
Che c'entra lo zen? C'entra, ve ne accorgerete nel corso di questo mio intervento, che rischia di non essere breve.
Più una lungagnata che una brevitudine.
A proposito.
Tutti se la prendono con le lungagnate, i cui rischi e difetti sono evidenti. Sarebbe il caso, per ovvia par condicio, di prendersela pure con le brevitudini: scriver corto non è sinonimo di scriver bene. L'Autore dovrebbe soppesare la propria cortezza con molta cura, parola per parola, congiunzione per congiunzione, virgola per virgola, a capo per a capo. Ha da essere un di più di responsabilità, non un togliersi l'incombenza scrittoria in pochi minuti, come una pipì che scappa.
Il mio tema è l'improvvisa, e a mio avviso improvvida, chiusura del Nonblog, la successiva riapertura e il che fare oggi e domani qui nel Nonblog.
Sulla chiusura ci siamo ovviamente scambiati delle email, per accusare, discutere, chiarire. Mi sembra che siamo arrivati a conclusioni accettabili, nel senso che ognuno si chiarisce gli errori suoi -che indubbiamente ci sono stati- e provvede a far meglio.
Credo che funzionerà, ma nel caso non dovesse funzionare, questo non è un blog normale, in cui il blogghiere dice "Chiudo!" e festa finita. Qui ci sono dei collaboratori e dei blog ospiti che si vedono pubblicate robe loro, sarebbe stato il caso di avvertirli prima, per non metterli di fronte al fatto compiuto. Credo proprio che Habanera sia d'accordo con questa osservazione che faccio in pubblico perché riguarda tutti, poi ci sono gli errori privati di ognuno di noi, me compreso naturalmente. Chi fa sbaglia -e noi abbiamo fatto e facciamo- però è bene capitalizzare sugli errori, in modo da non farli più... per fare naturalmente errori di tipo diverso! Così vanno le cose in questo mondo sublunare, lo sappiamo anche se tendiamo a scordarcelo.

Lo scrivere nel Nonblog ha per me una priorità alta, inferiore solo a quella di scrivere su Abbracci e pop corn, il blog di cui sono admin. Il progetto del Nonblog è più ambizioso di quello del blog del cinema, che è più semplice nei suoi obiettivi. Più ambizioso vuol dire anche più complesso, vedo di chiarirne il perché, soprattutto a me.
Anzitutto c'è uno zoccolo duro di collaboratori. Attualmente sono sei, compresa Habanera. I collaboratori hanno una storia variegata di conoscenza reciproca -cosa che vi risparmio- e ritengono, con un po' di imprudenza, di essere sopra una soglia di scrittura almeno decorosa. L'argomento su cui scrivere è assolutamente libero. Ognuno dei sei scrive tendenzialmente due post al mese e li mette nella bacheca del Nonblog. L'admin Habanera ha l'ultima parola - può decidere di non pubblicare- e sceglie comunque la sequenza di pubblicazione dei singoli post.
C'è poi il discorso sulle immagini, che è molto importante: dico soltanto che abbiamo trovato il modo di darci una mano l'un l'altro.
Ma non finisce qui, perché ci sono alcuni blog che stimiamo e che ci piace ospitare qui. Attualmente Habanera sceglie i brani, decide il flusso di pubblicazione e tiene i contatti con i blog. Ci sono stati casi in cui dei blog hanno creduto che si trattasse di una attività di copia/incolla più da tollerare che da apprezzare. In questi pochi casi, senza discusssioni né animosità -non ce n'era motivo- si è deciso di non pubblicare più brani di quei blog. O la cosa è percepita come un vantaggio reciproco, altrimenti è meglio non farla, senza inutili mal di testa: gioco chiaro gioco bello, come sempre.
Tutto ciò significa che siamo assai vicini alla massa critica ottimale per il Nonblog, sommando i collaboratori con i blog amici, usando la parola amici in una accezione un po' diversa dagli amici Splinder, che io vedo solo come una più o meno utile lubrificazione dei rapporti in rete.

Sembrerebbe che tutto sia stato detto; con rapidi conti si vede che il Nonblog è in grado di pubblicare fra quindici e venti post al mese -che sono tutt'altro che pochi. Viste le premesse, dovrebbero essere generalmente buoni, e credo che lo siano.
