lunedì 30 marzo 2009

Specchio delle mie brame (2)




Specchio delle mie brame (2)

di Solimano



Così Giorgio Vasari nella Vita di Francesco Mazzuoli pittore parmigiano:

" ... per investigare le sottigliezze dell'arte, si mise un giorno a ritrarre se stesso, guardandosi in uno specchio da barbieri, di que' mezzo tondi. Nel che fare, vedendo quelle bizzarrie che fa la ritondità dello specchio... gli venne voglia di contrafare per suo capriccio ogni cosa. Laonde, fatta fare una palla di legno al tornio, e quella divisa per farla mezza tonda e di grandezza simile allo specchio, in quella si mise con grande arte a contrafare tutto quello che vedeva nello specchio e particolarmente se stesso... E perché tutte le cose che s'appressano allo specchio crescono, e quelle che si allontanano diminuiscono, vi fece una mano che disegnava un poco grande, come mostrava lo specchio, tanto bella che pareva verissima; e perché Francesco era di bellissima aria et aveva il volto e l'aspetto grazioso molto e più tosto d'Angelo che d'uomo, pareva la sua effigie in quella palla una cosa divina."

M (1931) di Fritz Lang

Hans Beckert (Peter Lorre): "Quando cammino per le strade ho sempre… la sensazione che qualcuno mi stia seguendo. Ma sono invece io che inseguo me stesso.
Silenzioso... Ma io lo sento. Sì, spesso ho l'impressione di correre dietro a me stesso. Allora, voglio scappare. Scappare! Ma non posso, non posso fuggire! Devo, devo uscire ed essere inseguito! Devo correre, correre!"

Jour de fête (1949) di Jacques Tati

Nel paese di Follainville (Saint-Sévère-sur-Indre), il postinoFrançois (Jacques Tati) si accorge improvvisamente di avere un occhio cerchiato. E' uno scherzo che gli hanno fatto qualche ora prima quelli che gli hanno offerto da bere. Sono sicuramente invidiosi della ventata di modernità che François sta introducendo a Follainville, con l'adozione dei sistemi della posta all'americana.

Stromboli (1950) di Roberto Rossellini

Karin (Ingrid Bergman) è una cittadina lituana che per uscire da un campo di concentramento ha sposato Antonio (Mario Vitale), un soldato di guardia al campo. Antonio proviene da un'isola che lei non ha mai visto. Ma la realtà di Stromboli è molto diversa da quello che lei si aspettava: vita dura, costumi diversi. Un senso totale di estraneità. Il guardarsi nello specchio è un riconoscere la Karin che c'era e che ora vorrebbero che non ci fosse più.

Alraune (1952) di Arthur Maria Rabenalt

Lo scienziato Jacob Ten Brinken (Erich von Stroheim) è riuscito a far nascere una bambina dall'unione artificiale di un condannato a morte e di una prostituta. La malefica mandragora germogliava dalle estreme convulsioni dei condannati. Ten Brinken ha creato una mandragora di carne: Arlaune (Hildegard Knef). A diciotto anni è scappata dal convento e si contempla allo specchio. Sedurrà uno studente, un pittore, un barone, uno stalliere, lo stesso Jacob Ten Brinken e il suo segretario.
La vedono e si innamorano, facendo tutti una brutta fine. Mai fidarsi delle mandragore, specie quelle di carne, perdippiù tedesche! In un film precedente, tratto dallo stesso libro di Hans Heinz Ewers, la parte di Alraune fu di Brigitte Helm...

Les Diaboliques (1955) di Henri-Georges Clouzot

Christina Delassalle (Véra Clouzot) è la proprietaria di una scuola privata, ma è suo marito, il crudele Michel Delassalle (Paul Meurisse) , a decidere tutto. Christina si è fatta amica di una insegnante della scuola, Nicole Horner (Simone Signoret), benché sappia che Nicole è l'amante di Michel. Uno studente vede, attraverso il vetro che lo rispecchia, Nicole che prepara una medicina per Christina.

I dolci inganni (1960) di Alberto Lattuada

E' una giornata importante, per la sedicenne Francesca (Catherine Spaak): ha fatto l'amore per la prima volta con l'architetto Enrico (Christian Marquand) che ha trentasette anni. Francesca non sa se le è piaciuto o no, sa che oggi è cominciata la consapevolezza e finita l'adolescenza.

Zazie dans le métro (1960) di Louis Malle

Zazie (Catherine Demongeot), prima è scappata dalla casa dello zio Gabriel (Philippe Noiret), poi ha incontrato un ambiguo personaggio: Trouscaillon (Vittorio Caprioli), che le ha comprato un paio di blu-jeans, seconda aspirazione di Zazie dopo il viaggio sul metrò (che però oggi non funziona a causa di uno sciopero). Adesso Zazie è fuggita abilmente da Trouscaillon portando con sé i blu-jeans, ma Truscaillon, che è un sagace investigatore, l'insegue. Solo che si trova di fronte improvvisamente ad un triplice specchio e si spaventa tre volte vedendo se stesso.

La viaccia (1961) di Mauro Bolognini

Il contadino Amerigo (Jean-Paul Belmondo), giunto da poco a Firenze, guarda ammirato la prostituta Bianca (Claudia Cardinale), che guarda se stessa. Per lei Amerigo perderà il lavoro e si ridurrà ad essere il guardiano del bordello.

Irma la Douce (1963) di Billy Wilder

La passeggiatrice Irma la Douce (Shirley MacLaine) si sistema un ricciolo sotto gli occhi del suo amato Nestor Patou (Jack Lemmon) che è un po' inquieto. Fatica ad abituarsi al suo salto sociale: da poliziotto a lenone. Inoltre è geloso a causa del lavoro di Irma e sta meditando di trasformarsi da lenone in cliente esclusivo. Ma è solo un lavoro, Nestor!

