venerdì 23 maggio 2008

Lambrusco, castagne e pop corn




Lambrusco, castagne e pop corn

di Ilenia Ferrari




non mi ricordo se sono stata una bambina precoce.
se a 3 anni sapevo già leggere e scrivere, se a 5 facevo il cubo di rubik con una mano sola e se a 8 predicavo nel tempio. fatto sta che si è ritenuto necessario mandarmi a scuola.
la scuola era un posto fico, dove potevo farmi tanti amici, mangiare merendine, fare l'intervallo e soprattutto imparare a scrivere. il primo giorno che arrivai a scuola trepidavo di emozione: finalmente le stanghette che mia madre si ostinava a farmi copiare per farmi scrivere “ILENIA” avrebbero avuto un senso. e io avrei potuto farne buon uso da grande, quando sarei diventata una famosissima e stimatissima tabaccaia. anche se non avevo del tutto accantonato l'idea di fare la prestigiatrice.
ma il primo giorno di scuola ricevetti una mostruosa delusione dal sistema scolastico italiano: le maestre si presentarono tutte gioiose, ci convinsero che saremmo stati bene, che a scuola ci saremmo divertiti un sacco e che quelli che stavano per arrivare erano i migliori anni della nostra vita. ma di leggere e scrivere neanche l'ombra. io mi ero convinta che la scuola era bella, c'era quella faccenda delle merendine in ballo: non c'era bisogno di tirarla tanto per le lunghe. e invece niente. l'affaire “scrittura” rimaneva top secret, protetto meglio che dagli uomini di quantico.
le maestre continuavano a citare il loro curriculum vitae, mortae e miracolae e a spataffiare quanto fosse bella la scuola, che magnifica avventura fosse apprendere, che audace e rocambolesca esperienza fosse condividere la conoscenza. questo concetto l'avevo afferrato al primo giro, anche se alla parola “condividere” un brivido mi aveva percorso la schiena: credevo mi si chiedesse di spartire le mie merendine. per fortuna si trattava solo di condividere competenze varie, micca cibo cariatorio.
mentre le maestre tenevano la loro democratica conferenza sul mondo di oz e sul sentiero di mattoni gialli, la situazione tra i banchi degenerava. laura, la bambina puzzona che negli anni avrebbe imperterritamente continuato ad appestare, continuava a piangere perché voleva stare con sua mamma. probabilmente uscire dal miasma nucleare di casa sua le aveva provocato crisi di astinenza e le lacrime le scendevano a fiumi come cagionate da reazione allergica alla combinazione atmosferica di ossigeno e azoto. quella roba necessaria a respirare, insomma. lei, abituata ad inalare esalazioni di grasso fuso e soffritti all'aglio, non c'era avvezza: normale che si sentisse così spaesata.
il primo giorno di scuola, dunque, fu una vera fetecchia. meno male che mia madre, al ritorno, mi fece trovare un fiammante vestito di barbie sul divano. era il regalo per non aver pianto a dirotto come laura e soprattutto, credo, per non emanare il suo stesso nauseabondo tanfo.
e fu sera e fu mattina: secondo giorno di scuola. carica di aspettative e lontana anni luce dalle modifiche della legge moratti, tentai di capire se finalmente mi avrebbero insegnato a scrivere o se questa storia dei sussidiari fosse tutta una bufala messa in piedi dal mondo editoriale per incrementare i guadagni.
così mi sistemai al mio banco estote parati come baden powell, pronta ad apprendere qualsiasi nozione calligrafica. ero armata come rambo, con una staedler HB tra gli incisivi e una gomma lebez incastonata tra pollice e indice.
ecco che, nel furore generale, le maestre fanno l'annuncio.

-bimbi, oggi cominciamo a scrivere. ma quale frase ci accompagnerà per tutto l'anno? qualcuno ha qualcosa da suggerire?

allora, signor maestra: o ce lo dice prima che dobbiamo essere creativi o poi si deve aspettare delle crisi di panico. come faccio a inventarmi una frase da scrivere così, su due piedi? cosa posso dire?

