martedì 2 dicembre 2008

Correva l'anno




Correva l'anno

di Silvia
(Sgnapisvirgola)


1969
Estate


Eravamo a Senorbì, minuscolo paesino della Trexenta, area preistorica-nuragica situata nella parte settentrionale della provincia di Cagliari.

Il babbo, vigile del fuoco, si fece trasferire perché io potessi cambiare aria , fare del mare buono e potessi così migliorare il mio stato di salute poiché mi diagnosticarono la psoriasi, una malattia della pelle definita incurabile, ma che col sole, dicevano, se ne sarebbe rallentato il decorso degenerativo.
Solo dopo molti anni e dopo molto cortisone, per fortuna, si scoprì che quella diagnosi era sbagliata. Merito di quel travaglio però, io conobbi la Sardegna, che amai subito, incondizionatamente, come se vi fossi nata.

In paese alloggiavamo presso una signora, Assunta, che allora mi pareva molto anziana anche se aveva meno degli anni che io ho adesso.
Viveva in una casa modesta, pulitissima, piena di cesti di giungo intrecciato fatti da lei nel rispetto della tradizione tramandata di madre in figlia.
La pigione pagata dai miei le serviva per arrotondare la misera pensione del marito pastore, deceduto poco tempo prima, ma nulla di lei e della sua vita, facevano pensare alla povertà o alla miseria, nemmeno la poca carta musica sulla tavola, ovvero il pane carasau, tenuta da offrire agli ospiti col pecorino fresco e le fave intinte nel sale e che quindi non si poteva toccare. Tutto aveva una precisa misura per Assunta e il metro era la sua grande dignità.


Non aveva figli.
Sempre vestita di nero e sempre con un leggero sorriso sulle labbra, pregava ogni giorno in memoria del marito e dei suoi cari, estinti. La osservavo in silenzio nell’ombra della casa, nascosta dal battente della porta, quando, assorta, si accomodava il velo di pizzo bianco in testa e arrotolava il rosario tra le dita. Mi piaceva molto Assunta anche se la guardavo un po’ in distanza, era molto rigorosa e tanto buona.
E poi aveva un giardino pieno di limoni. Mi piaceva asciugarmi i lunghi capelli al sole, in mezzo a quei colori. Mi sembrava che diventassero ancora più biondi a respirare tanto profumo di limone. E lei ogni volta ne staccava uno e me lo passava e ne prendeva un altro e lo addentava con forza. Rideva forte così, a bocca aperta e facevamo le facce perché erano molto bruschi e succosi.
Era più grande della mamma, ma non di tanto, ed andavano molto d’accordo. Allora non m’interessavano le loro confidenze, ma di certo avevano molte cose da scambiarsi tanto erano diverse. L’una, asciugata dal vento secco e caldo, esile e pallida, perché le Signore non prendono il sole, mia madre, giunonica e morbida abituata alle nebbie padane ma con un incarnato da nordafricana. Era bello vederle insieme, che parlavano del loro corredo matrimoniale che entrambe avevano ricamato a mano pezzo per pezzo.

Un giorno Assunta entrò in casa più allegra del solito, più ciarliera e sorridente. La mamma stava preparando il pranzo e io ero in giardino a giocare. Con l’entusiasmo di una bambina a cui avessero fatto un regalo ci annunciò la sagra di paese che sarebbe cominciata dopo pochi giorni e che ci sarebbe stato un gran daffare anche per noi.
Mi dilungherei troppo nel raccontare quanta operosità ci fu in quella settimana, quanti preparativi febbrili e quanti uomini andavano su e giù per le strade a portare cose e a tirare cavi e luci. Le donne, abbandonati i lavori di cucito che facevano nelle ore pomeridiane, sedute sulla soglia di casa, preparavano pani di forme bellissime e ceste piene di dolci che avvolgevano in carte colorate. Anche Assunta aveva messo la tovaglia di pizzo sulla tavola del soggiorno e preparava dolci in grande quantità aiutata da mia madre che mi strillava in continuazione e mi picchiava sulle mani perché non li rubassi. Solo Assunta, col suo sguardo capace di dire tante cose, mi teneva buona, ma alla fine un paio riuscivo a rubarli ugualmente, o meglio, me lo lasciavano fare. Erano buonissimi.


