L'Agnèr: 2.872 rispettabili metri e un aspetto imponente.
Ma per me, nelle estati degli anni '50 trascorse nel paese dei nonni, era solo il monte del paesello, sovrastato dalla fama e dall'altezza dei vicini Civetta (3.220 m.) e Marmolada (3.343 m.). E anche nello stesso gruppo di appartenenza, quello delle Pale di S. Martino, di cui costituiva la parte sud-est, c'erano delle cime più famose e più alte (Cimon della Pala, Cima della Vezzana etc).
Nelle escursioni che ci portavano dagli 850 m. del paese ai 1600 della malga, la vista della montagna, appena usciti dal bosco e appena inoltrati nei pascoli della malga, significava il prossimo arrivo a destinazione, e quindi era particolarmente gradevole. Presso la malga avremmo assaggiato il latte munto la mattina presto e fatto rifornimento di burro e formaggio per un paio di settimane. Poi ci saremmo rilassati osservando il bestiame al pascolo nella cornice spettacolare dei monti incombenti, prima di riprendere la via del ritorno. Insomma, l'Agnèr era un “contorno” della vacanza. In seguito, però, la mia considerazione era destinata a crescere.
Molti anni più avanti, infatti, chiaccherando con i colleghi di lavoro, davanti alle macchinette del caffè, di piani di ferie o di ferie fatte, avevo incidentalmente accennato all'Agnèr e avevo notato un lampo di interesse nello sguardo di chi sapevo appassionato di roccia. Allora qualcuno aveva parlato di una mitica “parete nord di 1500 m. di verticale” e qualche altro di più o meno fortunate ascensioni. E questo mi avevo spinto a saperne di più.
In effetti la parete nord “esisteva” ed era nel versante opposto a quello del mio paese, ed ha rappresentato qualcosa nella storia del'alpinismo, non solo italiano, come vedremo in seguito.
La prima ascensione “documentata” avvenne però dal versante sud, quello più conosciuto e frequentato per via dei pascoli per l'alpeggio che arrivavano fino ai 1800 m. Accadde nel settembre del 1875 ed ebbe come protagonisti due abitanti del paese, Tomaso Dal Col e Martino Gnech, insieme ad un appassionato di Agordo, la cittadina del fondovalle, Cesare Tomè. Dal Col e Gnech erano cacciatori di camosci e abituali frequentatori delle montagne intorno all'Agnèr, e non è escluso che ci siano saliti in precedenza, nelle loro partite di caccia. Cesare Tomè fonderà di lì a poco la sezione del CAI di Agordo (la seconda in Italia!) ed a lui è dovuta la relazione sull'ascensione. Tomaso Dal Col troverà spunto da questa impresa per intraprendere la carriera di guida alpina.
Una quindicina di anni fa, in estate, ero impegnato nella ristrutturazione della casa dei nonni, una ormai vecchia casa di montagna che aveva bisogno di essere adeguata ai nuovi standard abitativi.
Lavorava con me Piero, un mio coetaneo del paese, muratore per necessità e naturalista per passione. Nelle lunghe chiaccherate durante il lavoro avevo appreso innumerevoli nozioni sulle erbe, i fiori, gli animali selvatici, le piante e i funghi del posto. Inoltre era cacciatore (ma alla Rigoni Stern!), pescatore di trote, sciatore (alpino) e non disdegnava le arrampicate. Non era uno specialista, per lui la montagna faceva parte della più ampia natura dolomitica, ma aveva scalato tutte le cime della zona raggiungibili con ferrate o comunque senza particolari attrezzature. Ovviamente era stato più volte in cima all'Agnèr.
Beh, una chiacchera tira l'altra, cominciammo ad ipotizzare un'ascensione insieme sull'Agnèr, io con qualche ritegno (ero già sui 45) e lui ad incoraggiarmi. Lo considerava assolutamente fattibile, soprattutto dal nostro versante, il sud utilizzato dai primi scalatori, anche per un “cittadino” purché con un minimo di allenamento; ed io sono un appassionato di camminate in montagna.
Un giorno arrivò a casa per dirmi che quel giorno avrebbe lavorato altrove per un'emergenza, ma che l'indomani si sarebbe preso un giorno di libertà dal lavoro per dedicarlo al nostro progetto.
La mattina dopo, in cui si prospettava una magnifica giornata, lo aspettavo sotto casa, zaino in spalla pieno delle cibarie necessarie, dell'acqua, maglioni e giacca a vento per eventuali imprevisti.
