C'è in queste settimane a Bologna la prima mostra dedicata ad Amico Aspertini (1474-1552), pittore bolognese, i giudizi sul quale insistono -nel bene e nel male- sull'aggettivo di bizzarro.
Mastro Amico lo incontrai per la prima volta qualche anno fa, entrando nella cappella di Santa Cecilia a Bologna, e rimanendo mezzo affascinato e mezzo orripilato dai primi affreschi che lì s'incontrano tra quelli del ciclo dedicato alla Santa. Una pittura quantomai distante da quella rassicurante e centroitalica degli ultimi affreschi (Francia e Costa): spigolosa, nordica, disarmonica nelle figure e nella composizione, piena di strani effetti e in alcuni punti vicina all'idea di "discarica visiva". Il custode a cui chiesi mi disse che erano, per l'appunto, di Aspertini Amico, di cui diede per scontato che conoscessi il nome. [Qui una lettura scherzosamente cinematografica del ciclo d'affreschi.]
Negli anni successivi, perlopiù nei miei tragitti tra matematica e ingegneria, ho visto più o meno tutto quello che nelle chiese bolognesi si conserva di Amico. Quasi tutti lavori che adesso sono in mostra alla Pinacoteca Nazionale, assieme ad altri che testimoniano sia delle influenza che sull'Aspertini si sono esercitate, sia quelle -poche- che lui esercitò su altri. In particolare, nella mostra ci sono sia alcuni lavori di Durer a cui Aspertini s'ispirò, che la pala di Raffaello su S. Cecilia (sempre lei!) a cui lui si ribellò. Nel confronto con entrambi, Aspertini è decisamente perdente per talento pittorico e per sintesi teorica (sintesi di cui lui, del resto, si disenteressò sempre).
Proprio questi confronti che lui cercò, però, danno la misura della libertà e quasi dell'eroismo di questo singolare pittore. Aspertini viaggiò a Roma da giovane, dove subì l'influenza sia dell'archeologia romana allora in piena esplosione, che del rinascimento romano di fine Quattrocento. Tornato a Bologna, ebbe modo di conoscere le incisioni di Durer. Da questo incrocio, dai taccuini su cui instancabilmente riportava quello che vedeva, copiando o ritraendo dal vero, e forse anche da una tradizione espressionista forte nell'area padana (e a Bologna rappresentata da Niccolò dell'Arca pugliese, dal ferrarese Ercole de Roberti, dal gotico Vitale da Bologna e altri), Aspertini prese a sviluppare un suo stile, inconfondibile attraverso i numerosi e radicali cambiamenti che ebbe nel corso della sua lunghissima vita.
In partenza, troviamo una lettura radicalmente anti-classica della stessa classicità greco-romana, quasi antiumanistica; o forse, più precisamente, di un umanesimo più terrestre di quello del "dialogo con gli antichi". Più avanti, Amico medita e rimedita la fisiognomica tedesca e nordica, i volti grotteschi, l'esibita imperfezione fisica, la realistica rappresentazione della malattia, lo sguardo ebete (ma si veda questo ritratto per avere un'idea di come Aspertini sapesse entrare e uscire dalla cifra del genere a suo piacimento).
In tutto questo percorso, con fatica e libertà di ricerca insieme, Aspertini ragggiunse vertici di anarchica maestosità:
per poi discendere, del tutto volontariamente, a medioevali e altrettanto anarchici abissi:
Il mio interesse per questo pittore di talento notevole, ma non straordinario, viene proprio dalla testarda libertà della sua ricerca; dalla sua ricerca di sintesi pittoriche (tra il classico e il tedesco, tra il realistico e il grottesco, tra il moderno e il medioevale...); da una sua etica professionale -artigianale e borghese- a cui pare non venire mai meno; dalla decisione nel perseguire strade del tutto eccentriche rispetto al discorso romano allora egemone, e con buone ragioni per esserlo. I curatori della mostra, forse esagerando, mettono in relazione Aspertini addirittura con ambienti protestanti.