Il babbo era spesso in servizio e stava in caserma anche una settimana di fila perché quello era il periodo dei grandi incendi e in quel territorio così impervio e selvaggio era molto faticoso spegnere i focolai seminati per i boschi. Tornava a casa per un paio di giorni e poi ripartiva per il distaccamento sito in montagna. Lo vedevo poco però mi dava la sensazione di essere felice. Aveva trovato molti amici, tra i quali Zuddas, che gli faceva da guida e lo aiutava a tracciare i percorsi tra le montagne e raggiungere gli incendi. Il babbo con la sua squadra, spegneva il fuoco con le frasche, perché l’acqua per quanto ne abbondasse nel sottosuolo, non emergeva in nessun bacino da cui poter attingere. Ha passato momenti difficili e anche pericolosi, ma ancora oggi ricorda quel periodo come uno dei più belli della sua vita. E’ un popolo concreto quello sardo, molto orgoglioso delle proprie origini con un forte legame per le tradizioni. Come mio padre.

Venne il giorno dell’apertura della sagra e il babbo che era a casa, per l'occasione, decise che saremmo andati tutti in piazza a festeggiare. Allora Assunta prese mia madre per un braccio e la trascinò in camera da letto che ne uscì poco dopo, vestita con l’abito tradizionale del paese.

Era così bella che non mi ricordo di averla vista così raggiante altre volte. Anche Assunta era contenta, forse un po’ commossa. Probabile che quell’abito le ricordasse momenti belli della sua vita che non avrebbe più vissuto. Tratteneva l'emozione coprendosi la bocca con la mano in una forma di gioia pudica.
Uscimmo tutti e tre, la mamma era molto lusingata, io invidiosa, che avrei voluto anch’io un abito così. E a nulla valsero le insistenze anche di mio padre, di cui Assunta aveva un po’ soggezione, per portarla con noi. Lei era in lutto e non avrebbe potuto partecipare a feste per molti anni ancora. Ci salutò dalla finestra a piano terra, sorridente e orgogliosa che qualcosa di lei fosse con noi.

Mi auguro che stia bene Assunta, nel suo giardino di limoni, col suo sguardo mesto e il suo velo di pizzo bianco per il rosario. Penso ora, che fosse il velo da sposa.

(domenica, 21 settembre 2008)

Da Passaggi casuali



14 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma grazie! Sei stata bravissima a trovare le immagini giuste. La pianta di limoni poi, devo dire che mi ha commossa. Ne sento il prufumo. Grazie Haba sei una persona deliziosa.

Habanera ha detto...

Grazie a te, Silvia.
Sei diretta, spontanea, sensibile.
E sei anche molto sincera, cosa rarissima in questo nostro mondo virtuale.
E' un immenso piacere per me averti qui.
H.

Roby ha detto...

Silvia, grazie del piacere ricevuto leggendo il tuo nostalgico, fresco, coinvolgente post.

Saluti da una mezza sarda che purtroppo è stata nell'isola solo una volta, per le vacanze, 25 anni fa (ma i dolci della foto me li ricordo: li faceva mia nonna, tanto tempo fa, e si chiamano... come si chiamano? Oddio, me lo sono scordato...)

Roby

Anonimo ha detto...

Pabassinas:) quelli con noci e mandorle e uva passa. Li ho visti ovunque o le pardulas fatti con la ricotta. Le seadas vengono servite a fine pranzo (con che coraggio non lo so visto che è formaggio fuso con miele)
Sono lontana dalla Sardegna da alcuni anni e sono in sofferenza. Io e lei abbiamo un rapporto speciale. Conto di tornarci l'anno prossimo.
Grazie Roby, sei molto cara, e anche tu Haba. Sto bene con voi.
Buona notte:)

Solimano ha detto...

Silvia, non sono mai stato in Sardegna, ma ho conosciuto bene alcuni sardi e corrispondono del tutto a quello che c'è nel tuo racconto.
Da sottotenente, fra i miei avevo un ragazzo sardo, che si chiamava Efisio: quando arrivava la lettera da casa, si metteva a piangere in mezzo al cortile della caserma. Se poi la lettera era della morosa, veniva a rompere da me perché gli ottenessi una licenza quarantottore.
Ho riflettuto a lungo, sulle nostalgie, quando ho scritto le Novellette degli Odori. La mia conclusione, del tutto provvisoria, è che c'era dell'ottimo e del pessimo. Non solo per mancanza di soldi, ma per la durezza e la soggezione all'interno del nucleo familiare: meglio un po' meno di dignità e qualche carezza vera in più. Non dico che oggi sia meglio, dico che il tribalismo di ogni genere, compreso quello basato sull'autorità di un padre-padrone o di una madre-padrona, è arcaico ed è bene che non ci sia più. Ho detto in un blog in cui non scrivo più, che ognuno, di qualsiasi etnia, deve imparare ad essere figlio di se stesso. Sono stato denigrato dal blogghiere per aver detto questo, non so se l'ha fatto in buonafede o in malafede, ma l'ha fatto e mi è bastato. Se una persona mi offende, io ci tiro una riga sopra: offendere è ben diverso da discutere.
Il ricordo vivo è una cosa che ci fa bene, sia se si ricorda una gioia sia se si ricorda un dolore, la nostalgia idealizzante è spesso una fuga da un presente non gratificante. Ma il presente è lì, e va comunque preso per le corna, non evitato, perché ci incorna lui, altrimenti.

