella ditta di famiglia, è bello far del bene ad un amico tenendolo sotto.


Bonjour tristesse (1958) di Otto Preminger

Cécile (Jean Seberg) sta sfogandosi con se stessa di fronte allo specchio della sua camera, nella casa sulla Costa Azzurra di suo padre Raymond (David Niven) che lei chiama sempre per nome, Raymond, perché è il suo migliore amico, quasi un amante platonico. Prima tutto andava così bene... Nella casa c'era anche Elsa (Mylène Demongeot), l'amante in carica di Raymond, bellissima, ma non impegnativa: su di lei Cécile e Raymond ironizzavano fra di loro. Ma adesso è arrivata Anne Larson (Deborah Kerr) , famosa stilista di moda, e Raymond non le racconta niente, si parla addirittura di matrimonio. Anne ha invaso anche la vita di Cécile, mette il naso sui suoi rapporti con Philippe (Geoffrey Horne) e vuole che Cécile studi per gli esami d'autunno. Che fare? Cécile decide, davanti allo specchio: farà in modo che Philippe ed Elsa fingano un flirt, così Raymond si ingelosirà e tornerà a far la corte ad Elsa. Cécile conosce bene Raymond. Ma non sa come è fatta Anne...


Fantômas (1964) di André Hunebelle

La fotografa Hélène (Mylène Demongeot) è stata rapita dal misterioso criminale Fantômas(Jean Marais), ma non se la prende più di tanto. Ammira nello specchio se stessa e il bel vestito che le ha fatto avere il galante criminale. Non le par vero di non essere vestita da fotografa, sicuramente un abbigliamento meno chic. Per il resto, è tranquilla: sicuramente il suo fidanzato Fandor (Jean Marais) riuscirà a liberarla, ma anche se ci mettesse qualche giorno in più Hélène se ne farebbe una ragione. Sulle tracce del criminale sta investigando anche l'efficiente Commissario Juve (Louis de Funès), che con Fantômas ha un chilometrico conto aperto.


Giulietta degli spiriti (1965) di Federico Fellini

Suzy (Sandra Milo) è nel suo nido arboreo nella pineta di Fregene. Il nido è dotato persino di ascensore, e poco fa Suzy ha fatto salire una sua nuova amica: Giulietta Boldrini (Giulietta Masina). Le due donne sono molto diverse: Suzy è una mantenuta d'alto bordo, provocante e disponibile, Giulietta è una signora trascurata dal marito Giorgio (Mario Pisu), che probabilmente la tradisce.
Suzy sta facendo specchietto: se vede qualche giovane uomo che la interessa, attira l'attenzione mandandogli il sole negli occhi, e successivamente mostrandosi nello specchio, in modo che si facciano una buona idea e salgano con l'ascensore. Scrivo al plurale, perché adesso Suzy ne ha trovati due, ma non si spaventa. Giulietta invece si preoccupa e scende con l'ascensore dal nido arboreo, ma l'ascensore tornerà su quasi subito, con due passeggeri. Suzy li attende a più fermo.


La collectioneuse (1967) di Eric Rohmer

Adrien (Patrick Bauchau) sta parlando con Haydée (Haydée Politoff) che lo guarda tre volte, una direttamente, due con lo specchio.
Adrien è un mercante d'arte, che con l'amico Daniel (Daniel Pommereulle) sta passando un po' di giorni in una casa non lontana dal mare.
In questa casa c'è anche Haydée, che ogni sera torna con un ragazzo diverso, è questo il suo tipo di collezionismo. All'inizio Adrien e Daniel si divertono a prendere in giro Haydée ed i suoi occasionali amici, ma adesso la situazione è cambiata, perché Daniel ha ceduto, entrando nella schiera degli amici di Haydée. Poi Daniel è partito ed ora si trovano di fronte, anzi di specchio, Adrien e Haydée. Apparentemente non c'è match, Adrien è colto, ricco, bello, ironico, elegante, spiritoso. Haydée, a parte la bellezza di tipo ruspante, di qualità ne ha una sola: è naturale. Chi vincerà?


L'Odissea (1968) di Franco Rossi

Ai tempi di Omero, non credo che ci fossero specchi, salvo smentita. Ma Franco Rossi, nel film L'Odissea che uscì prima come sceneggiato TV, aggira l'ostacolo: basta lucidare un bel vassoio di metallo e il gioco è fatto. Arete (Marina Berti), seduta dall'altra parte del tavolo, sta ascoltando Ulisse (Bekim Fehmiu) che racconta le avventure dei viaggi che ha fatto, prima di arrivare all'isola dei Feaci. Arete è la mamma di Nausicàa (Barbara Bach) che ogni tanto ascolta anche lei le avventure di Ulisse. Entrambe non si rassegnano al fatto che Ulisse voglia ripartire. Ma perché, Ulisse? Non ti trovi bene, con Arete e Nausicàa?