P.S. La durata della mostra è stata prorogata fino al 26 gennaio 2009. Buon segno, vuol dire che ha avuto il successo che merita.
(Habanera)
14 commenti:
Grazie. Sapevo nulla di questo pittore. E grazie anche del tono incantato-disincantato.
Màz, mi sono informato sulla mostra, ed ho saputo che chiude ai primi di gennaio. Vorrei andarla a vedere, e magari troviamo l'occasione di vederci. E un pittore singolare e che personalmente mi coinvolge, specie col quadro di San Martino (che è contemporaneo alla Santa Cecilia di Raffaello) e con la Pietà in San Petronio (che è di qualche anno dopo). Io ci vedo soprattutto la ribellione alla cultura dominante a Bologna negli anni della sua formazione, perché noi perdiamo facilmente il senso dei tempi, dei successi e degli insuccessi. Quando Aspertini comincia, la cultura dominante a Bologna è quella del Francia e del Costa, che per tenere botta, aveva ripiegato verso uno stile dolce, dagli aspri inizi. A fine Quattrocento la pittura ha una involuzione reazionaria, rappresentata dal Perugino in Umbria e Toscana e dal Francia a Bologna. A Firenze, succedeva che preferivano il Perugino addirittura a Leonardo, che difatti se ne andò a Milano.
Aspertini non amava questo tipo di pittura, ma non si rivolge ai predecessori Cossa e Roberti (e a Niccolò dell'Arca), ma al Pinturicchio (per i ghirigori di superficie) e soprattutto al Durer che era contemporaneo e che era conosciutissimo soprattutto per le acqueforti. Anche a Filippino Lippi che ha una bella pala in San Domenico. E' un po' un tentato manierismo quando i tempi non erano ancora maturi, però è un pittore che proprio perché bizzarro, dà continue sorprese ed ha uno stile personalissimo. Più che discarica visiva, che implicherebbe una sua incapacità, ricerca proprio il brutto, l'anomalo, il grottesco.
La differenza con i grandi ferraresi é che loro cercavano una bellezza di tipo forte, aspro e fantastico. E che erano sotto l'influsso di Piero della Francesca e della sua pittura di dignità sovrumana. Quello di cui fatichiamo a renderci conto è che le cose cambiavano mese per mese, e magari, uno come Aspertini, non conosceva neppure il Tura e Piero.
E quella del Cossa e del Roberti era pittura vecchia! Succede come con i film...
Aspertivi prendeva quello che c'era nel piatto mentre dipingeva lui, e reagiva pro e contro in funzione della sua personalità (probabilmente disturbata) e della spinta dei committenti. Sono curioso della mostra perché ho visto che ci sono dei quadri di Costa e di Piero di Cosimo, un toscano che reagisce allo stile soave del Perugino come fa l'Aspertini col Francia, ma Piero di Cosimo è a un livello più alto, anche sul piano contenutistico e culturale. D'altra parte, anche fra il Perugino e il Francia c'era una bella differenza...
grazie Màz e saludos
Solimano
Caro Fulmini, l'Aspertini è, da quando vivo a Bologna, uno dei miei pittori preferiti. Pur vedendone dei limiti, mi colpisce la testarda e libera ricerca, l'apertura verso il mondo della pittura -quello antico come quello presente- e lo sforzo faticoso d'interpretare e riprodurre il reale. A parte il piacere visivo (con Solimano, prediligo la pala di San Martino, che meriterebbe un post a parte; ma anche la pietà in S. Petronio e, sempre in cattedrale, le ruspanti ante d'organo), c'è anche l'ammirazione per chi seppe essere nè genio, nè innovatore per il solo gusto d'innovare, nè seguace conformista dei vincenti.
