Pomeriggio uggioso nella casa ormai vuota dei miei genitori, tra mobili da smontare e scaffali da liberare, con l’assillo di dover eliminare chili di paccottiglia e cartacce e l’ansia di salvare quello che di buono è nascosto fra tante scartoffie.
D’improvviso, da un cassetto del salotto, spunta una cartellina giallo-sole che custodisce alcuni fogli protocollo pieni di una scrittura larga, irregolare, inframmezzata da vivaci disegni tracciati con pennarelli a punta spessa. Sul frontespizio, l’ambizioso titolo “Storie fantastiche grandi e piccole” e la data “25 dicembre 1997”. Leggo e sorrido: è il regalo natalizio ai nonni della mia bambina di allora, che per l’occasione aveva pensato di ricopiare i temi liberi svolti in III elementare, ricavandone un libro fai-da-te assolutamente (e del tutto involontariamente) esilarante.
Seduta per terra fra scatole e cianfrusaglie, mi trovo a ridere da sola –proprio come una bimba di 8 anni- leggendo storie in cui la sintassi e la punteggiatura seguono regole molto personali, rivelando nell’autrice insospettabili propensioni futuriste e riuscendo ogni volta a stupire con soluzioni uniche.
Sorvolando (!) su “La mia notte con Babbo Natale” –titolo vagamente piccante- in cui si trova la saggia affermazione: “Babbo Natale come voi sapete è molto vecchio e non può portare tutti i regali che i bambini vorrebbero” (logica conseguenza di una prudente spiegazione materna, dopo l’inserimento nella lista dei doni di un costosissimo e voluminoso robot telecomandato), si passa alla commovente vicenda del mostro triste, abbandonato dalla sua famiglia, che viene adottato dallo scolaro Tomas (sic): “… però c’era un piccolo problema, che in casa di Tomas la porta era troppo piccola, così dovette lasciarlo in giardino”.
La figura della creatura aliena, magari orribile a vedersi ma sotto sotto buona come il pane, torna anche in altri componimenti, segno evidente che la maestra si prodigava a insegnare con dovizia di esempi la tolleranza verso il prossimo, per quanto diverso possa essere. Ed ecco il "gigante verde a forma di cactus con gli occhi rossi" che terrorizza con il suo aspetto gli abitanti di un intero paese, ma non il piccolo Tom (aridàlli!), il quale lo trova subito simpatico e intercede per lui, convincendo i suoi concittadini ma non il suo cane, tenacemente persuaso dal suo fiuto che quello sia un “cactus assassino”; oppure l’extraterrestre “così brutto che quando entrò in un supermercato tutti lo cacciarono via a calcioni”, e che per fortuna trova poi un dottore comprensivo che lo cura “gratis” e che vive con lui “molte avventure”; o ancora il genio di una lampada magica (parente forse di quello di Aladino?) che salva un bambino sepolto dal crollo di una casa e che viene a sua volta da lui sottratto al linciaggio da parte dei genitori, erroneamente convinti della sua responsabilità nell’incidente. “Morale:” è annotato diligentemente in calce “non bisogna mai spaventarsi prima di conoscere bene una persona”. Dunque –rifletto amaramente– è per reazione a quest’overdose di buonismo ricevuta alle elementari che oggi la mia cara figliuola, scorgendo per strada gruppi di extracomunitari, mastica fra i denti espressioni gentili quali “immigrati di m….” o “stranieri del c…”!?
Ma nel 1997, per lei, il mondo era ancora un’allegra scoperta, l’amicizia tra razze e culture diverse del tutto normale e qualsiasi essere vivente un simpatico tenerone: ne sia prova, fra tutti, il caso della feroce tigre Uan, troppo grassa, che “decise di fare un po’ di ginnastica in palestra” e che “la sera tornava stanchissima nella grotta dove abitava”, perché “la sua insegnante era una formica, anche se era piccola era forzuta e la faceva faticare dalla mattina alla sera”.