Morte a Venezia (1971) di Luchino Visconti

La giovane prostituta Esmeralda (Carole André) ha appena ricevuto la visita di Gustav von Aschenbach (Dirk Bogarde), il musicista che sta trascorrendo a Venezia un periodo di riposo. Esmeralda la si vede anche nello specchio sopra il letto, specchio che era usuale nei postriboli di lusso. Vorrebbe che Gustav tornasse ancora da lei, ma il musicista non tornerà. Anche la nave con cui Gustav è arrivato a Venezia si chiama Esmeralda, e quando Gustav la conosce, la ragazza sta suonando il pianoforte (e lo suona bene).


Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola

Il 6 maggio 1938, Antonietta (Sophia Loren) è rimasta sola in casa: il marito Emanuele (John Vernon) ed i sei figli sono tutti alla manifestazione oceanica per l'incontro a Roma fra il Duce e Hitler. Antonietta sta sistemandosi meglio che può davanti allo specchio, gesti forse per lei non più usuali. Ha conosciuto poco prima un condomino, Gabriele (Marcello Mastroianni). Il tramite è stato un merlo, fuggito dalla gabbia di Antonietta e che è andato a posarsi sul davanzale di Gabriele. Antonietta e Gabriele, in quel giorno, si troveranno ancora.


Mignon è partita (1988) di Francesca Archibugi

Mignon (Céline Beauvallet) ha quindici anni ed è cresciuta in Francia. Adesso è ospite di una famiglia di parenti a Roma, e non si trova bene. Ha fatto amicizia col cugino Giorgio (Leonardo Ruta), che ha solo tredici anni. Giorgio si è innamorato di Mignon che però andrà con Cacio (Lorenzo De Pasqua), un ragazzo ignorante ma più grande di lei. Adesso si sta aggiustando il cerchietto per i capelli davanti ad un grande specchio decorato da ragazze e ragazzi che Mignon sente come estranei.


Le mari de la coiffeuse (1990) di Patrice Leconte

Antoine (Jean Rochefort) e Mathilde(Anna Galiena) stanno guardando se stessi in uno specchio che non si vede perché è dalla nostra parte. Lo fanno seri ed intenti, perché Mathilde sta lavorando: taglia i capelli ad Antoine, una delle cose che lui ama di più. Fin da quando era bambino, i capelli glieli tagliava una donna. Antoine è quindi assolutamente felice perché ama Mathilde e sa che Mathilde lo ama. Anche Mathilde è felice, ma...


Wild at Heart (1990) di David Lynch

Lula Fortune (Laura Dern) nel film piange spesso, ma oggi è contenta: tutto sta andando bene fra lei e Sailor Ripley (Nicolas Cage). Gli ostacoli che ha frapposto soprattutto la madre di Lula, Marietta Fortune (Diane Ladd) non sono riusciti ad allontanare Sailor e Lula. Non ci riuscirà neppure Perdita Durango (Isabella Rossellini). Lula non si guarda nello specchio, che semplicemente raddoppia la sua contentezza.


Cyrano de Bergerac (1990) di Jean-Paul Rappeneau

Roxane (Anne Brochet) si è appena alzata e sta accudendo a sé nella sua camera. Ha scelto la collana che vuole mettersi e fra poco entrerà da lei il potente Comte de Guiche (Jacques Weber). Roxane sa che deve riuscire a tenerlo a distanza senza indispettirlo, perché può danneggiare il suo amato Christian de Neuvillette (Vincent Perez). Per il suo amore, Roxana ha chiesto l'aiuto di suo cugino Cyrano de Bergerac (Gérard Depardieu). Sul momento l'ha visto un po' perplesso e non ne ha capito il motivo, visto che il cugino è stato sempre generoso con lei, ma adesso Cyrano sta aiutando lei e Christian in tutti i modi. Roxane certamente pensa che è bello avere un amico che ti aiuta in modo così disinteressato.


L'amore molesto (1995) di Mario Martone

Lo sguardo duro e deciso di Delia (Anna Buonaiuto) vestita di rosso, che solo ora ha imparato com'era realmente sua madre Amalia (Angela Luce) e com'era stata Amalia da giovane (Licia Maglietta). Delia, durante il film, imparerà a somigliare ad Amalia.