Judex (1963) di Georges Franjou

Del film Judex non sapevo niente, niente di niente. Ma mi sono imbattuto nell'immagine di una suora cappellona bellissima che si specchia ed ha un pugnale in cintura. Non potevo esimermi dal metterla. Però mi sono informato: non è una vera suora, ma una donna astuta che a volte si fa chiamare Diana Monti a volte Marie Verdier (Francine Bergé). Il titolo italiano del film è L'uomo in nero.

La Sirène du Mississipi (1969) di François Truffaut

Marion Vergano (Catherine Deneuve) ha sposato Louis Mahé (Jean-Paul Belmondo), un ricco possidente nell'isola di Réunion, fingendo di essere Julie Roussel, la donna con cui Louis era in corrispondenza. Dopo il matrimonio Marion è scappata coi soldi tornando in Francia. Ma Louis è tornato, ed ha una pistola. Però a volte l'amore è cieco...

Paper Moon (1973) di Peter Bogdanovich

Stamattina Moses Pray (Ryan O'Neal) e la bimba Addie Loggins (Tatum O'Neal) si guardano insieme nello specchio prima di uscire a vendere Bibbie casa per casa. In genere Addie si specchia poco, ma oggi vuol vedere come le sta il fiocco che ha comprato Moses. Il fiocco è utile perché Addie è stufa di essere scambiata per un maschio, quando porta i blu-jeans. Moses, dal suo punto di vista, cerca di tener buona Addie perché si è innamorato di Trixie Delight (Madeline Kahn) e sta vendendo meno Bibbie, con grande dispetto di Addie, sua socia in affari.

La nuit américaine (1973) di François Truffaut

Il regista Ferrand (François Truffaut) sta girando a Nizza il film Je vous présent Pamela. Questa immagine è un fuori scena del film: Julie (Jacqueline Bisset) sta cercando di mettersi a posto davanti ad uno specchio che le presenta una assistente, ma lo specchio è double-face e noi vediamo la faccia dell'assistente. In fondo, si scorge Ferrand. Come si vede, la situazione è ingarbugliata, ma se si tiene presente che il fuori scena riguarda il film Je vous présent Pamela e non il film La nuit américaine, si capisce tutto (o quasi...)

Romanzo popolare (1974) di Mario Monicelli

Giulio Basletti (Ugo Tognazzi) è un metalmeccanico milanese che ha sposato Vincenzina Rotunno (Ornella Muti) una ragazza meridionale molto più giovane di lui ( Vincenzina ha meno di vent'anni). Però il Basletti comincia ad avere l'impressione che la differenza di età si senta, perché attorno a casa ronza un giovane poliziotto meridionale, Giovanni Pizzullo (Michele Placido). Davanti allo specchio, con le mani si stira la faccia come per far sparire le rughe.

Nosferatu (1979) di Werner Herzog

Il Conte Dracula (Klaus Kinski) è riuscito a seguire Jonathan Harker (Bruno Ganz) nel suo viaggio di ritorno dai Carpazi in Germania. Insidierà Lucy Harker (Isabelle Adjani) che lo vede atterrita nello specchio, come se fosse un'ombra.

Madame Bovary (1991) di Claude Chabrol

Emma Bovary (Isabelle Huppert) al ballo non guarda il grande specchio che le sta dietro e che la riflette di schiena. Guarda la sala, le persone, fra cui c'è Rodolphe Boulanger (Christophe Malavoy) che diverrà il suo amante. Emma impara a disprezzare suo marito Charles (Jean-François Balmer), che vede completamente fuori posto, meschino, imbarazzato e imbarazzante.

Basic Instinct (1992) di Paul Verhoeven

Catherine Trammel (Sharon Stone) non si guarda negli specchi: sono gli specchi che guardano lei, triplicandone il fascino dominante. Tempi duri per Nick Curran (Michael Douglas) e Beth Garner (Jeanne Tripplehorn). Il vizio di accavallare le gambe è palese, quello del rompighiaccio è nascosto.

Merci pour le chocolat (2000) di Claude Chabrol

Jeanne Pollet (Anna Mouglalis) non si guarda in uno specchio, ma guarda un ritratto in cui c'è un viso quasi identico al suo. Un ritratto che è come uno specchio. Jeanne comincerà a caprire che cosa c'è dietro il rapporto fra il grande pianista André Polonski (Jacques Dutronc), che l'ha presa a benvolere, e la sua seconda moglie Mika Muller (Isabelle Huppert) che era la migliore amica della prima moglie, morta in un incidente d'auto, di cui Mika sa forse il motivo.

The Dreamers (2003) di Bernardo Bertolucci

Nel 1968 Isabelle (Eva Green), si è chiusa in casa insieme al fratello Theo (Louis Garrel) e al loro amico americano Matthew (Michael Pitt), che hanno conosciuto alla Cinèmateque per la comune passione filmica. Isabelle usa lo specchio per truccarsi, fra un gioco erotico e l'altro col fratello e con l'amico. Usciranno insieme solo per le manifestazioni di maggio.

Van Helsing (2004) di Stephen Sommers

Ancora il Conte Dracula, che stavolta si chiama Vladislaus (Richard Roxburgh). La sua preda in questo film si chiama Anna Valerious (Kate Beckinsale), ma stavolta, nello specchio Dracula sparisce, da buon vampiro che di attiene alle regole vampiresche. E Anna Valerious non sembra più una vittima, ma una danzatrice.

Così ancora Giorgio Vasari, sempre nella Vita di Francesco Mazzuoli pittore parmigiano:

"Francesco, finalmente, avendo sempre l'animo a quella sua alchimia, come gli altri che le impazzano dietro, ed essendo da delicato e gentile, fatto con la barba e chiome lunghe e malconce, quasi un uomo selvatico e un altro da quello che era stato, fu assalito, essendo mal condotto e fatto malinconico e strano, da una febbre grave e da un flusso crudele che in pochi giorni lo fecero passare a miglior vita. Volle essere sepolto nella Chiesa de' Frati dei Servi, chiamata la Fontana, lontana un miglio da Casalmaggiore e, come lasciò, fu sepolto nudo, con una croce d'arcipresso sul petto."

