sabato 13 ottobre 2007

Il velo e la repubblica


Giovanni Bellini: Predica di San Marco ad Alessandria (part) 1504-07
Pinacoteca di Brera, Milano


Il velo e la repubblica

di mazapegul



Tanti anni fa, sulla via di una giovanile vacanza ai tropici, feci scalo all'aeroporto di Ryhad, nella stagione del pellegrinaggio alla Mecca. Nella immensa cupola dell'aereoporto passavano a migliaia i pellegrini, che poliziotti e cartelli indirizzavano a un'altra cupola, il terminal degli aerei per Jedda.
La vista era imponente e spettacolare. Uomini e donne di tutte le razze, con abiti delle fogge più diverse e strane, una varietà che mi appariva selvaggiamente salgariana. Le donne avevano tutte il capo velato, ma in maniera completamente difforme. C'erano quelle con i foulard colorati, quelle col chador nero, quelle completamente coperte da una sorta di coperta. Allora non sapevo del burqa e la mia memoria non ne ha fissato la presenza, che certamente c'era.
Il costume di velare il capo ha una storia, una geografia e un'ideologia. Mi piacerebbe trovare una "Storia del Coprirsi il Capo e delle Ragioni per Farlo".
Perché gli uomini si devono togliere il cappello entrando in Chiesa mentre le donne dovrebbero almeno mettersi un fazzoletto in testa? Perché i preti a capo scoperto e i vescovi e cardinali a capo coperto? Perché nella sinagoga i maschi devono mettere la kippa? Le donne greche andavano velate e le donne romane a capo scoperto? E le galle? Ataturk obbligo' i turchi a vestire berretti di foggia occidentale, motivo per cui gli uomini turchi assomigliano tanto, nel vestire, agli odiati greci.
Chiedevo a un collega marocchino (ateo) come mai metà delle donne che vedevo in giro per Fez avessero il capo coperto. "Un terzo perché sono religiose, un terzo perché c'é un'eleganza locale che passa attraverso i copricapi, un terzo, ma sono un po' di più, perché si tratta di ragazze che vogliono uscire con gli amici la sera, e i genitori le lasciano andare piu' volentieri se si vestono in maniera un po' castigata."
Il velo islamico e' associato in maniera complessa all'emancipazione femminile. Ci si copre il capo perche' si esce di casa. Il velo nasce come un tributo pagato alla società dei maschi nel momento in cui le donne entrano nello spazio pubblico. E ha, evidentemente, un significato di freno sessuale: "sono una donna: non m'importunare", con tutta la duplicità del messaggio, sospeso tra esclusione e protezione, rivolto allo spasimante come al molestatore -del resto, la frontiera tra i due e' di quelle in continuo movimento. L'Orientalismo europeo costruì, tra Settecento e Ottocento, tutto un mondo erotico sulle donne velate e sulla sensualità del celarsi allo sguardo, rovesciando completamente (come tanti poeti islamici) il significato del corpo coperto.
Il velo in occidente ha ancora altri significati. Può essere orgogliosa rivendicazione della propria identità, come è naturale nei giovanissimi, e pure rivolta, in questo caso diretta contro i genitori assimilazionisti. Può anche essere imposizione da parte della famiglia, che cerca di aggrapparsi a delle certezze per sopportare le difficoltà dell'integrazione in un mondo nuovo.
Una mia amica e collega iraniana (atea) amava coprirsi il capo con un velo, di tanto in tanto, proprio per dire: "sì, sono iraniana, e allora?". Le assistenti malesiane della biblioteca di matematica alla Washington University in St. Louis avevano sempre il capo coperto da foulard colorati: gialli, verde smeraldo, rossi. Quando le vedevo passeggiare con le loro connazionali, quelle velate erano immediatamente riconoscibili come malesiane, mentre le altre mi parevano genericamente "asiatiche". Un anonimato identitario che si puo' ricercare o anche rifiutare. La libertà è anche questa: chiunque sia stato straniero ha scelto consapevolmente molte volte "quanto" e "come" apparire straniero, e molte più volte inconsapevolmente.
Per una strana nemesi, mentre i teologi islamici hanno fatto del corpo femminile uno spazio religioso (un recinto sacro), il parlamento francese si appresta a farne uno spazio pubblico. Così infatti si spiega l'incipiente divieto di portare il velo nelle scuole. La scuola è spazio pubblico, quindi laico. E fino a qui, siamo nella scia più luminosa dell'Illuminismo. Ogni corpo presente nello spazio pubblico deve essere allora inteso come spazio pubblico anch'esso, quindi deve essere spogliato di ogni simbolo religioso. Il corpo, cioè, deve essere "svelato" nel senso che, sottraendone i segni d'identità, il corpo, nello spazio repubblicano, si manifesta come puro corpo repubblicano. Rispetto all'ambigua ricchezza dei veli, delle loro fogge, dei motivi per vestirli o per rifiutarli, questa del governo francese risulta come una semplificazione radicale.
Se questa misura fosse davvero il segno di una politica complessiva, ci sarebbe da preoccuparsi. I nostri corpi, ridotti a provincie della repubblica, sarebbero davvero sotto assedio. In realtà le cose sono più semplici. Presi dal panico per il manifestarsi del terrorismo islamico, si chiede agli islamici, e solo a loro, di mostrare di non essere tali. Gli si chiede, insomma, di mostrare una conversione. Di "svelarsi" nel senso di "spogliarsi" di ciò che li rende diversi. Con l'effetto paradossale che qualunque ragazza potrà andare a scuola coprendosi il capo, tranne quella che ritiene che farlo sia necessario.
Così lo scontro di civiltà fa il suo ingresso, neanche troppo velatamente, nella legislazione francese.
1 febbraio 2004



Eugène Delacroix: Donne in Marocco 1832
Acquerello Musée Condé, Chantilly

8 commenti:

Roby ha detto...