Il più bel giorno della mia vita (2002) di Cristina Comencini

Gli sguardi tormentati di Rita (Sandra Ceccarelli), che deve scegliere se restare col marito Carlo (Marco Baliani) o mettersi con Davide (Jean-Hugues Anglade), di cui non è ancora l'amante. Poi, ci sono i problemi delle figlie Silvia (Francesca Perini) e Chiara (Maria Luisa De Crescenzo), della madre Irene (Virna Lisi) e della sorella Sara (Margherita Buy). Ma per Chiara, il giorno della prima comunione dovrà essere il più bello della sua vita.


Rubens: Toeletta di Venere (part) c.1608
Collezione Thyssen Bornemisza, Madrid


domenica 25 gennaio 2009

Limericks e favole (II)


Mazapegul



VI
Un tamburino bizzarro di Brema
quattro bovini maschi comprò a Crema:
a ritmo li bacchetta,
così una musichetta
gaia va col suona-tori di Brema.

VII

Orfana ballerina di Nonantola,
con la matrigna perfida e tarantola,
calzata di cristallo
lui conquistasti al ballo,
mentre d'invidia l'altra, a cena, rantola.

VIII

Un gigante di Castiglion Fibocchi
infestato dal capo fino agli occhi
da mille falegnami
coi loro figli strani,
la testa si grattava dai Pinocchi.


IX

Tre re dell'isola di Santorini
le mani han nel ragù fino ai polsini.
Un cameriere attonito
(respinge a stento il vomito)
osa pensar: "Ecco i re porcellini."

X

Fece un'orsa d'Alaska di Bethel
un igloo di cassate a zia Ethel:
voleva la zia
che -persi per via-
arrivassero lì Hansel e Grethel

martedì 20 gennaio 2009

As time goes bye




As time goes bye

di Roby



A volte basta un'occhiata allo specchio del bagno, la mattina, per capire con immediata, spaventosa chiarezza l'ineluttabile verità che tutti ci accomuna: il tempo corre e va, inesorabilmente, e niente potrà modificare quello che è -ahimè- un dato di fatto tra i più incontestabili.
Le piccole rughe ai lati della bocca una volta non c'erano...
I capelli non avevano bisogno di ritocchi per mostrare riflessi ramati...
La curva del ventre appariva solo lievemente rotonda, non desolatamente rilassata... "Sembra che un bradipo ti stia abbracciato alla pancia!" dice scherzando il mio consorte, facendomi contemporaneamente sorridere e dolere.

Il tempo fugge, e si fatica non poco a stargli dietro. L'immagine interiore che abbiamo ancora di noi non corrisponde più (non del tutto, almeno) a quella esteriore, che lo specchio impietoso ci rimanda.
La sabbia della clessidra scorre lenta ma inarrestabile, e presto qualcuno dovrebbe pensare a rivoltarla, per ricominciare da capo.

Già: ricominciare. Vorrei davvero rivivere tutto il vissuto finora? Capricci con la mamma davanti all'imposizione della braciolina di vitella, bisticci con la compagna di banco antipatica delle elementari, brutti voti in matematica alle medie, delusioni amorose al liceo, e poi esami esami esami a ripetizione, dall'università fino a ieri mattina...

"Mi piacerebbe tornare alla giovinezza" diceva serafica la mia prof di lettere del ginnasio "avendo però l'esperienza di adesso." Ed aveva perfettamente ragione.
Ve l'immaginate, la goduria di poter rispondere a 12 anni, all'arcigna insegnante di applicazioni tecniche femminili, che del lavoro all'uncinetto non me ne frega un'emerita ****, e che con i campioncini di ricamo a punto croce può anche pulircisi il ****?

E alla (falsissima) amica del liceo che ti dà consigli per il tuo bene su pettinatura e vestiti, giudicando il tuo stile troppo monacale, sarebbe uno spasso ribattere: "Tesoro, io sono carina anche così, mentre a te -senza quel quintale di fondotinta, quei capelli cotonati e la minigonna inguinale- chi ***** ti guarderebbe???"


Ma questi, in fondo, sono solo giochi metafisici, equilibrismi della mente.
La realtà è che ore giorni mesi anni decenni stanno veramente scorrendo rotolando svanendo, un minuto dopo l'altro, lasciando segni sempre più marcati, fuori e dentro di me.
Ricordate la vecchia rubrica televisiva Almanacco del giorno dopo? "Il tempo corre e va: solo ieri era venerdì, e domani è già domenica...". E' vero -pensavo da ragazzina, affascinata da tale lapalissiana constatazione- ieri avevo una paura matta del compito in classe di greco, e domani invece vado al cinema a vedere Jesus Christ Superstar: che ganzata!!!