-io signora maestra, io ho un'idea.

era lui: enrico fantini. e questa era la sua prima promulgazione. negli anni a seguire enrico fantini si sarebbe rivelato il maggior sex symbol delle elementari e avrebbe schiantato un sacco di tope-bambine. per il momento, però, era soltanto un tenero frugoletto che aveva avuto un'intuizione.

-dimmi enrico, cosa possiamo scrivere?

la maestra lo conosceva già troppo bene per i miei gusti: c'era un particolare che non quadrava, ma il secondo giorno delle elementari non era il caso di fare la sindacalista dei bambini. dovevo studiare la situazione capire come compitare. o computare.

-non so cosa possiamo scrivere, ma io avrei portato dei ricci di castagna che ho raccolto domenica a serramazzoni!

bambino borghese di merda. io per andare a serramazzoni dovevo aspettare la colonia estiva del prete, nel frattempo andare tutti i sabati in parrocchia, imbustare gli avvisi per la comunità e pulire l'appartamento di don gasparo. e lui, così, se ne esce bello bello e va di domenica sull'appennino a raccogliere ricci. magari non doveva nemmeno fare il turno dei piatti, quel piccolo burnettiano lord fauntleroy.

-vieni qua, enrico e fammi vedere i tuoi ricci. e falli vedere anche ai tuoi compagni, che non sono stati a serramazzoni come te!

piccola maestra di merda: è vero che io non sono stata in montagna, ma non è che la mia esistenza valga meno per questo. io non lo invidio enrico fantini, a me piace alessandro malpighi, peraltro. c'ha le lentiggini e gli occhi verdi e gli piacciono un casino gli scimpanzè.
nel frattempo enrico mostra orgoglioso alla classe i suoi ricci, che facevano veramente cagare. erano ricci di castagna, morti. fossero stati ricci di mare, vivi, ci si poteva fare la spaghettata. con 5 castagne in croce non ci potevamo nemmeno fare l'arrostita di san martino.

-ma che beli, enrico! bambini, non sono meravigliosi questi ricci? su, ripetiamo insieme: enrico ha portato i ricci di castagna, enrico ha portato i ricci di castagna…

morale della favola: per tutto il primo anno di elementari, per imparare l'alfabeto e migliorare le arti calligrafiche e incunaboliche, riempimmo quaderni pigna di scritte in stampatello, corsivo, corsivo maiuscolo, corsivo minuscolo e times new roman che recitavan così:

ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.
ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA.

la noia imperava sovrana in quella scuola elementare ma la precisione ortografica vinceva suprema. così, alla 10.456esima volta che scrivevo daddio ENRICO HA PORTATO UN RICCIO DI CASTAGNA, mi sentii arrivata. quell'anno scolastico fu un inferno, anche perché scrivere di ricci di castagna in primavera era alquanto vintage. ma la maestra perseverava.
scoprii qualche tempo più tardi che enrico fantini ospitava tutti i giorni la maestra a pranzo e andava a casa sua in campagna alla domenica a vedere i cavalli e le mucche. inutile dire che, per non scatenare una rivoluzione orwelliana e finire come i maiali, non dissi nulla ai miei compagni.
quando la scuola finì, io non ero felice perché andavo in vacanza (mi aspettava la colonia del prete e i turni di pulizia in cucina) ma perché capivo che era finalmente terminata l'era dei ricci di castagna. in seconda elementare, ormai perita di bella scrittura, non avrei avuto bisogno delle esperienze bucoliche di enrico fantini per acculturarmi e sarei finalmente diventata una proto-tabaccaia. ma l'insidia si celava infingarda dietro i campi d'oro.
il primo giorno di scuola della seconda elementare ci ritrovammo nei nostri banchi di fòrmica: io ero la solita holly hobbie coi capelli lunghi e neri, alessandro era sempre splendido e lentigginoso e laura non piangeva più. ma puzzava ancora. ed enrico? enrico era lì, con lo sguardo timido e le mani dietro la schiena. la maestra non era cambiata e ci accolse come figliol prodighi. ma non ce ne eravamo andati di nostra volontà, era il ministero che imponeva che le lezioni finissero: tutte quelle feste non avevano molto senso.