Oltre all'aspetto scrittorio c'è l'aspetto conversativo, uso volutamente questi termini invece di quelli usuali nei blog: post e commenti. Ognuno dei collaboratori dovrebbe avvertire come parte del suo compito il conversare quasi sistematicamente sui post non suoi che vengono pubblicati nel Nonblog, non per l'usuale bene bravo bis, che ognuno può benissimo dirselo da solo, ma per fare sue considerazioni. Magari anche poche righe, liberamente, senza preoccuparsi dell'O.T. che non ho capito bene cosa sia, ma certamente deve essere una cosa brutta, [quasi come mettersi in pubblico le dita nel naso] dal momento che tutti se ne scusano.
Non sto ipotizzando il migliore -o peggiore- dei blog possibili, dico una cosa che negli ultimi tre mesi è successa non di rado: delle vere e proprie conversazioni a cui hanno partecipato volentieri anche persone non appartenenti al gruppo dei collaboratori; faccio alcuni nomi, chiedo scusa se me ne scordo qualcuno: Barbara, Gabrilu, Giulia, Remo, Stefania, Zena. Altri non lo fanno, il che non vuol dire assolutamente che vengano tolti dalla lista dei Consigliati, che è una cosa serissima, visto anche l'ottima idea di Habanera di inserire il blogroll, ma a quel punto occorre, come sempre, procedere per priorità. Faccio due esempi chiari, così ci capiamo: Akatalepsia e Currenti Calamo.
Sono due blog che ammiro e che leggo ogni giorno. Per ragioni loro, sicuramente rispettabili, non commentano in giro, quindi è presumibile che non lo facciano neanche sul Nonblog.
Che si fa? Li si consiglia, gli si dà giustamente visibilità, ma non si pubblicano loro post nel Nonblog, perché il problema vero è di non eccedere col numero dei post (massimo venti al mese) e la priorità è giusto e opportuno che l'abbiano i collaboratori e i conversatori.
Qualcuno potrebbe dirmi: ma qual'è l'obiettivo? Dove vorresti arrivare? Nessun obiettivo, o meglio, l'obiettivo è nel fare così. Riflettiamo un momento considerando gli oltre trecento post pubblicati finora nel Nonblog. C'è di tutto, generalmente buono: letteratura, arte, musica, poesia, politica, matematica, giornalismo, cinema, teatro ed altro ancora. In ottica al tempo stesso localista e cosmopolita.
Una vera e propria Rivista in Rete, però con un alto grado di libertà dei partecipanti, senza la gabbia delle rubriche e la routine delle scadenze. Una rivista vasta ma non generica. Inclusiva, anche, ma non in ottica da piccola lobby o da circolo autoreferenziale: ognuno si sostiene da solo, per come è e per cosa ha fatto. Fra l'altro a prescindere dal numero delle visite dei vari blog, puntando sulla qualità personale e di scrittura delle singole persone. Naturalmente un posto aperto: se si trova una esperienza utile e gradevole, non c'è motivo per non offrire la partecipazione. Non una cosa ferma come roccia che non crolla: ci sarà chi se ne va e chi arriva, perché oltre ai complimenti anche gli scazzi sono inevitabili, fanno parte della vita. Chi sa scrivere ha in genere un carattere, un umore, un sapore, ed avere un carattere vuol dire anche un po' avere un cattivo carattere, se non altro perché non si è di contento facile.
C'è però una cosa da fare assolutamente: ridurre il più possibile il carico di lavoro di Habanera, che fra l'altro ha reso questo posto bellissimo, esteticamente, graficamente, musicalmente. Quindi, da una parte i collaboratori debbono mettere in bacheca il più possibile dei prodotti finiti, corredati anche di immagini adeguate (che non è un gioco che s'impara in cinque minuti). Dall'altra parte i blog che vengono pubblicati possono dare una mano consigliando ad esempio cose loro che ritengono di pubblicare, evitando una faticosa escavazione nel mare magnum dei post. Rendere il flusso più fluido, in modo da potersi spendere meglio. La forza di questa soluzione, possibile e praticabile, è che si abbina alla quantità dell'offerta del blog la qualità dei singoli post: si riesce a far bene con un investimento di tempo abbastanza contenuto, perché tutti siamo sommersi di incombenze di ogni genere. Si tratta di fare meglio, non di più.
