martedì 8 settembre 2009

Un'immersione speciale

Fabio R.


Mi fa sempre lo stesso effetto alzarmi presto la mattina, ma questa volta c’è un motivo di eccitazione in più.
Si parte all’alba, come al solito, ma la strada è diversa: non si prende la solita autostrada in direzione Genova, si va a Nord.
Si costeggia il lago di Como, si passa dalla Val Chiavenna e poi più su fino al confine con la Svizzera, intruppati nel solito serpentone di auto che la domenica mattina portano gli sciatori sulle nevi.
Alla dogana lo stupore dei frontalieri… tutti passano con sci e scarponi.
Noi no, abbiamo l'auto stracarica di bombole, jacket ed attrezzature.
Un sorriso imbarazzato e un pò stupito e poi si riparte : direzione Saint Moritz.


Il lago ghiacciato scorre via lentamente nel sole del primo mattino mentre lo costeggiamo sino al punto di ritrovo.
Il tempo di sgranchirsi le gambe, salutare altri compagni di avventura e via …. inizia il solito rito del trasporto: bombola in spalla, cintura di zavorra in vita e via per una bella camminata.
La sensazione che si prova a sentire scricchiolare la neve e il ghiaccio sotto gli scarponcini è ben strana, un senso di essere fuori posto come se si fosse confuso il giorno o la circostanza … ad attendere quasi che uno dei tanti sciatori di passaggio ti chieda : “scusi….ma non è che uno di noi due ha sbagliato posto?”
Si… perché di certo non aiuta a sciogliere il dubbio passare accanto alla pista di fondo con gli sciatori mattutini impegnati a sudare sul loro anello o vedere bambini trainati su slittini.


Ma ogni pensiero passa quando finalmente, dopo una bella scarpinata con la neve ai polpacci, si arriva al punto di ritrovo.
C’è ancora poca gente: chi è impegnato ad allestire le tende da campo, chi invece armato di motosega e asce sta finendo di preparare il foro nel ghiaccio.
Un altra volta a rifare lo stesso percorso, sempre tra gli sguardi stralunati degli sciatori, ma questa volta con lo zaino in spalla contenente il resto dell’attrezzatura. E finalmente un po’ di riposo, dolcemente distesi su una montagnola di neve.


Si coglie l’occasione per fare il breefing sulle modalità dell’immersione : ci si immerge a gruppi di tre persone alla volta, profondità massima 20 metri, tempo di immersione 15 minuti.
Si decide chi dovrà essere il capo immersione che verrà sagolato con una cima di circa 50 metri, ancorata alla superficie ghiacciata del lago con picchetti da ghiaccio; i rimanenti compagni saranno sagolati con delle cime di circa 3 metri di lunghezza ad un moschettone posto alle spalle del capocordata.
Mentre si definiscono i segnali e le modalità dell’ingresso e dell’uscita, il punto di ritrovo lentamente inizia a popolarsi: prima una decina di persone, poi una ventina, sino ad arrivare a circa un centinaio di persone tra subacquei ed accompagnatori.
L’eccitazione cresce sempre di più, tanto che non si riesce a stare fermi con le mani in mano …. e così si comincia a montare l’attrezzatura : si preparano gli erogatori montati su due stadi indipendenti entrambi dotati di sistema anti-freeze, si tolgono le caramelle e si montano gli attacchi din, si inserisce la torcia di riserva nel jacket; un paio di luci chimiche non fanno mai male e ci si infila il sottomuta della stagna.
Con il pagliaccetto tutto sommato non fa troppo freddo.
Ci saranno 7-8 gradi sottozero ma sarà per il sole o l’euforia dell'imminente immersione che il freddo è diventato una sensazione sconosciuta.
Il foro nel ghiaccio ormai è terminato, viene rifinito e smussato per evitare impigli e lacerazioni ed iniziamo ad indossare le stagne, bussole e computer.
Con un po' di fortuna saremo i primi ad immergerci per cui portiamo le attrezzature vicine al foro di ingresso, indossiamo i guanti stagni, il cappuccio e finalmente ci mettiamo le bombole in spalla.