grazie Silvia e saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Quella sui sardi "che parlano in stampatello" è una battuta che mi ha sempre fatto sorridere (è di Beppe Grillo da giovane, prima che entrasse in politica).
Però della Sardegna so molto poco, e mi dispiace. I sardi che ho conosciuto qui sono tutti brava gente.

Anonimo ha detto...

Sono andata in Sardegna tre volte e l'ho sempre trovata una terra splendida e affascinante. Ho avuto il privilegio di sentirmela raccontare da Marisa Sannia che ha composto splendide canzoni con poesie di poeti sardi e l'ho apprezzata ancora di più. Dovrò tornare alla fine di marzo e aspetto quel giorno anche se sarà per commemorare la morte di questa mia meravigliosa amica di cui sento molto nostalgia.
Grazie per questo post, Giulia

Habanera ha detto...

Giulia, avevo letto sul tuo blog dell'amicizia con Marisa Sannia e mi sono commossa per le parole che hai scritto quando ci ha lasciato.
Da come la descrivi sono certa che fosse una persona splendida, come sanno essere molti sardi.
Pensa che io non conosco la Sardegna ed è una cosa strana; più volte sono stata sul punto di andarci ma è successo sempre qualcosa ad impedirmelo all'ultimo minuto.
Adesso non faccio più progetti. Magari un giorno, all'improvviso, salgo sul primo aereo e finalmente raggiungo l'isola incantata.
H.

Anonimo ha detto...

Efisio, Solimano, è un nome abbastanza comune in Sardegna che loro doppiano sempre in Effisio, infatti d'istinto l'ho letto così:)
Sull'importanza dell'affetto sincero in ogni tipo di relazione non discuto. Non è mai abbastanza a mio avviso. Però anche la dignità è una cosa seria secondo me e non per forza devono collidere le due cose. Assunta era soprattutto una giovane vedova che aveva un preciso percorso da seguire, nel rigore della sua educazione s'intende, e credo che questo per certi aspetti l'aiutasse a sopportare il peso della solitudine, sorretta dal rispetto del paese tutto. Poi c'è il resto del mondo, è vero, altre culture altri modi di vivere, ma lei quello aveva scelto, che io rispetto profondamente anche nel suo rigore. Quando rideva però era più luminosa del sole e con me lo faceva spesso. Sono certa che lo fa anche ora. Poi sono d'accordo con te che le rigide imposizioni, la durezza sono da abolire, ma non sono d'accordo che ognuno deve essere figlio di se stesso, perchè a meno che non viva su un cocuzzolo non può esimersi dal confrontarsi col mondo che lo circonda e il primo riferimento di un individuo è la famiglia. Se aperta, intelligente calorosa e democratica tanto meglio. Ma sono convinta che anche se così non fosse è fondamentale che ci sia almeno nei primi anni di vita. Poi, col tempo è auspicabile che crescendo un individuo impari a decidere con la propria testa e a cercare ciò di cui ha bisogno.
Io sono molto legata ai miei ricordi che conservo gelosamente perchè in loro mi ritrovo a volte perfino con sorpresa, ma sono una che guarda e va sempre avanti. Forse non va bene manco questo, che a volte sarebbe meglio fermarsi (acquisizione abbastanza recente devo ammettere), senza troppa nostalgia magari, ma fermarsi ad ascoltare come si respira. Si possono capire molte cose. E' sempre un piacere parlare con te Solimano, sei sempre generoso. Grazie.

@Il popolo sardo Giuliano, io lo amo molto perchè sono poco contaminati anche se sono inseriti a pieno titolo nel mondo tutto, eppure mantengono più di altri, legami fortissimi con le tradizioni e la cultura di origine che è una cultura di difesa. per cui anche se sono molto molto ospitali sono anche riservatissimi e al contempo molto leali. Ed è gente molto colta. Affascinanti davvero, li consiglio:)


@Giulia, non sapevo di questo lavoro della Sannia. Magari ce lo potrai far conoscere. Mi dispiace per lei e per te che andrai a commemorarne la memoria. Annusa per me il mirto selvatico e la salsedine sul granito. Te ne sarò infinitamente grata. Grazie a te.