Piero passò alle 5 a prendermi con la sua macchina e ci allontanammo dal paese un paio di chilometri sulla statale per poter prendere il sentiero più breve per la malga “Agnèr di fuori”, prima tappa della nostra escursione.
Ci inoltrammo nel bosco, ancora impenetrato dalle prime luci dell'alba, e cominciammo la salita verso gli alpeggi. L'aria era fresca ma presto ci riscaldammo per il movimento continuo e regolare. Sia pure col fiatone riuscii a tenere il ritmo di Piero, tant'è che alle 6 raggiungemmo la malga, dove ci trattenemmo 5 minuti a scambiare qualche parola con i malgari. Poi, via di nuovo, lungo il sentiero di collegamento con altre malghe più ad ovest, fino a raggiungere, nella sommità di una collina, il sentiero di attacco all'Agnèr. E qui cominciarono i dolori! Dovevamo raggiungere una specie di piano inclinato alto fatto di rocce e di rade erbe (un pascolo per camosci, insomma) e il sentiero si dimostrò subito molto ripido, con rapide giravolte per superare il dislivello. Salii con fatica cercando di non farmi distanziare troppo da Piero, e ci volle quasi un'ora per guadagnare solo 200 m. di quota.
Raggiunto l'altopiano fu necessaria una sosta per rifocillarci, e così cominciammo ad alleggerire i nostri zaini di cibi e bevande. Ne approfittammo anche per dare un'occhiata ai panorami intorno, coi binocoli, il fondovalle, i pascoli, le montagne verso sud. Essendo a quasi 2000 m. di quota la vista era già imponente.
Riacquistati così energia e coraggio riprendemmo la marcia: per un po' il sentiero fu abbastanza praticabile, su questa superficie di erbe e rocce non troppo ripida, finché arrivammo alla nuda roccia. Salimmo anche qui senza troppe difficoltà attraversando obliquamente la parete ovest della montagna seguendo i segnavia tracciati sulla roccia, aiutandoci con le mani quando necessario.
Sulla sinistra in basso scorreva un canalone pieno di detriti di roccia che terminava in alto nella forcella dove eravamo diretti, e che separava l'Agnèr da un gruppo di cime vicine, i Lastei.
In questo tragitto non mancammo di ammirare le “torri” che ci affiancavano sulla sinistra, i tre Lastei d'Agnèr con l'appendice del Becco d'Aquila, e il Campanile di S. Marco, più in basso.
Fu comunque un'operazione lunga e lenta, visto che arrivammo al Bivacco Biasin, situato sulla stretta forcella sul fianco ovest dell'Agnèr, verso le 9.30, all'altezza di 2623 m. Il bivacco era una costruzione metallica a forma di semibotte, colorata di rosso e assicurata alle rocce con cavi di acciaio. Costituiva un riparo per gli alpinisti di passaggio (noi ne approfittammo oltre che per tirare il fiato anche per ripararci dal vento gelido che arrivava da nord).
Al suo interno c'erano alcune cuccette per permettere pernottamenti di emergenza. Era quasi in bilico tra i due versanti nord e sud della catena. La vista sul versante nord era impressionante: il fondovalle, la valle di S. Lucano è a circa 600 m. di altitudine, quindi ci separavano 2000 m.! Osservando sulla destra il profilo della montagna ne rilevammo la lunghissima parete a strapiombo.
Nel settembre 1921 Francesco Jori, Arturo Andreoletti ed Alberto Zanutti compivano la prima ascensione della parete Nord, partendo da Agordo alle 5 del giorno 14 e arrivando in vetta all'Agnèr il giorno dopo alle 18 (quindi con un bivacco in parete!). Francesco Jori era il capocordata, nativo della Val di Fassa, maestro elementare e appassionato alpinista; Andreoletti e Zanutti, l'uno milanese e l'altro triestino, si erano conosciuti durante la Grande Guerra, avendola vissuta nella Val Cordevole, tra Agordo e il Col di Lana. Mi piace pensare che nelle pause della permanenza al fronte potessero, osservando la montagna, trovare il necessario relax facendo piani di future ascensioni. Dalla Valle di S. Lucano potevano vedere distintamente i 1500 metri di parete, e dalla impressionante difficoltà che potevano intuire ricavare lo stimolo per una sfida futura.