Il foro è lì davanti a noi, un antro scuro in una mare di bianco abbagliante.
Ci sediamo emozionati come bambini sul bordo, con le gambe immerse nell’acqua nera. Veniamo sagolati, ultimo check dell’attrezzatura e via, dolcemente ci lasciamo scivolare nell’acqua.
Ci ritroviamo tutti e tre accanto, verichifiamo che gli erogatori non si siano bloccati per la temperatura gelida dell’acqua, un’ultimo sguardo al cielo, scarichiamo i jacket e .... iniziamo l’immersione.
L’acqua fredda del lago, che aggredisce le poche parti scoperte intorno alla bocca, è di un colore verde lattiginoso mentre il fondo, che piano piano compare, è coperto da un sedimento marroncino che fa temere la nube di polvere che si solleverebbe se fosse solo sfiorata con le pinne.
Tutto appare fermo, immobile, ovattato, si ha come l’impressione di essere entrati in una casa rimasta chiusa per tanto tempo mentre alle nostre spalle, dal foro di ingresso, entra un fascio di luce che sembra bucare la profondità del lago ed al tempo stesso indicare l'unica via di uscita.
Ma la cosa importante quest’oggi non è la profondità, anche perché sul fondo si possono trovare solo tronchi di legno in decomposizione: il bello è rimanere pochi centimetri sotto lo strato di ghiaccio e guardare le bolle d’aria imprigionate dalla spessa crosta che cercano una improbabile via di uscita verso la superficie.
Nella luce sorprendente ci si ritrova ad immaginare le persone al di fuori che stanno passeggiando tranquillamente sopra le nostre teste, su questo strano pavimento di vetro.

Tamara de Lempicka: Saint Moritz (1929)

E noi, infantilmente, proviamo ad attirare la loro attenzione facendo lampeggiare le torce verso l’alto come a dire “ehi guarda …siamo qua….siamo sotto di voi...” ma con assai scarsi risultati: 40 cm di ghiaccio ricoperto di neve è davvero troppo perchè si accorgano di noi.


Quasi senza accorgercene scadono i 15 minuti a disposizione. Dalla superficie ci segnalano la fine iniziando a recuperare la cima alla quale eravamo legati e noi ci lasciamo trasportare lentamente verso la luce che diventa metro dopo metro sempre più splendente.
Un ultimo sguardo al fantastico mondo ghiacciato che stiamo abbandonando ed eccoci in superficie dove ci viene data una mano ad uscire dal foro.
La giornata di immersioni per noi è terminata e lasciamo il lago ghiacciato euforici ma anche un po’ malinconici perchè è finita. Abbiamo però la certezza di poter ritornare l’anno prossimo per una nuova emozionante avventura, felici di aver scoperto un nuovo modo di fare immersioni.

Saint Moritz, 12 gennaio


3 commenti:

Solimano ha detto...

Mi piace l'accostamento del post di Fabio a quello di Giorgio, per temi che si trovano solo nei siti o nei blog specialistici mentre è bene che anche chi specialista non è ne venga a conoscenza. Scrivevo sei anni fa su Golem in "Perle nel pagliaio", un articolo che poi è stato pubblicato su Arengario ed anche qui nel Nonblog:

"Ma il piacere più grande me lo dà la scoperta dei piccoli siti, che una o due persone, solo perché hanno la passione di una vita su quel libro, quel musicista, quella opera d'arte, quel paese, quel bosco, hanno fatto per il gusto di dare piacere a se stessi. Li trovo per caso: uno, due al mese.
Se il contatore delle visite sale è meglio, ma ne possono fare a meno. Appagati senza essere pagati".

Perché quando una passione è vera e non per sfoggio c'è serietà, preparazione, precisione. In genere nelle attività fisiche in cui è presente il rischio fisico è così. Lo si sente nell'articolo di Fabio, con quella terminologia un po' astrusa per noi, che mi richiama le prime volte che andavo in barca in cui non capivo che cosa mi dicesse l'amico che mi aveva invitato.
Ognuno fa le sue scelte, ma sempre si avverte il senso del limite proprio perché al limite lo si è, come succede anche nello sci fuori pista. Non è il voler rischiare che spinge a questo, ma l'essere gratificati proprio dalla piccolezza personale che si sente stranamente non frustrante.

grazie Fabio e saludos
Solimano

NATAKARLA ha detto...

Accidenti, che invidia!
Una cosa che non ha mai fatto, in assoluto sono le immersioni.
Temo sia tardi per rimediare, probabilmente soffrire d'asma sarebbe un ostacolo, e probabilmente sarei anche terrorizzata all'idea;
farlo in montagna, nello scenario descritto qui sarebbe ancora più terrorizzante ma....accidenti, sapendo con chi andare, lo farei, sissi, lo farei immediatamente.
Al diavolo l'asma.
Carla

Habanera ha detto...

Io no, Carla, io non lo farei.
Per arrivare a questi livelli è necessario avere non solo grandissima esperienza ma anche un invidiabile sangue freddo che non è sicuramente il mio forte.
Mi lascerei prendere dal panico al minimo intoppo e metterei a rischio la mia vita e quella del compagno di immersione.
Già la sola idea di essere attaccata ad una bombola per poter respirare mi darebbe l'angoscia, figuriamoci il resto...
Preferisco accontentarmi di maschera e boccaglio per fare snorkeling, quando capita, e godermi l'incredibile vista dei fondali e dei pesciolini coloratissimi restando in superficie.

Grazie, Fabio e un caro saluto anche a Carla e Solimano
H.