-allora bambini, dove siete stati quest'estate?
-in colonia dal prete!
-bene, e tu?
-in colonia dal don!
-ah, e tu alessandro?
-in colonia.
-beh, vedo che siete stati tutti in colonia! ma tu enrico? dove sei stato tu?

dentro di me pregavo intensamente, come non avrei fatto mai in tutti gli anni che avrei frequentato la parrocchia: “non dire che sei stato a serramazzoni, no a serramazzoni, no a serramazzoni, ti prego no!”

-signora maestra, sono stato a…

a viterbo, a margherita di savoia, a buchenwald, dove vuoi…

-sono stato a…

a? parla sporco fauntleroy, dillo, dai!

-sono stato a parma dai miei nonni…

pfiu! pericolo scampato! niente ricci da descrivere o disegnare! evviva! il genio creativo vince sulla ripetitività ciclica!

-… e ho raccolto questa pannocchia di granoturco, che ora mostrerò ai miei compagni!

ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.
ENRICO HA PORTATO UNA PANNOCCHIA DI GRANTURCO.


All'uscita di scuola i ragazzi vendevano i libri
io restavo a guardarli cercando il coraggio per imitarli




P.S. Questo post è stato pubblicato nel blog Lo scopriremo solo vivendo il 16 agosto 2004.
L'ultimo post nel blog è stato pubblicato il 3 gennaio 2006. Fortunatamente il blog è ancora accessibile in rete.
L'immagine delle castagne e dei ricci è di Matteo Marchi .
L'immagine sulla destra del post è di un quadro di Thomas Gainsborough: The Blue Boy (c.1770) Huntington Library, San Marino, California.

16 commenti:

Solimano ha detto...

Ho avuto la bella sospresa di vedere che il blog Lo scopriremo solo vivendo è ancora accessibile in rete. Non solo, ho scoperto che si è rifatto il look e casualmente ha scelto lo stesso modello di Abbracci e pop corn, una cosa che mi fa molto piacere.
Alcune delle ore più belle che ho passato in questi anni in rete le debbo proprio a Ilenia Ferrari ed alla sua straodinaria scrittura, piena di vigore e di umori. Fra l'altro, è una raccontatrice di storie formidabile, e il personaggio di Mery Terry, la coabitante potentina, è diventato mitico. Se uno è triste, basta che vada lì e gli passa. Come scrittura, è tutto meno che trasandata. Curatissima, non sbaglia una virgola, un a capo, una spaziatura. E' di Carpi, e si vede, almeno per me che Carpi è un posto che conosco bene. Difatti molti suoi post si svolgono mezzi in Lombardia mezzi a Carpi, città in cui a suo tempo tornava quasi per ogni fine settimana. Spero proprio che torni qui, c'è solo da imparare, a leggerla, oltre che divertirsi.

saludos
Solimano

Roby ha detto...

O mamma che bellissimo post! Sì, lo so che "chebellissimo" NON si dice nè tanto meno si scrive, ma chissenefrega, davanti ad un pezzo così!!!!

Il terribile Lord Fauntleroy nostrano e la stupida maestra che lo asseconda sono quasi più veri sulla carta che dal vivo. Curioso, anch'io ultimamente stavo riflettendo sul Piccolo Lord, e anch'io, in rete, avevo trovato l'immagine del quadro di Gainsborough... i misteriosi sentieri del web!!!

Applausi a scena aperta per ILENIA, e meno male che "Lo scopriremo ancora vivendo" esiste ancora!

Roby

Habanera ha detto...

Roby, micca (come direbbe Ilenia) l'ho scoperta io questa perla rara.
Ai tempi in cui lei bloggava io manco sapevo ancora cosa fosse un blog. La felicissima scoperta si deve a Solimano, esperto navigatore in rete e scopritore di talenti già da molti anni. E' stato lui a segnalarmela ed anche (diamo a Cesare quel che è di Cesare) a trovare le immagini per questo post.
E' il bello di lavorare in gruppo, specie quando è affiatato come il nostro:
Uno per tutti e tutti per uno.

Besos
H.

Solimano ha detto...