Ci riposammo qualche minuto e ci “ricaricammo di energia”, come fatto qualche ora prima, per affrontare l'ultimo ostacolo. Era una ferrata che ci avrebbe permesso di arrivare in cima superando l'ultimo dislivello di 250 m. ed il suo percorso era sulla parte nord della montagna. La affrontammo con decisione, ormai vedendo la meta a portata di mano. Naturalmente bisognava salire con pazienza e sicurezza, la roccia può sempre essere infida e gli appigli debbono essere provati prima di forzarli. Ma Piero mi aveva abbondantemente catechizzato durante la salita e quindi sapevo come comportarmi. Alle 10.15 arrivammo alla sommità, salutati dai fischi delle marmotte, che dovevano essere ben nascoste negli anfratti perché non riuscivo a vederle.
La cima del monte Agnèr è una piattaforma irregolare di circa una diecina di metri di lato e quindi ci disponemmo comodi per riposarci dell'ultima fatica e per guardarci intorno.
Ebbene, dire che la vista era fantastica è un eufemismo….
Sotto i nostri occhi “sfilavano” le vette grandi e piccole delle Dolomiti Orientali: ad ovest la Croda Grande, poi il complesso delle Pale di S. Martino fino al Focobon, e ancora, più lontani, il Latemar e il Catinaccio; a nord, vicinissime e “in basso” (2400 m.) le Pale di S. Lucano, poi la grande Marmolada dietro la quale si stagliava il gruppo del Sella, e, sulla destra le Tofane di Cortina; a nord-est il Civetta e la Moiazza, dietro cui si intravede il Pelmo; ad est le Pale di S. Sebastiano, così familiari perché di fronte a casa, poi lo Schiara con la curiosa Gusela del Vescovà (Ago del Vescovo), roccia lunga e sottile. Infine al sud i Monti del Sole (nome appropriato perché da quella parte splendeva un sole sfolgorante), racchiusi nel Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, oltre i quali si intravedeva la pianura fino a Venezia. Insomma, un “mare” di vette, alcune con contorno di nuvole.
Il 13 febbraio 1968 Reinhold Messner, S. Mayerl e H. Messner compivano la prima ascensione invernale della parete Nord, tracciando la cosiddetta “Via dei Sudtirolesi”. Reinhold sentì il bisogno di scrivere ad Arturo Andreoletti che “per me la prima invernale è stata la più ardua lotta in montagna. Mi levo il cappello davanti ai primi salitori di questa più lunga parete delle Dolomiti ed oggi dopo 47 anni Le voglio dire la mia congratulazione per la sua bellissima impresa…”
Ci godemmo il sole e il panorama per una mezzora, poi, con qualche riluttanza, iniziammo la discesa. Che richiedeva altrettanto impegno della salita, forse meno faticosa ma con massima attenzione a dove si mettono i piedi. Ritrovammo il bivacco e poi lunga discesa verso i pascoli; unica variante nel rientro un lungo tratto in discesa di roccia levigata che ci permetteva di andare diritti senza le giravolte del sentiero. Io lo percorsi con prudenza, appoggiando bene le mie suole di vibram che facevano attrito sulla roccia asciutta, Piero andò giù più spedito e dopo un po' lo vidi lontano. Poco male, l'appuntamento era alla malga.
Dove arrivai verso le 3 del pomeriggio abbastanza stanco, ma trovai anche una polenta fumante che Piero aveva fatto preparare per il mio arrivo. Un bel pranzo caldo era quello che ci voleva prima del ritorno a casa, dove giunsi poco prima delle 18, distrutto ma “quattro metri sopra il cielo”, come scrivono sui muri i ragazzi di oggi.
P.S. Ho voluto citare nel mio racconto, con nome e cognome, alcuni dei protagonisti della storia alpinistica dell'Agnèr. E' stato il mio modo di “levarmi il cappello”, come Messner, davanti a queste persone e alle loro imprese; le notizie le ho ricavate dal libro "Agnèr - Il gigante di pietra" di Bepi Pellegrinon.
Le fotografie del versante Sud e del bivacco Biasin sono tratte dallo splendido libro-guida di Luca Visentini "Pale di San Martino" (Athesia); le due della parete Nord e del relativo spigolo dal sito Pareti verticali, le altre sono dell'autore.
(3 febbraio 2007)
Pubblicato anche su Arengario, I bei momenti
14 commenti:
Mi ritaglierò il tempo per leggerlo con attenzione. Ho voglia di fresco di montagna.
L'ho letto con molto piacere.
Sono sfinita, solo a leggere.