A questo punto, viene buono lo zen, di cui da anni sono un convinto e laico ammiratore, però di tipo riduzionistico, non olistico. Intendo che lo zen è anche nel migliorare la determinazione e la penetrazione nel presente, mentre purtroppo molti lo intendono come una discesa dal treno della vita -che è uno solo- per prendere un altro treno -che non c'è. La mia laica ammirazione per lo zen si basa sul fatto che è un mito fecondo, generatore di arti: architettura, giardini di pietra (karesansui), calligrafia (shodo), poesia (haiku), disposizione dei fiori (ikebana) e non finisce qui.
C'è un'arte zen che è la cerimonia del te (chado o cha no yu), su cui qui non mi dilungo, ognuno è in grado di trovare in rete le informazioni che vuole. Inserisco però un breve brano che ho trovato in Wikipedia, brano in cui c'è qualcosa di interessante:

Per capirsi, la cerimonia del te si svolgeva in una costruzione apposita, ed era un'arte zen molto amata dai samurai. Prima di entrare nella stanza del te dovevano fare due cose: lasciare la sciabola appoggiata fuori e chinare il capo, perché l'entrata aveva una apertura più bassa della statura normale. Il motivo non era una generica umiltà come la intendiamo noi, ma una temporanea rinunzia ad uno status symbol personale, perché nella stanza del te tutti si trovassero nelle stesse condizioni, a prescindere da età, titoli, geografia, famiglia di provenienza.
Mi è sembrata, questa della cerimonia del te, una metafora gradevole e profonda di quello che possiamo fare.
Aggiungo un'ultima considerazione che riguarda un film che è fra i capolavori assoluti del Novecento: "I sette samurai" di Akira Kurosawa. Molti ricordano certamente il personaggio del samurai contadino, Kikuchiyo (Toshiro Mifune). Ma c'è un altro samurai che si chiama Kyuzo (Seiji Miyaguchi), che è il samurai zen, il più valoroso di tutti, ma anche il più disattaccato (che non è sinonimo di distaccato). C'è un momento del film in cui Kyuzo è appostato con altri due perché stanno arrivando i briganti con cui ci sarà uno scontro a rischio di morte. Kurosawa riprende in primo piano il volto di Kyuzo. Improvvisamente Kyuzo si accorge che lì dov'è, fra l'erba, a pochissima distanza dai suoi occhi e dal suo naso, c'è un fiore. E Kyuzo sorride al fiore, un sorriso come se lui capisse il fiore ed il fiore capisse lui. Poi torna alla massima concentrazione per il compito che l'attende, con naturalezza. Non ho l'immagine giusta, peccato.
Tutto quello che ho scritto è contestabile, vorrei sentire altre opinioni, però non contestatemi Kyuzo, c'è da stare attenti, ad uno come Kyuzo!
P.S. Nell'immagine sulla destra del post ci sono gli utensili per la cerimonia del te (chado o cha no yu).
P.P.S. Eureka, ho trovato Kyuzo! Metto l'immagine qui sotto, solo che la storia è leggermente diversa, da un certo punto di vista ancora meglio. I samurai in azione sono tre.
Kyuzo se ne sta seduto appoggiato ad un tronco, ed ha attorno un mare di fiori, però è concentrato solo su un fiore che ha in mano.
Kikuchiyo si è arrampicato sull'albero e sta scrutando il bosco per vedere se arrivano i briganti.
Katushiro, il samurai più giovane, è al primo scontro e Kyuzo l'ha mandato ad appostarsi più in basso, così potrà capire senza rischiare la vita.
Tutti e tre tacciono, ma c'è il momento in cui Kikuchiyo avverte Kyuzo che i briganti stanno arrivando. Lo fa tirandogli addosso un piccolo sasso. Kyuzo muove leggermente il collo (questione di un attimo) e torna a concentrarsi sul fiore. Dopo pochi secondi arrivano i briganti e... guardatevi il film! (s)