
Mi sono fatta rifare naso e zigomi, i miei capelli, ora, sono biondi e corti. Solo i vicini di casa e i colleghi in casa editrice mi riconoscono: da anni, quando vado in giro, non succede mai che qualcuno mi identifichi, a meno che non sia io a volerlo, ma io, solitamente, non voglio.
Tu però mi stai osservando con troppa attenzione.
Sento i tuoi occhi incollati alla mia schiena. Pensa. Se tu venissi qua e mi dicessi che anche senza i capelli ricci e lunghi mi hai riconosciuta, e quindi debbo sparire dal tuo bagno lasciando l’ombrellone ad altri, io ti sorprenderei: sorridendoti.
E’ il terzo giorno, oggi. Ne mancano due alla partenza. Conoscevo la Puglia, ero stata a Bari e Trani, ma mai fin quaggiù, nel Salento.
Son qui per te, per rivederti.
E’ stato facile rintracciarti: ho chiesto a un aspirante scrittore, poliziotto. Mi ha detto della tua casa, a Tricase, di questo bagno sullo Ionio, decoroso, un po’ scalcinato.
Non ho chiesto altro al poliziotto scrittore. Ma avrei voluto: vive solo, ha figli, moglie, fa sempre l’impagliatore di sedie in inverno?
Mi hai riconosciuto, lo vedo. Se mi giro tu continui a fissarmi. Fai così solo con me. Sai che faccio? Oggi resto a pranzo.
Ricorderai, immagino, l’incipit del tuo libro: Quando ci si sporca l’anima una volta…
Non ricordo, poi, le parole che venivano. Ma il senso sì: basta una volta, e l’anima resta sporca, per sempre.
Eccomi qua, al tavolo. Su, da bravo, alza il culo e vieni, non mandare quel ragazzo, troppo giovane per essere tuo figlio.
Stai venendo, mi servirai tu.
Intanto ti servo io: ecco sul tavolo, per i tuoi occhi, due libri.
Uno nuovo, l’altro di quindici anni fa quando tu, ormai, pensavi di… diventare un libro. Fui io a scoprirti, fu mia la prima telefonata.
E’ bellissimo quello che scrive, ti dissi. Fui io a cacciarti.
Cinquantenne del cazzo, presuntuoso. Mi rispondesti con un ghigno.
Ti dissi, volli dirti mentre mi giravi le spalle che il tuo manoscritto non rientra più e mai rientrerà nei nostri piani editoriali. Te ne andasti senza dire una parola, una bestemmia. Vedo i tuoi sandali da frate. Sto guardando i libri, guardali anche tu, forza. Poi interrogami.
Cosa le posso preparare signorina?
Ehi, oggi ho io cinquant’anni e tu mi lusinghi così? Signorina?
Cosa mi consiglia?… Ehi, ma guarda i libri, guarda il nome della casa editrice, prendesti l’aereo per venire da noi, era il tuo primo aereo, scommetto che da allora non hai più volato.
Va bene: cozze, vecchia ricetta salentina. Ma torna, guarda sul tavolo, e leggi il nome della casa editrice...
Eccoti, sei stato veloce, erano già pronte. Te ne vai senza dire, senza guardare? Già, c’è gente, sei indaffarato.
Sono buone queste cozze, non c’è che dire. Avrei voglia di fare la scarpetta ma sono a dieta. Qui in Puglia è tutto più buono. Peccato dover ripartire. Fra tre giorni sono nelle Dolomiti, per la mia depressione è meglio, m’han detto.
Mi sta incantando questa terra, tornerò, magari non qui. Buone, proprie buone queste cozze, da scarpetta.

Sei di nuovo qua?, non mi ero accorta di te. Mi stai sorridendo.
Lo sapevo: mi hai riconosciuta. E’ per via del neo sulla mano sinistra? Stai guardando i libri, inespressivo, intanto mi spieghi che le cozze (sono stata io a chiederti la ricetta) sono preparate con tantissimo sedano (c’ero arrivata, grazie), un accenno di cipolla e tanto, tanto vino bianco, di queste parti. Vino bianco e sedano sono il segreto, mi spieghi.