Io non potrei nemmeno sognarmi di compiere un'impresa del genere, morirei di sicuro.
Ricordo una camminata al Borletti e vedevo al madonna ad ogni curva. E' considerato un sentiero semplice. Odio la salita, ma al contempo mi affascina. Arrivata al Borletti sarei andata subito in cima all'Ortles se mio marito non mi avesse quasi legata:)
Ora che non fumo, chissà...faccio meno fatica. Però sono anche più pesante e ho qualche annetto di più. Che tanto non lo dico quanti:)
Io sono una marinara, amo l'acqua e il suo movimento. Ma la montagna m'ispira pensieri dolcissimi e mi avvicina, a cosa non so. Ma so che sto bene.
Grazie
Come ti capisco, Giorgio, anche se una scalata del genere non l'ho mai fatta!
D'estate alloggiavamo due chilometri sopra Ortisei e dei venti giorni, dieci erano dedicati a lunghe escursioni, intervallati dagli altri dieci giorni, che passavamo al Val d'Anna, un caffé-rifugio in mezzo a grandi conifere e col torrente Annatal vicinissimo.
Bisogna imparare, a camminare in salita, tutto lì, ma ce ne vuole di tempo. Perché la camminata dei montanari sembra lenta, per i primi quindici minuti pensi: "stiamo andando a spasso?" ma non si fermano mai, salvo dove hanno deciso di arrivare. E tu cominci a fermarti una volta, due volte, tre volte, sempre più scoraggiato e con la lingua di fuori. Poi impari, come impari le calzature giuste, lo zaino con il minimo indispensabile (ma ci deve essere). Nello zaino mettevo il notes da disegno e l'astuccio. Così ho disegnato il Sassolungo, il Sella, le Odle. Il rapporto con chi si incontra è naturalmente cordiale e chi non è arrivato in cima ad una vetta con panorama circolare dopo aver camminato per ore ed ore non sa com'è bello quel momento. In discesa andavamo piano (la discesa a suo modo è faticosa) ed era il percorso in cui si vedeva di più il paesaggio. Ma nulla vale quello sguardo che, col volto imperlato di sudore dai al paesaggio nel momento più faticoso della salita. Senza fermarti, continuando a camminare.
grazie Giorgio e saludos
Solimano
Ecco è vero un aspetto importante della montagna. Tutti stanchi e sudati ci si saluta sempre tutti, pronti a darsi una mano immediatamente se qualcosa dovesse andar storto. La montagna fa percepire il pericolo, il mare no. Ecco perchè è molto rischioso lo si sottovaluta troppo spesso.
Ho avuto un imprinting molto precoce: uno zio importantissimo per me mi ha trasmesso l'amore per la montagna.
Ci si alzava alle cinque, pur di arrivare in giornata a vedere un picco, un passo o un lago fra le montagne...
Molto Trentino.
Molto Alto-Adige.
Questo amore si è sempre intrecciato con un poco di paura: la montagna chiede rispetto e conoscenza. Misura, soprattutto.
E la capacità di fermarsi per non entrare in sfida con le proprie energie.
Grazie per questo percorso in alta quota.
Faccio mio il commento di Silvia, compreso l'essere marinara ^-^ e aggiungo che mi avvicina a Dio.
Questa estate ho trascorso da quelle parti le mie vacanze. Sono salita - ma senza arrampicarmi - sul Serauta, e da lassù, a parte un momentaneo disorientamento dovuto, io penso, alla situazione così diversa dal mio quotidiano, da lassù, dicevo, ci si sente grandi, onnipotenti e piccoli allo stesso tempo.
E' sempre un piacere passare da voi, ragazzi. Grazie
E “quattro metri sopra il cielo”, mi sento anch'io ogni volta che rileggo questa esaltante esperienza di Giorgio.
Può un animale marino come me (praticamente un pesce sotto mentite spoglie) amare e rispettare tanto la montagna?
Si direbbe proprio di sì e le mie escursioni in montagna, ormai lontane nel tempo, sono tra i più bei ricordi della mia vita.
Grazie, Giorgio
H.