L'autoritratto del Parmigianino con lo specchio concavo è a Vienna, ed è stato eseguito attorno al 1524, mentre l'autoritratto col cappelluccio a sghimbescio (nella Galleria Nazionale di Parma) è dell'ultimo periodo di vita: il Parmigianino, che era nato nel 1503, muore nel 1540, quindi fra i due autoritratti ci sono meno di sedici anni.



giovedì 26 marzo 2009

Due pesche




Due pesche
(Sottotitolo: Ovvero: non calerò mai)

di Silvia
(Sgnapisvirgola)



Quando, alla banale domanda di come ci chiamiamo, abbiamo bisogno di concentrarci per dare la risposta corretta, significa che è giunto il momento di concederci un meritato periodo di riposo.

Sfiniti, particolarmente irascibili, col cervello in pappa, gli ultimi giorni di lavoro, in procinto delle sospirate ferie, sono davvero interminabili e sfibranti.
Davanti ad un monitor qualsiasi acceso su un programma qualsiasi già ci si immagina mollemente adagiati su una sdraio davanti ad un mare cristallino, con riviste amene e non, da leggere poco, perché anche la vista merita riposo;
sigarette, musica preferita in cuffia, bevande di varia natura.
Sconsigliato il vino per ovvi motivi e, per i più energici, carte da gioco o addirittura racchette da ping-pong, bocce, pallone da acqua.

Tuttavia malgrado la pigrizia la faccia da padrona, i bagni anche se brevi, i 50 mt. a piedi che si percorrono per raggiungere la battigia, attività fisica di gran lunga superiore a quella che si fa complessivamente durante tutto l’anno, ti portano a credere che forse potresti pure dimagrire, coadiuvati da un’inspirazione pazzesca di iodio, che “brucia” (cosa non si sa) e una leggera tintarella che ti fa sembrare più sana, più soda quindi più bella. Fa pure rima.
Se poi la vacanza la passerai con altre due signore, pur esse di forme morbide e burrose, e con salde radici emiliano-romagnole, la pia illusione è giocoforza triplicata, come i presunti sforzi volti a raggiungere tale scopo.

Ecco perché le signore in questione, sotto l’ombrellone enorme, per evitare ustioni ed eritemi, (e qui bisognerebbe aprire un dibattito su: ombrellone come, quando e perché), esclusa una che deve avere lontani parenti africani, forse nemmeno tanto lontani, sono fermamente intenzionate a pranzare con due pesche e crepi l’avarizia pure una prugna o un’albicocca, e solamente alla sera, mettere le gambe sotto ad un tavolo ricco di verdure e pasta con condimento francescano.
Bevande: acqua non gasata e fuori frigo, concesso in via del tutto eccezionale beverone alla frutta, anche esotica, ma rigorosamente fuori pasto perché non sono tedesche vivadddio.

La Puglia è bellissima ed Alessano che ha solo la sfortuna (si fa per dire) di essere vicino a Tricase* è particolarmente lontano se lo si vuole raggiungere in auto nel secondo weekend agostano. 12 ore di viaggio comprensive di 450 km. a passo d’uomo hanno provato pesantemente le nostre, che arrivate a destinazione attorno alle nove di sera, anche per colpa del figlio del padrone dell’agriturismo che le ha indirizzate in quel paese da settimana enigmistica che è Tricase appunto, visto che potrebbe essere piazzato nel gioco del labirinto, dei rebus, del trova il paese smarrito ect..etc.., non erano riuscite a fare la spesa ed avevano una fame boia.
Per cui, sporche, sudate, bianchicce, esclusa l’Africana, definita così non a caso, che lamentava un pallore anomalo per il suo incarnato, col rischio che venisse infilzata dalla prima forchetta utile di una delle altre due pallide davvero, partono alla volta di un ristorante locale, per mangiare un po’ di pesce. Ovvio, occorre riprendersi dal viaggio.

E non vuoi innaffiare il tutto con un buon bianco secco del Salento? Rigorosamente fresco; tanto, la vita marinara sarebbe cominciata il giorno dopo.
Ma se il sangue non è acqua, e non lo è, anche se ne è composto in buona parte, i retaggi cultural-gastronomici hanno il loro peso nell’espressione complessiva di ognuno di noi, individuabile nella stazza per esempio. Per cui nulla da stupire se le signore in vacanza alla prima spesa svuotano il negozio di generi alimentari come se fossero approdate su un’isola deserta; poiché di Domenica i commercianti pugliesi, giustamente, fregandosene di essere in luogo turistico rispettano i dettami divini, quindi vanno pure loro al mare o dove gli pare, lasciando le signore in profonda costernazione da budello vuoto.
Trovato dopo vari tentativi l’unico negozio aperto nel raggio di 100 chilometri, l’Africana romagnola insiste pesantemente sull’acquisto della farina per fare le tagliatelle.
Sì, avete capito bene, tagliatelle con sugo di carne, perché questa, folgorata dalla recente scoperta che gli uomini si prendono pure per la gola, in modo selvaggio transita da mesi avanti ed indietro per tutto il nord Italia con tagliere e mattarello nel baule dell’auto, fascinando così un certo Carlo da Monviso, di taglio buddista, che passa nottate intere a piegare e mangiare cappelletti. Perché mai quindi toglierlo dal baule? Non si sa mai che venga un bisogno.
Quattro borse di cibo, pesche zero, quelle se le sono portate da casa ed alcune risentendo del viaggio sono pure in stato avanzato di decomposizione.
Vengono nettate e tagliate a pezzi quale macedonia, da portare in spiaggia appunto, ma successivamente gettate nel pattume perché acidule e un po’ puzzolenti.

