giovedì 22 novembre 2007

Il sonetto


Marie Spartali Stillman: Beatrice


Il sonetto
... dal classico al fantastico

di Emilio Gauna (Giuliano)



Io pensavo che scrivere sonetti fosse una cosa difficile, roba da grandi poeti: Dante o Petrarca, per intenderci.

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta
ch'ogne lingua deven tremando muta
e li occhi no l'ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova:

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.

(Dante Alighieri, La vita nuova)


Poi, qualche anno fa, ho incontrato sul giornale, per puro caso, questo sonetto di Roberto Piumini (nostro contemporaneo):

Sonetto nuovo, fa' come un gatto:
saltale in grembo molto dolcemente,
così garbato che non senta niente,
tanto leggero che non senta affatto.

Non la svegliare con male di graffi
o il caldo e vellutoso strofinio,
o qualche piagnistoso miagolio:
neppure col solletico dei baffi.

Sfiora soltanto con la tua presenza
la calma del suo corpo sognatore:
levale solo il sogno dell'assenza.

Appoggiati, poesia, quieta bestiola,
alla sua mente avvolta nel sopore:
levale il sogno di essere sola.
(Roberto Piumini, “L'amore in forma chiusa “)


E' un sonetto molto bello, e Piumini è quasi bravo come Dante. Ma è anche scritto in un linguaggio semplice e comprensibile, e fa venire voglia di leggerne altri, e magari di scriverne. Io ho cominciato con questo:

Là sulla pieve barocca di Socco
cupo suonava un lamento, un rintocco;
cento cavalli correvano al trotto
poi si fermavan frementi di botto.

Dei cavalieri scendevano armati:
già tutti quanti s'eran celati,
non minacciavano niente di buono...
( sordo e lontano rombava il tuono ).

Socco è frazione di Fino Mornasco;
e non v'è pieve barocca, lo ammetto.
Non vi correvano cavalli al trotto,

e tutto è quiete quassù nel comasco.
Era un mio sogno, uno scherzo, una fola:
provaci tu, se sai far da sola.


Socco non fa comune: è una frazione di Fino Mornasco (Como), e la potete incontrare, venendo da Milano sulla Statale dei Giovi, poco dopo Cermenate. E' una frazione piuttosto piccola, e se non fate attenzione rischiate di non vederla; ma lì abitano delle persone a cui voglio molto bene, ed è per questo che ci sono affezionato.
6 dicembre 2003

Pubblicato anche su Arengario

Barocci: La Madonna del gatto (1574-75)
Londra, National Gallery


7 commenti:

Giuliano ha detto...

... e dunque Beatrice ha i capelli rossi come Moira Shearer. (buono a sapersi).
saludos
Giuliano

Solimano ha detto...

Vorrei dire due cose sulla Madonna del gatto del Barrocci, pittore molto meno noto di quello che sarebbe giusto.
Federico Barocci la dipinse ad Urbino, le sua città, per il conte Antonio Brancaleoni di Piobbico.
Il Bellori definisce il quadro "scherzo" non in senso riduttivo, ma in senso descrittivo, e così ne scrive (1672):
"... la Vergine sedente in una camera col Bambino in seno a cui addita un gatto, che si lancia ad una rondinella tenuta da San Giovannino legata in alto col filo, e dietro si appoggia San Giuseppe con la mano ad un tavolino, e si fa avanti per vedere". Aggiungo che il Bambino è talmente preso dalla vista del gatto da trascurare la mammella da cui stava prendendo il latte. In secondo piano sulla sinistra, si vede un sedile di pietra vicino ad una finestra: chi ha visitato il Palazzo Ducale di Urbino, sedili fatti esattamente così ne ha visti. Il Barocci era solito lasciare una specie di firma di cittadinanza, compare di frequente il Palazzo Ducale in particolare visto dalla parte dei torricini.
Spesso, per parlare del mondo del Barocci, si sono fatti due esempi di suoi contemporanei o quasi: Torquato Tasso nella letteratura e Claudio Monteverdi nella musica.

saludos
Solimano

Roby ha detto...