Non ti guardo, io guardo loro, i libri. Dai, chiedi, che aspetti? Non puoi. Il tuo giovane aiutante ci ha raggiunti, dice: Sono arrivati.
Sono arrivati con una Bmw, sono in tre. Due con pantaloni corti e maglietta, il terzo, giovane, grasso e sudato, ha il completo, stropicciato, di lino bianco. Che avete da discutere? Siete lontani.
A me un tavolo lo devi trovare, testa di cazzo: il piccolo e grasso ha la voce forte. Con la testa, lentamente, dici di no. Non vuoi farli accomodare, del resto hai ragione, è tutto pieno. Quindici anni fa dicesti di no a me: ciondolando allo stesso modo la tua testaccia dura.
Ti avevo scoperto io, io, ma cristo quelli ti stanno spintonando, e tu continui a dire di no, con quel tuo cranio grosso, non penso ci siano taglie adatte a te.
Sei bello sai? Se ne stanno andando e il tuo volto è affilato dalla rabbia. Non li dimostri i tuoi sessantacinque anni, sei bello come un dio greco.
Il ragazzo ti sta consolando. La gente che ai tavoli sta aspettando caffè e conto, tace.
C’è tensione, nonostante il sole e il rumore del mare.
Ci pensa il ragazzo a portare amari e caffè, tu vai alla cassa. Inforchi gli occhiali, hai gli occhi bassi. T’han visto tutti, un attimo fa, che sei barcollato per una spinta.
Erano belli i tuoi racconti contadini. Ricordo il prete guaritore, ricordo… quando ci si sporca l’anima una volta… basta una.
La moglie del sindaco cercò di sporcare l’anima del prete, forse per ripagarlo, lui aveva salvato suo figlio con un rito magico. Non ci riuscì, e si vendicò, infangando il prete…
Ma fu la sua anima a sporcarsi.
E avevi fatto solo la quinta elementare. L’idea fu di Carlo, il mio primo marito, ma io la trovai geniale: avevamo preparato una quarta di copertina che avrebbe funzionato. Questo libro, di un uomo privo di cultura ma ricco di ricordi e di istinti primordiali…. ti fece rabbuiare.
Parlo l’inglese e sto studiando il latino, ci dicesti. E sapevi cos’era un ossimoro, un anacoluto. Eri arrabbiato, e pensare che ti eri presentato raggiante, con dolci pugliesi per tutti noi, fatti in casa. E questa è merda, dicesti, indicando la cartella che conteneva le bozze della copertina, il manoscritto, il contratto da firmare.
Rivedo ancora lo sguardo di Carlo, tutto per me: Convincilo, questo caprone non saprà resisterti.
Restammo soli. Ti spiegai. Tacevi. Mi facevi compassione, sai? Ma quando ti accarezzai la mano, dicendoti: Pensa a quando accarezzerai un libro tuo, scattasti in piedi, sembravi morso da una tarantola.
Ricordo che pensai: ma non vede quanto sono desiderabile?
No, no… la psicologa dice che non devo prendermi in giro…
Pensai: come fa questo a non avere voglia di scoparmi?
A nessuno, mai, avevo sfiorato la mano, a nessuno, mai, l’ho sfiorata, dopo di te. Tutti ai miei piedi, sempre, quelli alle prime armi.
Tu, invece, eri lì, sprezzante. Così ti cacciai.
Agli altri dissi che non avevi accettato nessuna mediazione, che eri un presuntuoso. Mi ero vendicata di un Cinquantenne del cazzo; tu, tu non avevi detto sì come mi dicono tutti, non mi sorridevi, te l’avrei staccato quel testone che faceva no, no, no…
Sono davanti a te, alla cassa, hai altro per la testa oggi.
Vado via, parto, ti dico. Arrivederci signorina, dici.
Il tuo giovane dipendente ti sta guardando con ammirazione.
Da Altri appunti, Remo Bassini