Per cui comincia da subito ad insinuarsi la sensazione che sarà difficoltà superiore alle aspettative il perseguire l’obiettivo che ora è meglio identificabile con: almeno non ingrassare come porcelle.
Se il buongiorno si vede dal mattino e nel caso delle nostre si vede benissimo, la colazione è un momento importante, innanzitutto perché si raccontano i sogni per filo e per segno, con relativo simposio interpretativo alternando il tutto a scofanate di biscotti intinti nel latte, fette imburrate con marmellata e Nutella per la Lunga che si sa ne è ghiotta, che mentre ne mangia a cucchiate a grugno sogna la crema aurea del geologo torinese, mentre la Corta che per 350 gg. l’anno s’accontenta di un caffè bevuto in piedi e con l’orologio in bocca, non disdegna, risveglio dopo risveglio, aggiungere elementi in più al suo scarno caffè, fino a lamentarsi che il bicchiere della Ferrero è inesorabilmente vuoto per la terza volta. Tutto questo al grido dei luminari nutrizionisti di tutto il mondo che sostengono che la colazione è il pasto principale della giornata, a tal punto che la Lunga influenzata dal suo perfetto inglese di taglio americano lezze govuei, decide di farsi due uova al tegamino, tanto poi a pranzo si mangiano solo due pesche… L’Africana la segue il mattino successivo per vedere l’effetto che fa, mentre la Corta si fa i sandwich di biscotti e marmellata.

Ora ad essere franchi, la differenza la fa la melanina.
Mentre l’Africana potrebbe stare al sole 18 ore ininterrotte e provare a sera solo un leggero fastidio, le pallide delle comitiva, in particolare la Corta che soffre pure di vitiligine (sembra una mucca olandese) senza l’ombrellone non possono resistere sotto la randa per più di dieci minuti consecutivi. Per cui, spalmatissima di protezione 40 la ruminante e spalmatissima di protezione insufficiente la seconda, l’eritema è sempre in agguato; già nel bagno quotidiano si sottopongono allo stress abbronzante, per cui il resto della mattina lo devono passare sotto l’ombrellone appollaiate come due avvoltoi, mentre l’ombra si rimpicciolisce con l’avanzare delle ore.
Diventa quindi una tortura perché anche il pollicione del piede destro deve essere sottratto alla furia bruciante a picco e sui sassi non si sta particolarmente comode. Per cui accaldate e con le chiappe provate da tanto immobilismo da contorsioniste, alla fine hanno i piedi in bocca, decidono di salire per fare un riposino sventolando la bandiera dei dermatologi di fama internazionale di evitare così le ore più dannose per la pelle.
La pineta, il tavolo fuori in veranda, l’orario consono, come dire, aiutano a pensare alla digestione di un pasto precedentemente ingurgitato, per cui malgrado venga condita con elementi naturali e non manipolati, le nostre si fanno mezzo chilo di pasta in tre, tanto è ad alta digeribilità, poi nuoteranno, quindi smaltiranno.


La sera sarà verdura, verdura, verdura.
Le due pesche per domani, sotto l’ombrellone.


Vagando così da un magnifico uliveto all’altro evitando accuratamente Tricase, le nostre si accorgono che i paesini pugliesi sono pieni di negozi di generi alimentari molto assortiti, nonché varie aziende agricole che producono olio di finissimo gusto e piacevole colore ambrato. Sarebbe sciocco acquistarlo di produzione industriale, per cui via a comprarne taniche da 5 litri, una, due, tre, quattro…. come il vino, molto più economico se comprato in tanica, che se anche è bianco e alla Corta brucia lo stomaco, per fortuna, ad ogni pasto se ne fa fuori 2 o 3 bicchieri tanto è buono e fresco. Poi si sa il vino bianco con le pesche è la morte sua.

Per cui costrette da limitazioni fisiche, condizionate dell’atavico appetito, culturalmente capaci di mettere a tavola 20 persone e farle mangiare pure bene, stimolate da una terra ricca di sapori e profumi a sperimentare nuove combinazioni, le nostre si danno alla pazza gioia, cucinando pesce alla griglia, melanzane all’aglio e prezzemolo, sugo di calamari, pastoni piccanti di grande effetto sulle papille gustative e tagliatelle al sugo, perché sarebbe sacrilego rinnegare le proprie radici.

Avvolte da un piacevole turbine festaiolo, considerando la tavola un momento di grande condivisione, magnanime d’animo, non paghe di soddisfare il loro palato invitano i vicini, ben contenti, a condividere pasti in veranda e al ristorante, vorticando tra origano, prezzemolo e peperoncino, aumentando così i già frequenti travasi d’olio e di vino che l’Africana fa prima di ogni lavaggio di piatti che a detta sua è attività assai rilassante, con conseguente e comprensibile rilassamento delle altre due che non spostano manco una forchetta.



Come ogni cosa di questo mondo tutto ha una fine e pure le ferie. Pensando alle auto come tir, perché nel frattempo si sono comprate: occhialini da mare, sandali di gomma, lettino utile in veranda per la pennichella, materassini multiuso, seggioline di plastica e soprattutto tonnellate di cibo, la mattina della partenza corrono e caricano e puliscono. Ad un certo punto, da un anfratto del frigo, spuntano eroiche tre pesche. Tre pesche sopravvissute al viaggio d’andata e rimaste imperiture quale vano proposito di linea perfetta. Inutile dirlo, senza rammarico e senza un minimo senso di colpa vengono gettate via.