Ultima perla, un altro temino natalizio, “Immagino che i personaggi del presepe possano parlare”, in cui sarebbe stato fin troppo facile scadere nella retorica mielosa, e dove al contrario la giovanissima autrice tocca vette di comicità mai più raggiunte nella sua produzione letteraria scolastica. “Giuseppe e Maria si misero in cammino verso Betlemme, mentre stavano camminando Maria disse: Giuseppe, devo partorire! Giuseppe rispose: Non ti preoccupare, troveremo un albergo!” Le ultime parole famose… Segue l’elenco di buoi, asinelli, pastori, pecore e altri visitatori approdati alla capannuccia della Sacra Famiglia, finchè “dodici giorni dopo arrivarono i Re Magi a portare oro, incenso e mirra. Questo” (e qui si avverte chiaramente un certo malcelato sollievo) “fu l’ultimo arrivo per il Bambino Gesù”. Ingenua freschezza, ironia consapevole o semplice spirito pratico? Ah, saperlo!
Sospiro, ripongo con cura la cartellina gialla fra le cose da conservare gelosamente e torno al mio noioso lavoro di cernita. Dalla finestra sul retro il mostro, lasciato in giardino perché troppo grande, fa capolino col suo sguardo triste, mentre la tigre Uan, in tuta e scarpe da ginnastica, passa di corsa lungo il viale alberato, laggiù, fino a scomparire ruggendo dietro l’angolo…
2 commenti:
Forte, la storia della tigre che ha una formica come trainer! Fai i miei complimenti a tua figlia.
Sulle storie morali che si raccontano ai bambini, mi viene in mente quello che diceva Bettelheim: che le truci favole tradizionali, del tipo di quelle raccolte dai fratelli Grimm, sono perfette sia dal punto narrativo, che psicologico. Sull'aspetto narrativo c'è lo studio di Propp. Su qello psicologico, Bettelheim dice che i bambini hanno bisogno dell'atmosfera d'orrorifica angoscia che si trova al centro della favola ("gli ordinò che, dopo averla uccisa, le portasse indietro il suo cuore") e delle draconiane punizioni dei malvagi ("c'erano già sul fuoco le scarpette di ferro: gliele misero e si mise a danzare finchè non morì"). Sono questi gli elementi che fanno corrispondere la favola alla vita interiore dei bambini, che è piena di angosce e tinte forti, facendone emergere i contenuti e dando loro una forma (riassunto mio, molto a spanne).
Così, lo smerigliamento delle favole operato da Disney e, nello stesso filone, la produzione di narrazioni sul "dover essere felici perchè buoni", sottraggono ai bambini uno specchio fedele della loro coscienza, lasciandoli più smarriti.
Contrariamente alla versione disneyana, la Biancaneve dei Grimm fa un sacco di stupidate e i nani devono sempre venirla a soccorrere: l'insegnamento "dài retta quando ti si dice una cosa per la tua sicurezza, se no viene la strega che t'uccide" non potrebbe essere più diretto (giusto per ricordare uno dei contenuti). La versione edulcorata in cui Biancaneve è perfetta, i nani dei cretini, e la strega riesce a ucciderla comunque, lascia per strada almeno un messaggio importante.
Chi fa delle favole sui diversi e sull'accoglienza dello straniero, dovrebbe farle veramente drammatiche, con forti chiaroscuri in cui emergano -in forma digeribile dai bambini- tutto il potenziale di odio e diffidenza, tutti i dubbi e i sospetti: tutta la realtà interiore, insomma, di questo incontro.
Ciao,
Nicola
Nicola carissimo, mia figlia ti ringrazia dell'apprezzamento, benchè non ricordasse minimanente di aver scritto cose così esilaranti: lei, che ora ha per la testa soltanto l'ultima puntata del suo serial TV preferito con quell'attore americano giovane e biondo, la faccia da perfetto idiota e nugoli di ex-fidanzate intorno... come si chiama? Boh! Le tele-favole moderne mi annoiano a morte! Grazie per il tuo gustosissimo riassunto "a spanne", e grazie anche perchè concordi con me sull'eccessiva edulcorazione disneyana delle fiabe gotiche dei Grimm...
...e vissero tutti (?) felici e contenti
Roby
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