Una miriade di immagini riemergono dal passato, alcune piacevoli, altre meno; molte nitide e vive, alcune sfuocate e indistinte; e insieme ad esse, l'audio di sottofondo mi rimanda una colonna sonora fatta di voci, risate, rimproveri, richieste, promesse non mantenute, giuramenti infranti, confidenze esclusive, segreti di Pulcinella, grida di rabbia, pianti di delusione, urla di felicità.

Per non esserne sopraffatta, devo abbassare il volume, tapparmi le orecchie, pensare ad altro.

E allora, ecco che arriva puntuale il dubbio: quante occasioni ho perso? A quante domande non ho saputo (o voluto) rispondere? Quanti treni ho lasciato partire, senza saltar sopra al volo? Proprio lì, affacciato all'ultimo vagone, il vecchio dalla barba bianca mi guardava, con la clessidra in mano, sussurrando beffardo le parole di Orazio: "Carpe diem...".

Quanti ancora me ne restano, di giorni da afferrare?

No, non voglio fare il menagramo, ma la realtà è quella che è.
Anche nella più rosea delle ipotesi, non si può negare che abbia vissuto già quasi due terzi della mia esistenza.
Ai tempi del buon padre Dante, la mezza età per gli esseri umani si aggirava intorno ai 35 anni, per cui io -al di lui cospetto- sarei apparsa nient'altro che una decrepita madonna. Devo quindi ritenermi fortunatissima di essermi trovata a vivere tra il XX e il XXI secolo, epoca di enorme progresso e di fantascientifici traguardi in tutti i campi, nella quale appare praticamente sicuro campare almeno fino agli 80 abbondanti.


Rimpianti e soddisfazioni, a ben guardare, sarebbero quasi pari sulla bilancia, se non fosse che un solo rimorso pesa più di quattro o cinque gioie messe insieme.
Una lettera a cui non ho risposto, se non quando era ormai troppo tardi... Una visita che avevo promesso di fare, ma al campanello della porta non rispondeva più nessuno... Un viaggio che volevo intraprendere, per il quale -se aspetto ancora un po'- non avrò più forze sufficienti...

Tuttavia, questo guardarsi indietro, osservando la scia lasciata dagli anni che furono, può nascondere anche aspetti positivi, dolci, persino teneri.
Come Ingrid Bergman in Casablanca, vorrei chiedere anch'io a Sam di suonarla ancora, la canzone del tempo che se ne va, e sulle sue note rivivere, senza malinconia ma con matura consapevolezza, i quadri animati del passato che s'illuminano uno dopo l'altro, per poi subito di nuovo oscurarsi.


Forse non c'è bisogno di farla tanto lunga, nè di piangersi tanto addosso, se l'adolescenza è trascorsa ormai da un pezzo e se l'ipotesi di esibire il bikini in spiaggia, la prossima estate, è nettamente da accantonare.
Il tempo va di corsa, perchè quello è il suo mestiere.
Di highlander immortali -come diceva Christopher Lambert nell'omonimo film - ne resterà solo uno: ed io, tutto considerato, non vorrei essere quello, condannato per l'eternità ad una vita "immobile".

Magari, come suggeriscono gli psicologi e come già sapevano benissimo i nostri antenati, prenderla con filosofia e buttarla sullo scherzo potrebbe essere la migliore tecnica anti-aging, a dispetto degli ultimi ritrovati in fatto di creme antirughe e chirurgia estetica.

E così, insieme all'ignoto blogger romanesco incontrato per caso su Google-immagini, io pure mi ritrovo a chiedermi, col minimo della serietà possibile:

Il tempo fugge, ma 'ndo' ca**o va?




venerdì 16 gennaio 2009

Il ponte a Venezia

Habanera

Venezia, vista dal ponte - gennaio 2009


Da tempo la parola ponte, almeno qui in Italia, fa pensare immediatamente agli amatissimi (e benedetti) giorni lavorativi compresi tra due festività.
Fin dall'inizio dell'anno è tutto uno studiare il calendario per vedere come siamo messi a ponti nei mesi a venire.
Quelli più auspicati sono naturalmente i ponti lunghi, quando, per una felice combinazione di date, si riesce a fare un'intera settimana di vacanza prendendo solo un paio di giorni di ferie.
In quel caso (crisi economica permettendo) si scatena la fantasia degli accaniti vacanzieri italiani.