E mentre appugliate nel cuore e nello spirito, ma soprattutto nella gola, le tre signore e appendice pelosa si lasciano alle spalle i campi coltivati a pomodori e melanzane, la radio locale annuncia che si sono perse le tracce di un incauto turista entrato a Tricase alcuni giorni prima. Si pregano i cittadini in grado di trovare la porta di casa loro di dare comunicazione alle autorità competenti in caso di ritrovamento. Nel frattempo la giunta riunita in straordinaria prenderà in serio esame la sistemazione della segnaletica stradale, ritenuta, che Dio li fulmini, insufficiente.
Il motto ora è: vedi Tricase e poi sparati, sempre che ci arrivi.
P.S. dopo circa 8 ore di viaggio la Lunga esordisce: adesso ci vorrebbe davvero una pesca.
Silenzio.


* Tricase è una ridente località vicino a S.Maria di Leuca. In realtà non l'ho mai visitata in quanto non sono mai riuscita ad entrarci, infatti i cartelli d'entrata e d'uscita erano intervallati ogni 50 metri. Ho pensato che ne avessero stampati per errore una quantità esagerata e che avessero dovuto piazzarli ugualmente per giustificare in qualche modo la spesa.

(martedì, 26 dicembre 2006)

Da Passaggi casuali

P.S. La penultima immagine è un gentile omaggio di Stefania a Silvia.
(Habanera)

lunedì 23 marzo 2009

Potenza dell'immagine


Tiziano: Venere di Urbino, 1538
Galleria degli Uffizi, Firenze

Potenza dell'immagine

di Rossella Vita


"Entrate agli Uffizi e procedete verso la piccola galleria più visitata che esista al mondo - la Tribuna - e lì, contro la parete, senza uno straccio o una foglia che la nasconda, potete guardare a sazietà il quadro più sporco, spregevole, e osceno che esista al mondo - la Venere di Tiziano. Non è per il fatto che è nuda e stesa sul letto, no, è l'atteggiamento di una delle sue braccia e della mano. Se mi avventurassi a descrivere quell'atteggiamento, ci sarebbe proprio un bell'urlo di addolorata indignazione - ma ecco lì la Venere a giacere, che tutti possano divorarsela con gli occhi a loro piacimento - e ha diritto di starci, perché è un'opera d'arte, e l'arte si sa, ha i suoi privilegi. Ho visto una ragazzina lanciarle occhiate furtive,; ho visto dei giovanotti fissarla a lungo e assortamente, ho visto vecchi infermi afferrarsi alle sue grazie con un interesse patetico. Come mi piacerebbe descriverla - solo per vedere quanta sacrosanta indignazione potrei sollevare nel mondo - e tuttavia il mondo è disposto a lasciar guardare ai suoi figli e alle sue figlie la bestia di Tiziano, ma non ne accetterà una descrizione verbale [...]. Ci sono dipinti di donne nude che non suggeriscono pensieri impuri - ne sono ben consapevole. Non sto inveendo contro di loro. Quello che sto cercando di mettere in rilievo è il fatto che la Venere di Tiziano è assai lungi dall'essere una di quelle. Non c'è dubbio che fu dipinta per un bagno e forse venne rifiutata perché era un tantino troppo piccante. A dire il vero, è un tantino troppo piccante per qualsiasi posto che non sia una pubblica galleria d'arte."
(Mark Twain, A Trump Abroad 1880)

Un lungo e sorprendente commento, questo di Mark Twain. Veramente difficile oggi considerare questo dipinto osceno, o pensare, per descriverlo, l'aggettivo "piccante". Siamo abituati a ben altro.
Twain introduce però nel suo caustico giudizio tutti gli ingredienti che servono ad una riflessione sulla censura riservata alle immagini, o meglio, su quelle ragioni che hanno portato nei contesti più disparati a invocare la necessità di un controllo su quello che rappresentano, su come lo rappresentano e sulla diffusione delle immagini.
La sensazione generale è che il nostro tempo non sia un contesto di proibizione o di censura delle immagini. Signore e signori di una certa età (ma forse di tutte le età) hanno modo di scandalizzarsi quotidianamente, come per una soglia che sembra continuamente essere violata, e che pure si presenta, sempre quotidianamente, come tale. È una soglia che Twain esprime con grande chiarezza: solo un museo può legittimare questa presenza conturbante, solo l'appartenenza all'ambito dell'arte (alla sua epoca questa autonomia non doveva, forse, essere più messa in discussione, ma vedremo quanto questa libertà debba essere considerata il risultato di una dura contrattazione, mai definitivamente acquisita) può giustificarne la sopravvivenza. Perché se pure Twain era evidentemente lontano anni luce dalla sensibilità di Tiziano o di Pietro Aretino, e dalla cultura di cortigiane che potevano farsi degne modelle di Veneri pagane o cristiane, pare subirne tutta la potenza, proprio come quegli spettatori che descrive, al punto da non potere / volere tentare nessuna descrizione verbale.

Di cosa hai paura?

"Chi aggredisce le immagini, lo fa per provare di non averne paura, e dà così prova della propria paura.
Non è solo paura di ciò che viene rappresentato, ma anche paura dell'oggetto in sé"

(D. Freedberg, Il potere delle immagini, op. cit. p.606)

(01 novembre 2004)

Tiziano: Danae, 1553-1554

Da un articolo su Golem l'Indispensabile

venerdì 20 marzo 2009

Luca e l'inventore dei sogni


René Magritte - Le bouquet tout fait, 1956


Luca e l'inventore dei sogni

di Giulia


Ero alla stazione e aspettavo che una mia amica scendesse dal treno proveniente da Roma. Ho sentito qualcuno chiamarmi. Professoressa… Era Luca, un ragazzone alto e bello che era stato mio allievo anni fa. E' corso da me e mi ha abbracciato forte.
“E’ sempre la stessa- mi ha detto – la vedo solo un po’ più piccola”
“Forse sei tu – gli rispondo – che sei diventato molto più alto!”
Ci siamo fermati a raccontarci quel pezzo di vita che non avevamo “frequentato” insieme.