Ho letto con molto piacere e gustandolo il racconto della tua salita all'Agner, una cima sulla quale non sono mai arrivato, ma che conosco bene per quel che ho letto dei primi salitori, e per averla vista sia dalla Valle di S. Lucano che dal Bivacco Bedin posto in quell'incantevole luogo sulle Pale di S. Lucano. Sono sempre stato appassionato di montagna, ma, finchè lavoravo, non avevo che raramente la giornata di tempo ch'è necessaria per frequentarla. Da quando non lavoro più mi sto rifacendo, centocinquanta giorni all'anno, più o meno, li passo tra le nostre amate montagne, e, fintanto che la salute me lo permetterà non intendo rinunciarci. Tu dovresti avere più o meno la mia età, io vado per i sessantadue, ese la tua salute te le permetta ti faccio una proposta: l'anno prossimo vogliamo salire assieme sull'Agner? Un saluto Ago
Gentile Ago, il mio amico Giorgio Casera in questi giorni è in montagna, lontano da ogni mezzo informatico (in un certo senso, beato lui, se il clima l'aiuta...).
Al suo ritorno, risponderà certamente al tuo bel commento... e chissà se insieme scalerete l'Agnèr. Io no, non ce la faccio, ma farò il tifo per voi da una malga comoda e vi offrirò il grappino quando tornerete da cotanta impresa.
un caro saluto
Solimano
Caro Ago,
permettimi di esprimere la mia invidia per i centocinquanta giorni all'anno che riesci a dedicare alle escursioni in montagna. Per quanto tenti di scappare dalla città ad ogni momento libero, riesco a malapena a raggiungere la sessantina...
Quanto all'Agner, è veramente una cima che non puoi mancare; se poi, come capisco, sei allenato, è sicuramente alla tua portata. Sul fatto di salirci insieme l'anno prossimo, beh, mi piacerebbe, ma non sono sicuro di esserne ancora in grado: intanto gli anni sono 67 (e cinque in più contano, eccome!)e negli ultimi tempi le mie passeggiate si fermano al livello degli alpeggi.
Comunque sentiamoci. L'anno prossimo da metà luglio a fine agosto sarò sicuramente sul posto. Al limite ti potrò accompagnare per un pezzo e poi indicarti la via...
Saluti
Giorgio
Caro Giorgio, sai come diceva una famosa pubblicità: volere è potere! Poi se vai in montagna una sessantina di giorni all'anno penso che il fisico te lo potrebbe permettere. Ti prendo comunque in parola, anche se non puoi o non vuoi salire sulla cima , mi farebbe piacere conoscerti e magari fare un pò di strada assieme. Quanto a Solimano,ci conto, uno spuntino in compagnia al ritorno sarebbe la ciliegina sulla torta! Il mio indirizzo internet è: ventino1948@libero.it, se mi fai avere il tuo sta sicuro che al momento giusto ti chiamerò. Un saluto Ago
Caro Ago, io in cima all'Agnèr non ce la farei mai ad arrivarci ma posso sempre aspettarvi, insieme a Solimano, in una confortevole malga ad una ragionevole altezza.
Al vostro ritorno ci sarà una bella polenta fumante e grappino per tutti.
Il nostro bravissimo e simpatico Giorgio non è sempre presente in rete ma ho provveduto in questo momento a mandargli il tuo indirizzo via mail.
Ne avrete di cose da raccontarvi, accomunati come siete dalla stessa entusiasmante passione per la montagna.
Un caro saluto
Habanera
Stampo questa storia per il mio amico Piero, per permettergli di tornare in cima all'Agner anche via Eternit .. ;-).
Ringrazio Luca, che mi ha fatto scoprire questo bel modo di usare un blog per fare un .. Nonblog.
Venerdì scorso, grazie a una Nonconferenza chiamata User Camp, a Bologna, ho proposto di cominciare a darle un seguito organizzando una specie di CampoBase Web .. via Eternit .. appunto.
Chi fosse interessato può partecipare all'avvio e all'evoluzione di questa esperienza cercando su Twitter i messaggi con l'etichetta #agordinoucamp.
Gazie Habanera e .. piacere di conoscerti :-)
Luigi
Luigi, tu dunque conosci Piero, amico e compagno di avventura di Giorgio Casera che è l'autore di questo brano.
Ho dovuto fare un bel po' di salti acrobatici, inseguendoti anche sul blog di Luca, per riuscire a sbrogliare la matassa. Così ho scoperto che "via Eternit", di cui non riuscivo a capire il significato, è: "come direbbe Piero".
Mi piace il vostro entusiasmo e questo amore per la natura che tanta partecipazione sta raccogliendo attorno a questo post.
Si respira aria fresca e pulita insieme a voi, l'aria delle mie e delle vostre montagne.
Piacere mio di averti conosciuto e grazie
H.
Posta un commento