Quando scoprii quel blog, fui curioso di sapere che cosa esattamente stesse facendo nella vita la blogghiera, perché sotto una apparente disinvoltura c'era molto autocontrollo.
Imparai che era una donna sotto i trent'anni che dopo la laurea aveva trovato lavoro a Milano però abitava in un appartamento piccolo credo a Gorgonzola (da cui il discorso di Mery Terry, la coabitante di Potenza).
Come lavoro, mi sembrò di capire che lavorasse a Mediaset, nella parte back office che prepara le sceneggiature dei vari programmi.
Credo anche che venisse molto apprezzata e che salisse rapidamente nella considerazione, per cui il blog perse di priorità rispetto al resto, difatti pubblicò un solo post nel 2005 ed uno nel 2006.
Il che mi fa pensare due cose.
La prima è che a Mediaset sono molto svegli ad accorgersi di una sconosciuta ragazza di Carpi che cerca lavoro a Milano e poi ad utilizzarla per il meglio in funzione dei loro obiettivi.
La seconda è che non sono sicuro che, dal punto di vista scrittura, sia un lavoro che le faccia bene, ma vorrei vedere che cosa farebbe di diverso qualcun altro al suo posto, con l'aria che tira!

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Caro Solimano, a giudicare dal livello dei programmi di Mediaset, penso che Ilenia l'abbiano messa a fare fotocopie, o magari le pulizie.
Peccato per noi, che abbiamo perso una bella lettura; e buon per lei, se prende un bello stipendio.

Anonimo ha detto...

Ma che bello questo post :))
Piaciuto moltissimo.
Grazie.
zena

Roby ha detto...

Sono assolutamente d'accordo con Giuliano sulle ipotesi circa le attuali (eventuali) mansioni di Ilenia in Mediaset... Sigh! Speriamo che tutto d'un tratto si guasti la fotocopiatrice, e che contemporaneamente tutti gli sceneggiatori e programmisti disponibili si ammalino di morbillo o varicella: forse allora avremmo una speranza!!!

[;->>>]

R.

mazapegul ha detto...

Bellissima, questa reverie di Ilenia Ferrari. Che offre il destro per un commento. Il Blog della Ferrari è stilisticamente diverso, ma rientra nello stesso genere di "personalità confusa": il diario-commedia, la sit-com intimista (scritta). Un genere che si avvicina a quello intimistico-autoironico di John Fante, anche se la versione blog è per il consumo quotidiano, tipo cappuccio-e-briosch, non per la lettura-tutta-d'un-fiato richiesta dal libro. A metà tra i due generi c'è il Bar Sport di Benni, i cui brevi capitoli paiono scritti per uscire a puntate su un quotidiano.
Ci sono generi e stili compatibili con la fruizione in rete, altri meno. La rete ama la frammentazione, l'immediatezza, la sincerità (sincera o meno che sia). In rete si leggono bene i limerick, meno bene i sonetti, non si leggono affatto i canti a terzine incatenate (li si deve stampare, poi li si legge su carta). La rete è più ariostesca che dantesca, premia l'aforisma (e le sue varianti, vedi Clelia Mazzini) e rifugge il trattato; privilegia l'incrocio delle strade, non il loro percorso.
(Ma è comodissimo, in rete, fare ricerche SUI trattati, e anche DENTRO i trattati, magari senza fare la fatica di leggerli: frammentandoli, manipolandoli, cercando in essi ricorrenze e discordanze con le funzioni del brouser).

Giuliano ha detto...

Tornando al discorso mediaset, e facendo un discorso serio, questo è un testo che funziona SCRITTO.
La ripetizione delle righe ha un effetto comico visivo, funziona come una vignetta.
Riportato in tv o su un palcoscenico, perderebbe quasi tutta la sua forza - a meno di non trovare un interprete superlativo, cosa che è molto difficile.
Il che mi fa anche pensare che forse molti dei testi televisivi siano nati più belli di quello che poi ci capita di vedere e ascoltare...

mazapegul ha detto...

Giuliano, l'effetto comico dovuto al ritmo sincopato è indubbio (pare di sentire sotto un tamburo). Il comico da ripetizione è in genere un comico crudele, sardonico: una botta in testa provoca empatia in chi assiste, ma cinque botte in testa di seguito, uguali una all'altra, inducono al riso. La vittima diventa "perdente". Anche Chaplin usava questi effetti. Cinque baci, invece, non fanno ridere nessuno (a meno che il baciato non mostri d'essere scocciato).
Ilenia utilizza però l'effetto sardonico su di sè, in parte di vittima. Questo rovescia le cose e la freccia della crudeltà, e cambia il tipo di sorriso.