Lo ricordo Luca, sempre a guardare il cielo. Lo chiamavo e lui sembrava risvegliarsi da un sogno. Io avevo l’ingrato compito di riportarlo alla realtà quando sarei volata anch’io con la mia mente in quel pezzo di cielo su cui si perdeva il suo sguardo e che si intravedeva in mezzo a tutte le case.
Fuggiva con la mente Luca… ma i luoghi in cui andava e che spesso mi raccontava erano sempre magici. Io mi incantavo ad ascoltarlo forse più di quanto io incantassi lui con la mia analisi logica.
I compagni lo chiamavamo tutti Peter come il protagonista del romanzo di Ian McEwan scritto nel 1994, L’inventore di sogni che avevamo letto insieme in classe.

Anche Peter è un bambino un po’ spaesato che si astrae dalla realtà e vive nella sua mente strane avventure. I suoi sogni non sono una vera e propria evasione ma un modo per affrontare in maniera più consapevole, la vita. E nei suoi sogni spesso si animavano le cose che lo circondavano. Gli oggetti possono rivelarsi agli occhi di un bambino carichi di un simbolismo e di un potere che l'età adulta non sa più riconoscere. I sogni di Peter sono popolati anche di paure: la paura del male, dei mostri, del dolore e della morte. Tutto però è espresso in maniera lieve, senza drammaticità. Crescere significa anche conoscere le proprie paure e imparare a convivere con esse.

Proprio attraverso l’immaginazione, il gioco, l’immedesimazione i bambini imparano ad affrontare la propria esistenza con le sue difficoltà. E così faceva Luca che coll’immaginazione e la fantasia imparava ad affrontare una realtà che spesso gli era ostile, perchè non sapeva capirlo.
Spesso Luca mi raccontava i suoi pensieri che diventavano storie bellissime piene di fascino.

René Magritte - L'art de la conversation, 1950

Di Peter Fortune, il protagonista del libro, i grandi dicevano che era “un bambino difficile. Lui però non capiva in che senso. Non si sentiva per niente difficile. Non scaraventava le bottiglie del latte contro il muro del giardino, non si rovesciava in testa il ketchup facendo finta che fosse sangue, e neppure se la prendeva con le caviglie di sua nonna quando giocava con la spada, anche se ogni tanto aveva pensato di farlo. (…) Fu solo quando era ormai già grande da un pezzo che Peter finalmente capí. La gente lo considerava difficile perché se ne stava sempre zitto. E a quanto pare questo dava fastidio. L'altro problema era che gli piaceva starsene da solo. Non sempre naturalmente. Nemmeno tutti i giorni. Ma per lo piú gli piaceva prendersi un'ora per stare tranquillo in qualche posto, che so, nella sua stanza, oppure al parco. Gli piaceva stare da solo, e pensare i suoi pensieri”.
Anche di Luca dicevano che non era "molto giusto", che non sapeva stare attento, che non avrebbe mai concluso nulla nella vita …Vi lascio immaginare cosa si diceva di lui nel consiglio di classe. Io lo guardavo e sapevo che prima o dopo avrebbe saputo dimostrare quanto valeva.
Ha ragione Peter quando dice “Il guaio è che i grandi si illudono di sapere che cosa succede dentro la testa di un bambino di dieci anni”. Nel caso di Luca gli anni erano undici.

Ora Luca era davanti a me… Il suo sorriso caldo e ancora ingenuo. I capelli lunghi e biondi. I suoi occhi dolci mi guardavano con affetto.
“E allora ce l’hai fatta ad uscire dalla scuola?”,
“Sì, ce l’ho fatta” mi risponde, “ma non ho mai rinunciato a sognare…” mi dice con allegria.
“E non farlo mai, non lasciare che nessuno te lo impedisca…”
Mi dà un bacio e se ne va con quella sua aria un po' svagata e la sua camminata dinoccolata, poi si volta e mi grida “Ci vediamo prof…”.
Poi al cellulare compare un messaggino: "mi faccia uno squillo, così so come chiamarla". Obbedisco...
Mi ha richiamato ed un giorno è venuto a trovarmi con altri suoi compagni e con le chitarre.

Il mio Luca oggi compone canzoni e ogni canzone è davvero una poesia…

René Magritte - Le Beau Monde, 1962

Da Pensare in un'altra luce

lunedì 16 marzo 2009

Ester a Venezia

Solimano

Paolo Veronese: L'incoronazione di Ester (part) 1556
Venezia, Chiesa di San Sebastiano


"Ma perché proprio Ester?"
Ho deciso di chiamarla Ester, non Esther, anche se mi viene voglia di chiamarla Estèr, alla fine si scoprirà perché.
La prima volta che entrai nella chiesa di San Sebastiano a Venezia non mi posi il problema, sommerso com'ero dalle tante - e inaspettate- opere del Veronese: nel soffitto, nella sacrestia, nel coro, nelle cappelle, dappertutto. Ma quando ci tornai e mi misi a guardare con attenzione le tre grandi tele incastonate nel soffitto (due di forma ovale, una di forma rettangolare), mi venne spontanea la domanda perché non avevo mai visto chiese in cui ci fossero pitture derivanti dal Libro di Ester della Bibbia.
Le donne della Bibbia in chiesa entrano poco, salvo Eva e un po' Giuditta. Ma Dalila, Betsabea, Ruth e Susanna non ci sono. Figuriamoci la moglie di Putifarre e le figlie di Lot! Anche Sara, Agar e Rachele hanno qualche difficoltà. Con Elisabetta, la mamma di Giovanni Battista, la situazione si sblocca, ma siamo già nel Vangelo, tutt'altra musica.
Per la chiesa di San Sebastiano a Venezia occorrerebbe un blog dedicato, altro che un post... e pensare che anni fa la chiesa apriva per un'ora al giorno, se andava bene. I turisti - pochi e quasi tutti stranieri - aspettavano pazienti.