Dove andiamo per il ponte di Sant'Ambrogio? si chiedono i milanesi che amano, da sempre, abbinare il giorno del loro Santo Patrono con la vicina festività dell'Immacolata per andarsene un po' in giro.
Se il 7 dicembre, Sant'Ambrogio, capita di martedì va di lusso, è un anno fortunato.
L'otto (mercoledì) è l'Immacolata, quindi festa nazionale, lunedì giovedì e venerdì si prendono di ferie ed ecco belli e pronti nove giorni di libertà. Tutti da godere, secondo i propri gusti ed il portafoglio a disposizione.
Si può aprire la stagione sciistica (vedi foto qui sotto), oppure ci si può scaldare al sole delle Maldive o a quello della più vicina Sharm El Sheik.
I patiti dello shopping sceglieranno New York, Londra o Parigi;
gli amanti dell'atmosfera natalizia faranno un giro nei paesi del Nord Europa, ricchi di bancarelle suggestive.

Madonna di Campiglio, dicembre 2004

I romantici irriducibili invece non avranno dubbi: per loro sempre e solo Venezia, tanto più affascinante quanto meno invasa e resa soffocante dai turisti.
Pazienza se sarà gelida, se ci sarà l'acqua alta, se il vento sferzante ti farà mancare il respiro, se togliendoti i guanti per manovrare la macchina fotografica rischierai di vedere le tue mani trasformarsi in due ghiaccioli insensibili e disobbedienti. Saranno comunque giorni indimenticabili perchè questa città o la ami o la odi e, se la ami, è d'inverno che la ami di più.

Tutto questo ho rischiato a Venezia giorni fa, non in un ponte, come quelli di cui ho parlato fin'ora, ma per un ponte, un ponte vero: quello dell'architetto catalano Santiago Calatrava.
L'ho visto in televisione quando è stato finalmente aperto e me ne sono innamorata subito. Dovevo assolutamente vederlo da vicino.
Così, incautamente, la settimana scorsa ho deciso di andare a Venezia. Arrivarci però è stata un'impresa ardua, una di quelle avventure che si raccontano ancora dopo anni ai nipotini, magari davanti al caminetto.
Erano i giorni della grande nevicata sul Piemonte e sulla Lombardia ed il treno proveniente da Torino per Venezia non è mai arrivato a Milano.
Non starò a raccontarvi tutte le mie peripezie ma alla fine, seppure con moltissimo ritardo, eccomi finalmente a Venezia.
Ed ecco il Ponte di Calatrava, in una luce quasi magica, irreale.

Venezia, Ponte di Calatrava - gennaio 2009

Splendido! Splendido già di suo, ma in particolare nel contesto in cui è stato inserito che certamente non è facile da addomesticare. Una bella sfida che è costata molte polemiche negli anni, al punto che questo ponte è stato inaugurato quasi in sordina, senza uno straccio di cerimonia ufficiale.
«Bellissimo!»: ha detto l'assessore al patrimonio Mara Rumiz, aggiungendo: «Si lega perfettamente con il resto della città. Questo ponte dà a Venezia una grande opera di architettura contemporanea: è uno stimolo per la città a non guardare solamente allo splendido passato, ma a vivere pienamente il presente e a darsi un futuro».

Io credo che abbia ragione e che il coraggio e la determinazione di chi ha voluto fortemente questo ponte sia stato ampiamente premiato.
I turisti lo ammirano e, quello che più conta, i veneziani già lo amano. Soprattutto lo usano! E' un continuo su e giù, veloce e familiare, e -cosa stranissima- quasi nessuno va sulla passatoia centrale che è in materiale antiscivolo. Macchè!
I veneziani camminano tutti allegramente sulla parte in vetro dove io, fifonissima, non ho messo piede neanche per un attimo, neppure per sbaglio.

Chissà cosa avrà pensato di me questa signora immortalata dal mio obiettivo che, incurante del vento gelido e del ghiaccio, affrontava spavaldamente il suo ponte in vetro in un meraviglioso tramonto veneziano.

Tramonto a Venezia - gennaio 2009


P.S. Le foto sono mie. Si consiglia di cliccarle per vederle ingrandite. Volendo si può anche applaudire.
P.P.S. La cucciola sullo slittino è la mia nipotina più grande, all'età di quattro anni, con la sua inseparabile Baba.
(Habanera)

domenica 11 gennaio 2009

Massimo Ferretti




Massimo Ferretti
(postato da Giuliano)


Massimo Ferretti (marchigiano, 1935-1974) l’ho incontrato per caso: tanti anni fa un quotidiano (La Repubblica) gli aveva dedicato una pagina, che ho conservato con cura per anni. Si trova sempre il tempo di parlare di tutto e di tutti, ma Ferretti è quasi dimenticato: e io continuo a chiedermi come può essere successo.