Solimano, alla mostra c'è, tra le altre cose, la pala di Lippi, temporaneamente sottratta a S. Domenico. L'idea di "discarica" me la diede il primo Aspertini (l'oratorio di S. Cecilia, la "pala del tirocinio") e l'ultimo (le ante in S. Petronio). Credo, come te, che l'effetto, soprattutto nelle ante, fosse del tutto ricercato, un'estetica del brutto che ha anche a che fare, immagino, con un realismo antropologico che poco ha a che spartire con le dolci gravità umbre. L'interpretazione della classicità nel giovane Aspertini ricorda più visioni neoclassiche (Piranesi, p. es.), che non colti conversari umanistici: frammenti di scheletri e di marmi frammisti, e abitati da un'umanità spesso minore; archi scìbrecciati, lapidi divelte... Una classicità archeologica e non reinterpretata.
Aspertini dialoga con i moderni, ma anche con gli antichi e i "gotici". In un'anta d'organo, assistono alla predica di uno scapigliato (come Amico amava dipingere i vescovi) S. Petronio alcuni personaggi insaccati nel loro saio, ripresi di spalle come in una fotografia; laddove un pittore conformemente rinascimentale li avrebbe elegantemente torti a guardare altrove, mostrandocene i tre-quarti o il pieno viso. Gli stessi personaggi casualmente seduti, e poco elegantemente offrenti il deretano allo spettatore, li si trova, per esempio, dipinti da Pietro da Rimini nel cappellone di S. Nicola a Tolentino, in quel caso a disputare con Gesù giovinetto nel Tempio.
Ti ringrazio per i commenti e la vivente filologia, che mi pare quasi di poter incontrare mastro Amico mentre vado a mangiare il mio panino mortadellato all'Orto Botanico. Spero che tu venga a Bologna a vedere la mostra, così si vanno a mangiare le lasagne alla pizzeria di Via Belle Arti insieme.
Av salùd,
Màz
Come quasi tutti, di Aspertini non so nulla, a parte l'aver memorizzato questa bella accoppiata nome-cognome.
Perciò sono contento di questi due bei post di Nicola.
A proposito, "Amico" è un bel nome di battesimo, sarebbe ora di ripristinarlo: a quando il maschietto?
Caro Giuliano, Amico è davvero un bel nome. Credo che Melinda e io si sia arrivati a fine corsa, quanto a fertilità, ma in caso...
Màz
Per chi, come me, sa poco di Amico Aspertini, qualcosa si può trovare su Wikipedia.
Ma molto più interessante, a mio parere, è questo indirizzo che segnalo a chi fosse interessato ad approfondire l'argomento.
Non si finisce mai di imparare, è il bello della vita.
Grazie, Màz
H.
E meno male che, strappandomi via da Bologna all'età di 13 anni, il mi' poero babbo diceva tutto orgoglioso: "Vedrai, Firenze è tutta un'altra cosa! In fondo, cosa c'è di bello, di artistico, a Bologna? NULLA!"
La mostra attira anche me... chissà...
Roby
PS: saluti a Melinda e alle due principessine!!!
Sono andato a vedere Il giardino delle Esperidi che ci ha segnalato Habanera, ed è stata una esperienza strana. Da una parte, è un posto di alto livello come testi, come immagini e come scelta degli argomenti (e non è poco). Dall'altra parte, è un posto escludente, non includente, la solita ricerca all'italiana della turris eburnea per felici pochi, che è tutto sommato la strada più facile: impegnativa ma facile, per chi in qualche modo è un addetto ai lavori.
Preferisco il rischio del meticciato, qui sul Nonblog, su Abbracci e pop corn, su Stanze all'aria, che sono fra loro complementari, non in concorrenza (anche se a volte si toccano argomenti simili) perché il meticciato è un atteggiamento generoso ed esigente, è veramente un fare le cose. Poi, chi fa, invece di essere apprezzato e ringraziato, dà fastidio, perché col fare stesso sembra che costringa gli altri a fare la cosa che odiano di più: cambiare, che è una cosa scomoda ma necessaria.