Tutto comincia con un quadro che è al Museo di Castelvecchio di Verona.
E' un'opera che il Veronese fece per la sacrestia della chiesa dei Gerolamini di Santa Maria delle Grazie a Verona. Il titolo giusto è "Lamentazioni su Cristo morto", più corretto che "Deposizione di Cristo". Fu eseguito attorno al 1548, quando il Veronese aveva solo vent'anni. La commissione del quadro venne dall'abate Bernardo Torlioni, che ne fu evidentemente molto soddisfatto.

Già nel 1551 il Veronese partì alla conquista di Venezia, la capitale della pittura, in cui dominavano due artisti: il più che sessantenne Tiziano e il Tintoretto, che aveva dieci anni più del Veronese. Come è naturale che sia, Tiziano appoggiò il giovane, mentre il Tintoretto lo sentì subito come un concorrente, perché tale era nei fatti.

Poco dopo, ai frati Gerolamini della chiesa di San Sebastiano arrivò un nuovo priore: proprio Fra' Bernardo Torlioni, proveniente da Verona, uomo colto, abile organizzatore, capace di procurarsi le risorse finanziarie e di spenderle bene. Torlioni scritturò immediatamente il Veronese e il risultato fu che il pittore lavorò in San Sebastiano nei vent'anni successivi, sia pure con lunghi intervalli, per dipinti a Venezia e fuori.
Già nel novembre del 1555 erano finite le tele per la sacrestia.

Il quadro più importante della sacrestia rappresenta L'incoronazione della Vergine. La corona non è appoggiata ma sospesa sul capo della Vergine, il modo è analogo al particolare dell'incoronazione di Ester da parte di Assuero, che ho messo in apertura di post. Ci tornerò, su questa analogia.
Tralascio la descrizione delle altre opere della sacrestia (mirabili soprattutto gli Evangelisti), perché appena un mese dopo, quindi nel dicembre 1555, il Veronese firma il contratto per le tele destinate al soffitto della navata, completate nell'ottobre del 1556.

Questo è un particolare dalla prima delle tre tele, che è di forma ovale, e rappresenta Il ripudio di Vasti. Per sapere chi fosse Vasti occorre leggere il Libro di Ester della Bibbia, di cui inserisco alcuni brani:

"Anche la regina Vasti aveva organizzato un banchetto per le donne nella reggia di Assuero. Dopo sette giorni di banchetto, il re, ormai eccitato dal troppo vino, ordinò di far venire accanto a sé la regina Vasti, ornata del turbante regale. Voleva mostrare ai principi e a tutta la gente la sua bellezza, che era davvero eccezionale. L'ordine fu portato dai sette servitori personali del re, che si chiamavano Meuman, Bizzeta, Carbona, Bigta, Abagta, Zetar e Carcas. Contro l'ordine trasmesso dai sette servitori, la regina rifiutò di ubbidire. Il re ne fu molto contrariato e andò in collera."

La conseguenza della collera di Assuero fu che Vasti venne ripudiata. Il Veronese rappresenta l'episodio con tale armonia compositiva e ricchezza cromatica, che nel bel libro di Terisio Pignatti sulle pitture di Paolo Veronese in San Sabastiano (Arti Grafiche Ricordi Milano, 1966) figura ancora il titolo errato con cui fu a lungo conosciuto: "Ester condotta da Assuero". Il quadro sembra una scena di galanteria lievemente turbata, mentre l'episodio di per sé è drammatico.

A questo punto, Assuero desidera che ci sia una nuova regina, e interviene Mardocheo, cogliendo l'opportunità:

"A quel tempo abitava in Susa un Ebreo della tribù di Beniamino, di nome Mardocheo, discendente di Iair, di Simei e di Kis. Era uno di quelli che il re di Babilonia Nabucodonosor aveva deportato da Gerusalemme insieme con il re di Giuda Ieconia. Egli era il tutore di una ragazza, orfana di padre e di madre, figlia di un suo zio. Il nome della ragazza era Adassa, ma tutti la chiamavano Ester. Essa era bellissima e affascinante. Dopo la morte del padre e della madre, Mardocheo l'aveva presa con sé come una figlia. Quando fu dato l'ordine di radunare a Susa ragazze per l'harem, anche Ester fu portata a corte e affidata a Egai, il sorvegliante delle donne. Ester gli piacque molto e conquistò le sue simpatie. Egai le diede subito l'occorrente per curare la sua bellezza, le assegnò un trattamento speciale, le mise a disposizione sette serve, scelte fra le migliori della corte, e la sistemò con loro nella parte più confortevole dell'harem".

Il Veronese rappresenta in una grande tela rettangolare "L'incoronazione di Ester da parte di Assuero", di cui ho già inserito il particolare della corona sulla testa di Ester.

Ma nasce un contrasto fra Aman, il potente ministro del re, e Mardocheo:

"Aman vide che davvero Mardocheo non si inginocchiava e non si inchinava al suo passaggio, e si irritò moltissimo. Quando seppe a quale popolo apparteneva Mardocheo, Aman non si accontentò più di volere la morte di lui solo, ma progettò di sterminare tutti gli Ebrei dell'impero insieme con lui. Nel dodicesimo anno del regno di Assuero, nel primo mese, cioè nel mese di Nisan, Aman fece tirare a sorte la data dello sterminio, mese e giorno".

Che fa Mardocheo? Cerca di farsi appoggiare da Ester, che gli risponde così:

"Chiunque, uomo o donna, osa presentarsi al re nel suo palazzo, senza esservi chiamato, sarà messo a morte. Questa è la legge: lo sanno tutti i funzionari di corte e anche la gente delle province. Perché abbia salva la vita bisogna che il re stenda verso di lui il suo scettro d'oro. Quanto a me, è già un mese che il re non mi manda a chiamare".