Solimano ha detto...

Maz e Giuliano, credo di aver colto la finezza dele vostre osservazioni sulle modalità scrittorie di Ilenia Ferrari. Le trovo molto giuste, ma a posteriori.
Mentre si scrive, allo scrittore non succede così e se succedesse sarebbe un guaio, perché finirebbe nell'artefatto. Uno, certe cose ce le ha dentro, quelle che avete detto e forse anche di più, però ce le ha in un modo sintetico-inconscio (è una approssimazione...). Deve soltanto esprimere la cosa, al limite l'idea-cosa, tuttecose insomma, in uno stato di apparente naiveté, che ha dietro una cultura fatta soprattutto di letture giuste, in cui, ancora, non sta lì ad investigare il perché o il percome Gadda o Svevo o Dante etc, semplicemente ne gode, e dal godimento impara.
A valle di tutto ciò, sia per lo scrittore che per il lettore, tutte le operazioni non di ispirazione, ma di traspirazione sono utilissime per alzare l'asticella successiva che è comunque sempre, nel farsi della scrittura, sintetico-inconscia.
Lo si nota benissimo nelle difficoltà di scrittura efficace che incontrano i critici, specie quelli di pittura e di cinema, che sono costretti dal mestiere, che è spesso un mestieraccio, a mettere le brache alle cose, soprattutto alle idee-cose. Per cui la poesia Les phares di Baudelaire, che a suo tempo ho messo qui nel Nonblog, dà più ausilio alla nostra percezione artistica più di un saggio critico competentissimo. Mi rendo conto che si tratta di un discorso pericoloso perché c'è il rischio di una nefasta sensiblerie, ma se pensiamo alla nostra esperienza di lettori ogni tanto felici di leggere quello che stiamo leggendo, funziona proprio così.

saludos
Solimano

mazapegul ha detto...

Vero quello che dici, Solimano, ma l'espressione della cosa ha bisogno di un supporto, di un "etere" su cui viaggiare. Si tratta in genere di un'andatura, di uno stile, di una corrente in cui idee e cose sguazzano come salmoni (o pesci-gatto, o arborelle).
Fissato l'etere (piu' o meno consapevolmente), ci si puo' lasciar andare alla libera associazione (quella per cui il nostro cervello e' piu' adatto, probabilmente).
[Ma tu queste cose le sai meglio di me: credo anzi di averle in parte imparate da te.]
Un esempio qui sotto, dove l'invenzione (povera) e' soggetta dalla regola di avere tutto in un solo periodo.

"Se quel giorno la misticanza di curiosita' e attesa e gia' di gelosia non m'avesse indotto, per poi poterti chiedere di accompagnarti a casa, a resistere per ore a chiaccherare nella nebbia con te assieme ad altri, anche loro impegnati nella gara di resistenza, ma che avrebbero di li' a poco ceduto, avendo altre frecce al loro arco, o forse avvertendo in quel momento una tua gioviale e cortese ostilita'; e se tu -che certo non avevi paura della nebbia, ne' del buio- non avessi poi accettato questa povera scorta; e se, essendo rimasti soli, non avessimo intravisto li' per li' ad avvicinarci un comune avversario: tua mamma che, come un soldato nemico ignaro dei due cecchini che l'osservano con interessata pazienza, rincasava con due pesanti borse della spesa occhieggiando d'attorno per vedere se c'eri tu ad aiutarla come promesso -e dove diavolo si sara' cacciata stavolta- (eravamo celati, non nascosti, dietro la siepe di lauro); se non si fossero, insomma, attivati quei tre o quattro circuiti cerebrali e quelle cascate neurochimiche che, nei minuti seguenti, avrebbero preso a rinforzarsi a vicenda e, per cosi' dire, intersoggettivamente -facendo di noi, a tutti gli effetti, una sola consapevolezza-; se tutta la sequenza non fosse accaduta esattamente nell'ordine, non avremmo finito con lo svavare, ciascuno entro di se', quel buco nel quale saremmo poi rimasti impigliati per anni, ciascuno solo con se', chiamando le pareti del buco: 'tu, amore'".

mazapegul ha detto...