So io le ragioni balorde che mi sono dovuto beccare nel passato e che mi becco ancor oggi, e mi verrebbe voglia di mollare tutto, di mettermi nella Biblioteca di Stanze all'aria accudendo le cose che ho scritto senza fare niente altro, il motivo principale per cui c'è quel blog. Mi ci divertirei e saprei come farle conoscere a chi è interessato o potrebbe esserlo. Gli altri, ecchissenefrega!
Vedrò.
Ma la mia sensazione precisa è che venga chiamato prepotente ed egocentrico ciò che è anche generoso e soprattutto fattivo. E ce n'è bisogno. Cerco di verificare ogni tanto in modo quasi ragionieristico ciò che ho dato e ciò che ho ricevuto, è finché ho la controprova patente che ho dato più che ricevere, mi tranquillizzo, perché mi accorgo di non essere solo prepotente ed egocentrico. Ma è dura, perché è profondamente vero il detto brianzolo: "Una buona azione non rimane mai impunita". Come è vero che distruggere é facile, bastano pochi secondi, a distruggere ciò che si è costruito negli anni. E magari ci si prende anche una piccola soddisfazione personalistica. Ma ci sarà pur bisogno di qualcuno che costruisca, e se non ci sono anche le componenti di prepotenza, di egocentrismo, di narcisismo, il dato di fatto è che non si costruisce un bel niente. Si fa le anime belle sulle nuvolette oppure i maledettisti in cantina (che è poi la stessa cosa). Poi, ogni tanto, ci si lamenta di come è brutto il mondo.
Volevo sfogarmi e l'ho fatto.
saludos
Solimano
Sono d'accordo con Habanera: non si finisce mai di imparare, E' per questo che mi piace leggere questo blog come altri che si imepgnano a regalare ciò che sanno agli altri.
Grazie, Giulia
Caro Ingegnere, sono costretto ad essere d'accordo. E' bello che ci siano dei siti (e dei libri)molto specialistici, ma se uno vuole imparare - se si vuole capire e far capire - bisogna proprio "meticciarsi".
Nel mio piccolo, ho passato una vita a prestare libri, dischi, cassette, film, anche a chi non me li aveva chiesti. E non sempre la reazione è delle migliori, ma è bello trovare uno che ti chiede informazioni su cosa stai ascoltando, e poi si fa prestare il cd o la cassetta; e magari è Haendel, ed aver fatto ascoltare Haendel a uno che non sapeva nemmeno chi fosse è una delle poche cose di cui sono contento.
(Può essere Haendel, o Michelangelo, o Amico Aspertini: ma se non ci si va a "sporcare le mani" rimarranno sempre cose per pochissimi, che poi rischiano di passare per eccentrici) (Si passa quasi sempre per strani se si ascolta Beethoven, lo dico per esperienza...)
Un post bellissimo, tante grazie:) E chissà che non riesca a fare un salto a Bologna con una mia amica e vedere questa mostra che risulta molto interessante.
Io invece mangerò proprio un bel paninazzo con la mortazza, perchè se non la si mangia a Bologna non so in che altro luogo avrebbe senso.
Buona settimana:)
Ci sono stata a metà novembre, alla mostra, ne avevo sentito parlare da Lucio Dalla, in tv, così capitando a Bologna... Bella, ben curata e situata, per chi come me non è del posto, alla fine di una "storica" passeggiata.
angela
Benvenuta, Angela.
Se ti capita di girellare ancora da quelle parti non perderti la mostra del Correggio a Parma di cui ho parlato qui.
Il mio entusiasmo per quella mostra (e per quella città) è tale che qualcuno comincia a sospettare che io sia pagata dal comune di Parma per fare pubblicità. ;- )
H.
Ricevo via mail da Mariagrazia Canu (Comunicazione
Comune di Bologna - Cultura e rapporti con l'Università) questa informazione che segnalo alla vostra attenzione:
La data della durata della mostra è stata prorogata fino al 26 gennaio 2009.
Ringrazio la signora Canu, anche per le gentili parole che ha avuto per il Nonblog
H.
Posta un commento