Dopo tre giorni di digiuno la coraggiosa Ester agisce:

"Tre giorni dopo Ester si vestì da regina e si recò nel cortile interno della reggia, davanti alla sala del trono. Il re era seduto su trono di fronte alla porta d'ingresso. Appena vide la regina Ester, in piedi nell'atrio, fu ben impressionato dalla sua presenza e stese verso di lei lo scettro d'oro. Ester si avvicinò e toccò la punta dello scettro".

Aman verrà sconfessato ed appeso al patibolo che lui aveva fatto preparare per Mardocheo e ci sarà il trionfo di Mardocheo:

"Mardocheo uscì dalla reggia. Indossava una veste regale di lino e porpora viola e un mantello di bisso e porpora rossa; in testa aveva un magnifico turbante d'oro. A Susa vi furono grandi manifestazioni di gioia. Gli Ebrei erano felici per il trionfo: nei loro occhi brillava la gioia. Quando l'ordine del re giunse nelle varie città e province, gli Ebrei furono presi da gioia e allegria. Dappertutto fecero un giorno di festa e organizzarono banchetti. Molti, che appartenevano ad altre popolazioni, per paura si fecero Ebrei".


La tela ovale de "Il trionfo di Mardocheo" è la più impressionante. Va considerato che le tele sono sul soffitto e vengono viste dal basso. Inserisco due particolari, quello di Ester e delle donne che festeggiano e il particolare dei cavalli, che sembra che penetrino nella chiesa dall'alto zoccolando su di noi.

Tre brani verso la fine del libro di Ester:

"Si era infatti diffusa la voce, nelle varie province, che ora Mardocheo a corte era molto potente. La sua autorità cresceva sempre più. Così gli Ebrei colpirono, uccisero e distrussero i loro nemici, perché potevano fare di loro quello che volevano. Nella cittadella di Susa gli uccisi furono cinquecento; tra questi, i dieci figli di Aman, il persecutore degli Ebrei, il figlio di Ammedata l'Agaghita".
...
"Nelle province, il tredici del mese gli Ebrei si erano organizzati per difendersi, e si erano liberati dai loro nemici: ne uccisero in tutto settantacinquemila, però non toccarono i loro beni".
...
"Sia per le istruzioni contenute nella lettera di Mardocheo sia per i fatti importanti che erano accaduti, gli Ebrei decisero di celebrare quei due giorni di festa ogni anno senza eccezione alla data fissata nella lettera. La tradizione resta in vigore anche per tutti i loro discendenti e per chiunque vuole diventare Ebreo. Da allora in poi ogni famiglia ebraica ricorda e celebra questa festa in ogni città e regione. Gli Ebrei non tralasceranno mai questa festa dei Purim; anche i loro discendenti la ricorderanno sempre".

La festa del Purim esiste tuttora. Assomiglia un po' al nostro carnevale, visto che è celebrata anche con le maschere.

Il libro di Ester, assieme al Cantico dei Cantici, è l'unico libro della Bibbia in cui non figura la parola "Dio". Su questo ci furono discussioni e critiche, in particolare da parte di Martin Lutero. In definitiva, si tratta del racconto di una lotta di potere in una corte orientale, in cui le donne dell'harem hanno la loro influenza. Ci sono aspetti truculenti e il senso di una forte appartenenza tribale.
Le Storie di Erodoto e l'Anabasi di Senofonte sono state scritte più di due secoli prima, mentre il libro di Ester racconta fatti del re dei persiani Assuero (probabilmente Serse), ma è stato scritto nel secondo secolo avanti Cristo, al tempo dei Maccabei per cui i principali nemici erano i macedoni. L'atteggiamento e la curiosità di Erodoto e di Senofonte sono su tutt'altro piano, eppure c'erano state le guerre persiane in cui la Grecia aveva rischiato la sopravvivenza.
Quindi può sembrare strana la decisione del Concilio di Trento di inserire il Libro di Ester nella Bibbia canonica, ma in quella decisione giocarono due elementi: la lotta della Fede contro l'Eresia (quindi contro il protestantesimo) ed Ester come figura della Vergine, che intercede per noi (advocata nostra) presso Dio. Questo era chiaro a Fra' Bernardo Torlioni, che infatti fece rappresentare dal Veronese anche San Sebastiano che rimprovera l'imperatore Diocleziano, quindi un episodio di contrasto fra cristiani e pagani. L'incoronazione della Vergine nella sacrestia corrisponde perfettamente all'incoronazione di Ester nella navata. Fra l'altro, i due quadri sono stati dipinti a distanza di pochi mesi.

Andrea del Castagno: La Regina Ester (c. 1450) Uffizi, Firenze

Jacopo del Sellaio: Ester e Assuero (c. 1470)
Budapest, Museo di Belle Arti

Ecco due singolari rappresentazioni di Ester con destinazione non chiesastica.
Andrea del Castagno dipinse a fresco uomini e donne celebri nella Villa Carducci a Legnaia, e da tempo questi affreschi sono agli Uffizi. Oltre ad Ester, ci sono altre tre donne celebri: Eva, la Sibilla Cumana e la Regina Tomiri.
L'opera di Jacopo del Sellaio faceva parte di un cassone nuziale. C'è il gesto di Assuero che tocca con lo scettro Ester per significare che è bene accetta.

La storia di Ester era stata raffigurata in un'altra chiesa: nella Cappella Sistina in San Pietro. La dipinse in un triangolo della volta Michelangelo nel 1511. Nei due particolari ci sono Ester che accusa Aman davanti ad Assuero e il supplizio di Aman, per cui sicuramente Michelangelo ebbe presente più che la Bibbia, Dante Alighieri:

«Poi piovve dentro a l'alta fantasia
un crucifisso, dispettoso e fero
ne la sua vista, e cotal si moria;

intorno ad esso era il grande Assüero,
Estèr sua sposa e 'l giusto Mardoceo,
che fu al dire e al far così intero
."
(Purgatorio XVII, 25-30)