@Haba spero che un gionro, per caso, tu riesca a prendere un aereo per la Sardegna. Magari in primavera quando è tutta in fiore.
Merita, credimi, poi per una come te, interessata a ciò che la circonda, mai superficiale, sono certa che me rimarrai entusiasta.
Sto ascoltando le musiche in sottofondo, sono sempre molto piacevoli. In tal senso consiglio i Tenores, regalano belle emozioni.
Buona notte a tutti:)

Solimano ha detto...

Silvia, concordo con te sull'essenzialità della famiglia nei primi anni di vita, ed è la lunghezza dell'infanzia che distingue gli uomini dalle altre specie animali, e non ha caso è lunga anche nelle scimmia antropomorfe. Solo che i genitori debbono avere un atteggiamento di ritiro graduale, è lì il punto. Complicato da aspetti culturali a cui non facciamo l'attenzione che dovremmo. Per fare un esempio che trovo sconvolgente, ancora oggi si parla della Bibbia come libro sacro, scritto direttamente da Dio. Ci girano attorno, ne parlano poco, ma in sostanza per il Vaticano è ancora così. L'episodio di Abramo che deve sacrificare il figlio Isacco è un esempio di tribalismo, anche se indorano la pillola: il figlio è come una cosa che appartiene al padre. Nelle leggi romane, non era previsto il reato di parricidio per un motivo analogo, che sarebbe lungo spiegare. E ancora oggi sono frequenti casi di colpevolizzazione che durano decenni. Credo che la parola amore sia, come diceva Laborit, una parola pericolosa: dietro ci si nascondono tante cose, in particolare l'appropriazione dell'altra persona, e prenderne consapevolezza è necessario. Una piccola controprova è nell'uso delle parole: si parla di legami familiari, mentre sarebbe il caso parlare di rapporti. Nessuno ama essere legato, però si parla di legami: "devi amarmi" è solo una scorretta ingiunzione paradossale, ma quanto è diffusa!

grazie e saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Comprendo cosa vuoi dire Solimano e non posso che darti ragione guardandola da questo punto di vista. Io penso con sempre più frequenza (sarà l'età) al famoso modo di dire:"il sangue non è acqua" che cela i più pericoli vincoli di cui bene scrivi. Penso ai patti di sangue e rabbrividisco. Però, e io qui mi perdo davvero, ma vorrei capire, ci sono dei richiami ancestrali definibili animali ai quali non riusciamo, e credo possiamo sottrarci e il nucleo familiare credo rientri tra questi: la nostra origine, l'appartenenza.
Hai ragione però quando dici che la parola amore così inflazionata, può giustificare le cose peggiori e in tutti i campi non solo quello familiare. E' dell'81 l'abrogazione delle disposizioni sul delitto d'onore che "giustificavano" tale reato, quindi abbastanza recente. La lesa libertà è a tutti i livelli e su ogni pianeta, il reato più grave che possa essere commesso. Purtroppo in familia, di questi reati ne vengono commessi tanti. Ma non è amore però, sono altre cose. Ciao Solimano:)

mazapegul ha detto...

Arrivo in ritardo col commento, contento di aver letto la memoria. C'e' una differenza, tra il mondo descritto da Silvia e quello in cui viviamo, in cui il presente perde rispetto al passato (in altre cose, come dice Solimano, il presente e' piu' umano): il tempo era una volta disuniforme e spezzato. C'era un tempo per il lutto e un tempo dopo il lutto; un tempo per la festa e uno per il lavoro. Questa suddivisione rigida del tempo (anche troppo rigida: guai alla donna che violasse il lutto; sarebbe stata ostracizzata) rendeva pero' il tempo piu' accidentato e interessante; a volte meglio aderente alle persone cosi' come sono.
Come tante liberta' che abbiamo conquistato, anche la liberazione dalle rigidita' del tempo vissuto non l'abbiamo sfruttata al meglio.

PS Efisio Mulas, attore sardo di belle speranze, e' uno degli ospiti fissi di Holliwood Party, Radio3 ore 19.00.

Anonimo ha detto...

Rileggo questo tuo bel pezzo con le 'illustrazioni' scelte da Habanera. Bellissimo tutto!

Azzurra ha detto...

Cara Habanera, il tuo blog é bello, anche perché é arricchito di tante belle fotografie, una delle quali, combinazione é una mia foto di preparazione delle pardulas, che tu hai trovato in rete. Complimenti!