In questa trattoria di gente stanca
dove mangiare significa reagire,
dove la grazia d'una dattilografa
si percepisce nel tono delicato
d'un piatto di fagioli chiesto tiepido,
dove un viaggiatore analfabeta
emancipato per via dello stipendio
spiega a una turista anacoreta
che il rialzo dei biglietti ferroviari
dipende tutto da questioni atlantiche -
non ho ragione d'essere contento
se il cameriere lieto della mancia,
leggendo la commedia del mio viso
m'ha detto che ho una maschera da negro?
In questa trattoria di gente ottica
dove non so salvarmi dagli sguardi,
condannato al sentimento della morte,
serrato tra furore e timidezza -
non ho ragione d'essere felice
quando divoro una bistecca che fa sangue?

(Massimo Ferretti, In trattoria, da Allergia, 1962)



Il mio cuore è lo sparviero ardito
che nudrito di fiori e di verzura
a caccia fece pessima figura.
Il mio cuore è il rossignol sorpreso
ad accompagnar col flebile stromento
il lamento del porco sul suo peso....
Il mio cuore è un castello d'oro
dove una fata mestruata
sbatte due chiare d'uovo.
Il mio cuore è un tappeto verde
dove la vittoria è una storia
raccontata da uno che perde.
Il mio cuore è un mazzo di fiori
comprato al mercato del pesce
da un gruppo di vecchi signori.
...
Cuore che vinci e mi costringi a dire
tu vuoi uccidermi
ma io non so morire.

(Massimo Ferretti, da Sillabario, 1960)


Poesie tratte dal volume “Allergia” di Massimo Ferretti, pubblicato nel 1994 dall’editore milanese Marcos y Marcos.
Le immagini: Altobello Melone, ritratto di Lucrezia Borgia; due dipinti di Edward Hopper; una delle poche foto disponibili di Massimo Ferretti.




lunedì 5 gennaio 2009

I nostri occhi, prima


Carlo Crivelli: Annunciazione (part) National Gallery, Londra



I nostri occhi, prima

di Solimano


Abitavo a Parma e la domenica mattina passavo due ore nella Galleria Nazionale, che sta nel Palazzo della Pilotta, a meno di trecento metri da casa mia. La Galleria Nazionale la conoscevo bene, conoscevo anche i custodi, che ogni tanto mi lasciavano visitare i ricchi depositi dei quadri non esposti.
Fu lì che imparai che di fronte ad un quadro ci si può fermare a lungo, anzi, si dovrebbe farlo. Guardavo attentamente una ventina di quadri, non di più, tornando magari a guardarli la domenica successiva. Scoprivo ogni volta delle cose di cui prima non mi ero mai accorto.
A questo punto appare evidente perché ho scelto per questo post il titolo "I nostri occhi, prima": la fruizione e la comprensione artistica è tutt'altro che facile, richiede approfondimenti di ogni genere, ma è sbagliato non cominciare con l'esperienza di guardare i quadri o gli affreschi in un modo saggio e ingenuo: con gli occhi bene aperti, con disponibilità ad accorgersi di quello che c'è su quella tela o tavola o muro.
Il resto seguirà, ma se trascuriamo questo iniziale accorgerci, ciò che impariamo dalla guida o dai libri saprà di imparaticcio, di faticoso ed affaticante; soprattutto non trasmetterà la gioia, il piacere, la soddisfazione che invece ci possono dare quelle opere, se affrontate ad occhi nudi.
Giunsi al punto di entrare in musei in cui non ero mai stato e di fermarmi di fronte ad un'opera che non conoscevo senza guardare il cartellino con il nome dell'autore. C'è tanta roba di cui ci si può accorgere, perché sta lì, davanti a noi, vicino alla punta del nostro naso. In questo post inserisco tre esempi. E' indispensabile allargare le immagini, se si vuol seguire il procedere dell'accorgersi.

Sto scrivendo una serie di post in Stanze all'aria col titolo "Alla ricerca dell'arte perduta". Qualche tempo fa, ho inserito la Leda di Leonardo da Vinci, un quadro che non c'è più ma che ha lasciato tracce sia in disegni di Leonardo e di altri sia in copie eseguite da pittori non mediocri.
Una di queste copie è agli Uffizi, e l'ho guardata con particolare attenzione perché volevo individuare le differenze fra una copia e l'altra, per capirne i motivi ma ancor più per cercare di capire come fosse veramente la Leda leonardesca.