Ma non vorrei parere sempre cosi' ombroso:

"Quella finestra del sesto piano, quella della tua camera di cui -veramente profano- conoscevo solo l'esterno, ma a memoria: le coordinate sulla scacchiera delle persiane di quel lato (B-6, ma ero io quello che veniva affondato), le ore in cui era illuminata dal sole e quelle in cui il palazzo vicino la copriva con la sua ombra; dietro cui la mia immaginazione disponeva i mobili, forse un peluche sul letto, uno scaffale per i libri -un catalogo breve, ma infallibilmente profondo, pensavo-; davanti alla quale ripassavo tra me e me i nostri dialoghi passati e futuri, e le varianti infinite mentalmente analizzate e corredate di note a pie' di pagina ("mai piu' affrontare questo argomento", "rileggersi prima quella poesia"); quella finestra che prometteva piaceri d'infinita intensita' e che di altrettanta intensita' anticipava i dolori; quella finestra per vedere la quale deviavo ogni giorno dal mio percorso naturale, anche piu' volte al giorno, tornando poi sui miei passi, fingendo di aver perso le chiavi...
...quella finestra, scoprii un giorno, non era la tua: abitavi quattro palazzi piu' in la'."

Roby ha detto...

Basìta di fronte a tanta capacità scrittoria, non posso che lasciare qui una traccia della mia ammirazione...

...GANZO, MAZ!!!!!!

R.

PS: riguardo alla ribollita (vedi commenti al post "Casa" di Massimo) non è esattamente la mia specialità: la minestra di fagioli mi riesce moooolto meglio!!!!

mazapegul ha detto...

Il complimento vale doppio, Roby carissima, perche' tu quell'etere che sostiene a mo' di radiazione la cosa e l'idea (dice giustamente Solimano) da inizio a fine del pezzo ce l'hai sempre. E pure vario.
Maz

Solimano ha detto...

Discorsi che vanno fatti, avendone presenti i rischi.
Uno è quello dell'enigmistica, del gioco per il gioco, che diviene spesso aridità di tipo lucido: preferisco Zazie agli Exercises de style, pur ammirandoli molto.
Poi c'è quello del naif di tipo furbetto, che trova tutte le scuse pur di non faticare sugli Autori, e lo sbuzzo nativo non diventa talento.
Ma il rischio maggiore è quello misterico/oscurantista come se dietro tutto questo ci fosse una specie di signore della guerra che ogni tanto si attiva e di cui si è l'amanuense: escono discorsi vaghissimi che però se la tirano.
Invece si tratta semplicemente di facoltà presenti in tutti -più o meno- che bisogna non utilizzare, ma attivare con disinvolta leggerezza.
Racconto due fatterelli. Quando Sabelli Fioretti fece il suo libro sul blog, gran discussione con lui e con Barbara Melotti per ridurre i miei dieci post da venti a dieci righe. Non volevo, mi pareva di essere stato asciuttissimo. Poi, ingolosito dalla pubblicazione de "La grande magnata", presi i miei dieci post e in meno di mezz'ora (ero infuriato) li ridussi tutti a dieci righe. Fatto sta che erano meglio di prima, e l'enigmista che c'è in ognuno di noi mi consigliò di fare l'esercizio inverso: portarli da venti righe a quaranta. E' divertente perché vengono fuori personalità diverse.
L'altro fu un fatto semplice ma un po' drammatico: stavo uscendo dalla depressione (dopo un anno e mezzo) e mi misi a scrivere dei brani brevissimi in cui descrivevo una lucertola sul muro o delle ciliegie in una fruttiera. Fu quasi risolutivo, perché avevo bisogno di ripristinare il sistema percettivo (il depresso è talmente intorcinato in sé che non si accorge delle cose).
Ma va bene tutto, ad un patto: che si provi piacere, il vero motore delle cose (il piacere può essere anche faticoso, come no).

saludos
Solimano