Devo ancora decidere se mi piace di più il post o le immagini che lo illustrano.. non riesco a scegliere... ma poi, chi mi ci obbliga???

[:->>>]

Roby

Habanera ha detto...

Caro Giuliano, il rosso di Maria Spartali è il meno appariscente che abbia visto in giro. Altri pittori la ritraggono con chiome più aggressive e fiammeggianti ma io preferisco questa. E' molto più vicina all'idea che ho di Beatrice: una donna gentile, discreta e intensa.
Di Moira Shearer (Scarpette rosse, giusto?) ho un ricordo piuttosto vago ma so che mi piaceva molto.
Se ti capita di vedere o sentire Emilio Gauna salutalo caramente da parte mia.
H.

mazapegul ha detto...

Caro Julien,
non cessi di sorprendere.

Il sonetto, comunque, forma versatilissima, non è solo dei poeti altissimi e non solo per alti scopi. (Lo dico per la cronaca: chissà quanti più sonetti di me hai letto, e io mai ne ho scritti).
Può essere usato come lettera (cartolina, telegramma...), dall'inizio ce ne furono di burleschi (Cenne della Chitarra). E poi c'è l'immensa produzione di Belli, tutta di qualità:

ER GIORNO DER GIUDIZZIO

Cuattro angioloni co le tromme in bocca

Se metteranno uno pe ccantone

A ssonà: poi co ttanto de voscione

Cominceranno a ddì: «Ffora a cchi ttocca. »


Allora vierà ssù una filastrocca

De schertri da la terra a ppecorone ,

Pe rripijjà ffigura de perzone,

Come purcini attorno de la bbiocca .


E sta bbiocca sarà Ddio bbenedetto,

Che ne farà du' parte, bbianca, e nnera:

Una pe annà in cantina, una sur tetto.


All'urtimo usscirà 'na sonajjera

D'angioli, e, ccome si ss'annassi a lletto,

Smorzeranno li lumi, e bbona sera.


Io amo particolarmente alcuni sonetti di Foscolo (le cose che di Foscolo più mi piacquero), che del sonetto aveva, in qualche modo, liquefatto la forma, pur mantenendo la metrica inalterata. Per esempio, A Zacinto:

Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

Terzine e quartine rimangono unità metriche, ma viene violata la loro unità e autosufficienza concettuale.

At salud,
Màz

Giuliano ha detto...

Caro NickMaz, io ho smesso da tempo di scrivere in versi... I sonetti sono usciti per scherzo, e il fatto che siano in rete è dovuto al caso. Che poi siano piaciuti, son contento: è ovvio.
E ora, tutti sul sito di Mazapegul!
(ci vediamo là)

Solimano ha detto...

Maz, chi di Belli ferisce... Ne metto uno anch'io, prendendolo da Le farfalle in rete, in cui, oltre a celebrità non contestabili, tipo Nicola, Giuliano, Roby, Clelia, Habanera, Gabriella, Oyrad, Brian etc metto giovani promettenti che si faranno, tipo Belli, Goldoni, Porta, Gozzano, Cellini, Montale, Brel. Vedremo di fargli spazio, a 'sti giovini rompicojoni.
Per amare il Belli, la prima cosa da accettare è che il Belli è dantesco, non petrarchesco. I danteschi vanno cercati con cura, perché son pochi e spesso non conosciuti né riconosciuti.
Ed ecco a voi Giuseppe Gioacchino Belli:

ER CAFFETTIERE FISOLOFO

L'ommini de sto monno sò l'istesso
Che vaghi de caffè ner macinino:
C'uno prima, uno doppo, e un'antro appresso,
Tutti quanti però vanno a un distino.

Spesso muteno sito, e caccia spesso
Er vago grosso er vago piccinino,
E ss'incarzeno tutti in zu l'ingresso
Der ferro che li sfraggne in porverino.

E l'ommini accusì viveno ar monno
Misticati pe mano de la sorte
Che sse li gira tutti in tonno in tonno;

E movennose oggnuno, o ppiano, o fforte,
Senza capillo mai caleno a fonno
Pe cascà ne la gola de la morte.

Roma, 22 gennaio 1833