In alto a sinistra una grande rupe rocciosa che in cima diventa quasi pianeggiante. Qualche albero, due prati, alcuni animali accosciati. Nella rupe c'è una apertura in cui compare il cielo chiarissimo, in netto contraso col nero della rupe.
Le gradazioni di colore diverso nelle foschie dei lontani (così li chiamavano), la strada bianca e i tre gruppi di case bianche che cadenzano le distanze, il fiume che scorre sotto il gruppo di case più vicino a noi, e l'acqua di un altro ramo del fiume che si intravede fra le zampe del cigno, animale acquatico.
Le ondulazioni dei capelli della Leda, la doppia treccia: quella raccolta sul capo e quella che scende sul petto. Ancora sulla rupe l'albero sghembo e rigoglioso col tronco che esce in orizzontale, appena sotto la rupe il grande arbusto mezzo verde mezzo secco.
Il modo che ha l'ala destra del cigno di abbracciare il fianco della Leda, seguendo l'ondulazione del corpo, la cresta dietro la testa del cigno, quasi fosse un cigno-drago, l'ombreggiatura del pelo pubico della Leda, la forma dell'ala sinistra del cigno, con tre serie diverse di penne, ogni singola penna disegnata piuma per piuma.
Il ramoscello di fiori che tiene in mano la Leda, la forma circolare del corpo del cigno visto frontalmente, i tratti di rottura dei gusci delle uova, i quattro neonati che hanno forma ovoidale perché appena usciti dai gusci.
La Leda, che appoggia un piede sull'erba e che con l'altro piede non appoggia ma sfiora il terreno rioccioso, le erbe palustri che crescono in bordo al fiume che si intravede fra le zampe del cigno, il prato fiorito in primissimo piano davanti ai piedi della Leda.

Copia dalla Leda di Leonardo (part) Uffizi, Firenze

Il quadro "La taverna" di William Hogarth fa parte della serie di otto quadri che attualmente sono al Soane's Museum di Londra e che vanno sotto il nome "La carriera del libertino". La serie fu eseguita negli anni 1733-35 ed ogni quadro è di 62,5 x 75 cm. Una ottima descrizione è riportata nel volume dedicato ad Hogarth della collana I classici dell'Arte Rizzoli Editore, Milano 1967. In questo caso la presentazione è di Gabriele Baldini e gli apparati critici e filologici sono di Gabriele Mandel. Traggo alcuni brani dalla sua presentazione del quadro:

"Un locale nella "John Bonvine at the Rose Tavern Drury Lane", come è scritto in un grande piatto di peltro (vedi sotto), la taverna a Bridge Street demolita nel 1776. Il libertino siede alla destra d'una gran tavola rotonda: ha lo spadino infilato di traverso e, ai piedi, la lanterna ed il bastone d'una guardia notturna, segno che ha appena partecipato ad una rissa nella strada: due prostitute stanno rubandogli l'orologio, che segna le 3; alle loro spalle, una negra; al centro, un'altra mondana schizza liquore (gin, si vuole) in faccia ad una compagna (si sa che Hogarth aveva assistito ad un episodio del genere, in compagnia di F. Hayman); fra le due, una coppia in tenerezze; in fondo, una donna sta vandalicamente bruciando una carta geografica coi due globi, marcata "Totus Mundus": presso l'uscio un arpista e un trombettiere intrattengono i convitati.

William Hogarth: La taverna 1733-35 Soane's Museum, Londra

Più a sinistra, una cantante da strada, incinta, intona "Blake loke", una ballata sconcia; con lei, il cameriere della taverna, soprannominato Leather Coat (giacca di cuoio), famoso per la robustezza delle costole, che metteva a dura prova facendosi passar sopra una carrozza; quest'ultimo reca il gran piatto di peltro suddetto e una grossa candela: l'uno e l'altra riguardano la donna in primo piano, che si sta spogliando (come riferiscono le cronache, essa ballava nuda sul piatto posto al centro della tavola, al lume di candela). Alle pareti, una serie di imperatori romani, dal viso strappato, meno quello di Nerone."