Letto tutto d'un fiato.

E -leggendolo- tornata indietro nel tempo, a miei simili viaggi nel bacino meridionale del mediterraneo.

SHUKRAN a Nicola per le emozioni regalate.

Di più, per le riflessioni provocate.

Roby

Giuliano ha detto...

Belli questi ripescaggi. Grazie ancora ad Habanera!

Habanera ha detto...

Roby, sinceramente non so cosa significa
"SHUKRAN" ma credo che si possa tradurre con il nostro "Tanto di cappello!" oppure con l'inflazionato "Chapeau!"
Che è poi quello che ho pensato subito anch'io leggendo questo pezzo di Nicola. Grande, grandissimo Mazapegul!

Giuliano, l'arte del ripescaggio l'ho imparata dal nostro Solimano, ideatore, nonchè autore, del bellissimo Farfalle nella rete" facilmente raggiungibile con il link che ho messo qui tra i miei favoriti.
A lui si deve anche il ripescaggio di questo post di cui io, lo confesso, ignoravo completamente l'esistenza. Grazie, Sol!
H.

Roby ha detto...

Chiedo scusa: mi sono fatta trasportare dai miei vaghi ricordi di arabo maccheronico! SHUKRAN vuol dire GRAZIE!!!!

[:->>>>]

Roby

mazapegul ha detto...

Segno dei tempi bui o segno d'invecchiamento? Ricordavo vagamente d'aver avuto un atteggiamento più problematico verso questo tipo di questioni, ma non ne ricordavo i dettagli.
A tre anni di distanza, mi pare, le cose vengono viste più in bianco e nero, anche da me. Provo per questo una certa insoddisfazione ("un tempo ero diverso e forse in meglio, ma in che senso?"), che sino al ripescaggio di questo post di cui m'ero dimenticato era rimasta nel vago.

Grazie per avermi rinfrescato la memoria.

Nicola

Solimano ha detto...

La parola ripescaggio di per sé non mi piace, ma non è questo il punto.
Psicologicamente preferisco i long seller ai best seller, e a questa preferenza a priori mi sono sempre attenuto nella mia attività in rete: una cosa buona è sempre fresca di giornata, una cosa cattiva è vecchia dieci minuti prima di scriverla.
Ma solo di recente mi sono accorto di una cosa che credo importante: noi rischiamo di fregarci con le nostre mani.
Proprio perché vorremmo che ciò che scriviamo durasse, rischiamo il generico ed il banale con sopra una spruzzata di intelligente furberia, ma il gusto è quello. Mentre, se scriviamo con piena immersione in ciò che vediamo, sentiamo, pensiamo nel preciso momento in cui scriviamo, senza fatica, con naturalezza, sciviamo cose che rileggiamo volentieri anni dopo. Magari l'aspetto ideologico è mutato, ma non ha molta importanza: conta la coerenza dinamica dalla persona che siamo e che spesso, cercando di migliorarci (sta qui il paradosso!) cerchiamo di non essere. Il protect me from what I want è fondamentale, non deve essere la volontà, sia pure intelligente, al primo posto, ma l'attenzione al fuori e l'espressione del dentro.
Sicuramente Nicola, quando ha scritto questo brano, non ha faticato molto, gli è uscito come un frutto maturo che si raccoglie dalla pianta con un solo gesto.
Che volete farci? Succede, a volte, proprio quando non ce lo prefiggiamo. Altro che ripescaggi...
Però mi autolodo (in conto Delacroix): l'acquerello di Delacroix che ho casualmente trovato è una meraviglia da tutti i punti di vista: artistico, culturale, filosofico, sensuale, tecnico. Però guardatelo grande, ci guadagna ancora.

saludos
Solimano

Habanera ha detto...

Caro Solimano, per il Delacroix la mia ammirazione è totale. Me lo sono riguardato più volte, ingrandito, fino a coglierne ogni sfumatura e non posso che darti ragione.
Sul termine ripescaggio, che neanche a me piace molto, penso che possiamo accordarci sostituendolo con riproposta. E' così che mi esprimo anche quando avviso gli altri blogger di aver preso in prestito un loro post per riproporlo su Nonblog. So bene che in un certo giro di blog, neanche tanto ristretto, tutti hanno già letto l'originale. Ma per tutti gli altri, quelli che blogger non sono o che arrivano da strade diverse, le mie riproposte sono del tutto nuove e perciò interessanti; almeno a giudicare dal numero di pagine viste, sempre piuttosto alto rispetto al numero dei visitatori.
Ma non ci sono solo i ripescaggi, (o riproposte che dir si voglia); ci sono anche delle cose inedite di Solimano e di Roby - già notevolmente impegnati su Abbracci e pop corn - che prendono (piacevolmente) di sorpresa anche me e di cui vi ringrazio.

Un saluto affettuoso
H.

mazapegul ha detto...

Gia', il Delacroix.
Nell'appunto grafico che precede i quadri (veri capolavori dell'Orientalismo) al soggetto viene sottratto l'artificio secondario e consapevole (la composizione e messa in movimento ed espressione delle figure, secondo canoni drammatici e innovativi, ma pur canoni); lasciando il campo all'"artificio" primario, che e' poi la maniera in cui l'occhio vede e matita e acquarello disegnano.
Bellissima illustrazione davvero.
Ciao,
Nicola