Del'Annunciazione di Carlo Crivelli, conservata a Londra nella National Gallery, inserisco quattro immagini, anziché le due degli altri quadri, perché è un quadro ricchissmo di particolari. Il quadro fu eseguito nel 1486 per la chiesa dell'Annunziata di Ascoli Piceno e reca in fondo la scritt LIBERTAS ECCLESIASTICA perché nel 1482 Papa Sisto IV aveva concesso l'autonomia amministrativa alla città. Facendo salire lo sguardo appena sopra questa scritta, dopo aver incontrato una mela ed un cetriolo, sui basamenti dei pilastri a destra ci sono due scritte: la prima è la firma del pittore: OPUS CAROLI CRIVELLI VENETI, la seconda è la data: 1486.
I pilastri (che sarebbe meglio chiamare lesene) inquadrano la stanza della Vergine. C'è una porta a due ante per accedervi, di un'anta si vede solo lo stipite, l'altra la si vede in prospettiva ed ha una decorazione a candelabre analoga a quella delle lesene. La Vergine è inginocchiata davanti ad un leggio su cui c'è un libro, un codice miniato, nelle mani della Vergine si vede un modo rappresentativo usuale nel Crivelli: il mignolo distaccato dalle altre dita e il medio e l'anulare congiunti. Il leggio è in legno schietto, si vedono le rigature, analogamente in legno sono i pannelli in fondo alla stanza. Il letto, a cui si accede per una scaletta, ha tre cuscini gonfi e una coperta verde scuro con ricami dorati. Più in alto ci sono stoviglie, ampolle, un candelabro e dei libri. Tutto si vede perché il tendaggio rosso è scostato. Il soffitto è a cassettoni con dorature. Poco oltre l'attaccatura dei capelli della Vergine(che le arrivano fino alla cintura) c'è un diadema, su cui arriva un raggio. L'uccello bianco circondato da raggi dorati è lo Spirito Santo. Il raggio penetra nella stanza attraverso un foro appositamente praticato nel fregio che divide il piano nobile dal pianterreno del palazzo. Sul pavimento a sinistra, al di fuori del palazzo, sono inginocchiati l'Angelo Gabriele e Sant'Emidio, il patrono di Ascoli, che regge il modelletto della città turrita. Non vedono la Vergine, perché sono davanti al muro, la finestra con la grata è più in là, basta guardare i quadrati sul pavimento. Sono lì per mostrarsi a noi, difatti sia l'Angelo che il Santo hanno gli arnesi d'ordinanza; l'Angelo ha il giglio, il Santo i paramenti da Vescovo. La prospettiva della strada non è costruita solo dagli edifici, ma dai corpi delle persone, scalate in profondità. Le persone sono disposte a varia altezza sulla superficie del quadro, ed ogni persona ha un suo atteggiamento e una sua disposizione: frontale, di schiena, fermo, in movimento. Tre persone sulla sinistra dialogano (due frati e un laico), un bambino biondo con la cuffia si sporge dal terrazzino facendo ombra sulla ringhiera marmorea. Procedendo nel quadro, c'è un uomo di profilo con un maestoso manto marrone e il cappello rosso; si intravede, appena più in là sulla sinistra, una donna giovane che sta diritta perché trasporta un recipiente sulla testa.

Comincia un altro palazzo. Attraverso il grande ingresso ad arco trionfale (c'è anche un medaglione circolare), si entra in un cortile, però prima si incontra un uomo giovane con i capelli biondi e ricci: tiene una mano sul fianco e con l'altra si fa solecchio sopra gli occhi. Nel cortile, altre persone, che camminano o conversano; in fondo al cortile una grata si apre nel muro con merli ghibellini. Dietro, quattro piante, tre conifere e una latifoglia, con le cime diversamente orientate. Salendo con lo sguardo, si scorge il loggiato sopra il palazzo. Un uomo vestito di nero ha di fronte un libro, che sta su un tappeto steso sulla ringhiera del loggiato. L'uomo ha in mano una missiva che probabilmente gli ha portato un altro uomo che sporge in avanti la mano. Sulla ringhiera del loggiato appoggiano anche una gabbietta ed un vaso con una pianta. Salendo ancora , si incontrano tre pali che sporgono da un palazzo; i tre pali sono diversamente scalati in profondità e su di essi stanno sette piccioni, di cui uno con le ali aperte. Ci sono altri due piccioni, uno in volo ed uno che sbuca da un pertugio sul palazzo. Portando lo sguardo tutto a destra, si vede il piano nobile del palazzo dove a pianterreno sta la Vergine. Vediamo subito il pavone con la coda lunghissima, che arriva fino al disotto dell'architrave. Un grande tappeto steso a piegoni, sopra di cui appoggia un vaso con una pianta a foglie lunghe. Sulla destra, un altro vaso, la cui forma richiama un'anfora, con una pianta a foglie larghe. Poco sopra il tappeto, c'è una gabbia contenente un uccello bicolore. Ancora più in alto un uccello grassoccio sta sulla pertica orizzontale. C'è anche altro, Carlo Crivelli non stanca mai.

Dopo, solo dopo, si ascoltano i giudizi di valore, di merito, di storia, di gusto, ma non ci si fa menare per il naso, distinguendo il grano dal loglio e soprattutto educando il nostro gusto, la cosa più importante per noi, ognuno di noi è diverso dagli altri, è bello che sia così.