di Solimano
Bologna, in quegli anni, era piena di preti svegli. Non avevano niente da perdere: il PCI controllava tutto, era imbattibile alle elezioni, tanto valeva permettersi il lusso di essere anticonformisti, perché lo spazio non mancava, ed il cardinale, quello di allora, non tirava il freno, tutt'altro. Semmai, il problema erano i fedeli che erano molto più clericali di questi preti, che dovevano starci attenti, agli umori della messa delle 11 di domenica. Però si potevano sfogare, quando un po' di giovinastri e di giovinastre credenti e miscredenti li invitavano a parlare, parlare, parlare... Come erano bravi a parlare! Il loro vero modello era Padre Ernesto Balducci: chi non l'ha sentito almeno una volta non sa cosa sia ascoltare a bocca aperta uno che te la conta, qualsiasi sia quello che ti racconta. Una grande cultura abbinata ad un linguaggio scintillante e una capacità di creare empatia con gli ascoltatori – non, sia chiaro, l'empatia pericolosa che accelera i battiti dei cuori, quella invece che accelera il flusso dei neuroni. Una sera, eravamo in una decina, ci trovammo con don Contiero, parroco di una chiesa semi-centrale, praticamente una sinecura. Aveva tanto tempo per leggere, e lo sfruttava bene. Fu così che conobbi Gilbert Keith Chesterton, la cui lettura sanò per sempre (quasi...) le ferite inferte al mio buonumore dall'estate trascorsa a leggere Pavese.
Chesterton ha scritto tanto, sicuramente troppo, ma I Racconti di Padre Brown ad esempio sono oggi sottovalutati rispetto al loro valore, anche se a volte hanno un che di troppo voluto, troppo costruito. E' la formula che li frega un po', l'adozione dello schema problema-soluzione, robe adatte ad Agata Christie, che ci ha sguazzato per decenni. Chesterton è essenzialmente uno scrittore in overdose di fantasia, è una mirabile dote che non si confà a chi scrive gialli, o presunti tali. Sì, la fantasia si può applicare anche all'intrigo, come no, e la Christie e tanti dopo di lei sono maestri; la fantasia che interessa Chesterton è la fantasia dei rapporti umani, la continua sorpresa che dà l'incontrare persone inaspettate, si diviene inaspettati... soprattutto per se stessi, che è la cosa migliore.
I due grandi libri sono Le Avventure di un Uomo Vivo, Manalive e L'Uomo che fu Giovedì, The Man who was Thursday, il più bel titolo che sia stato dato ad un libro dai tempi della scrittura cuneiforme.
Il protagonista di "Manalive" una sera si mette a rastrellare il prato attorno alla sua casa, alza la testa, guarda le persiane e la cassetta della posta e dice a se stesso: “No. Il verde delle persiane non è più quel verde, ed il rosso della cassetta non è più quel rosso. Debbo fare qualcosa”. E parte, col rastrello in spalla, per tornare a casa passando per gli antipodi, facendo il giro del mondo. Semplice, no?
In "The Man who was Thursday" c'è il grande professore di matematica De Worms, ma c'è un simulatore che gli somiglia come una goccia d'acqua e che si spaccia per lui. Infastidito, De Worms organizza una pubblica riunione per smascherarlo, ma il pubblico, alla fine del dibattito, decide che il simulatore è lui, non l'altro. Il De Worms vero è troppo vero per essere credibile...
Come era Chesterton? Grande e grosso, come Innocence Smith, il protagonista di Manalive. Quando era molto giovane, era filiforme, però. Forse non era lieto come sono i suoi libri, ma ci rispettava troppo per tediarci con i suoi guai. Pardon, non ci rispettava, ci amava.
P.S. Inserisco tre immagini. Quella in alto è una caricatura di Chesterton uscita su Vanity Fair nel 1912. Quella di fianco è un autoritratto di Chesterton a vent'anni. Quella in basso è un disegno di Chesterton: "Despair of Herod on finding children convalescing from the massacre".
13 settembre 2004
4 commenti:
Caro Suleiman, hai conosciuto padre Ernesto Balducci? Che fortuna... Tanti anni fa ho letto una sua intervista sul Corriere, non l’ho più dimenticato. Così come non ho mai dimenticato le parole di padre Davide Turoldo: altro che tornare alla messa tridentina...
Quanto a Chesterton, ahimè, è un altro dei miei grandi rimpianti. Ormai sono passati più di trent’anni da quando Borges mi disse che Chesterton era grandissimo, ma non ho ancora trovato il momento... (me lo disse nell’Aleph e nelle Finzioni, tra una riga e una pagina stampata).
Forse sono ancora in tempo, appena finisco HG Wells e il libro di interviste di Kubrick...
saludos
Giuliano
Giuliano, ho sentito dal vivo Balducci, La Pira, Turoldo, Lercaro, Bettazzi, Gozzer e Carlo Carretto, che poi andò dieci anni nel deserto. E i Gesuiti agli esercizi spirituali, a cui andai quattro volte.
Rispetto agli attuali personaggi noto la differenza, e non credo che sia così perché mitizzo il passato.
Questi avevano letto tutti Claudel, Peguy, Mounier, Maritain Bernanos, Congar, Chénu, Danielou e Kung. Anche il meno dotato di capacità oratorie che c'era fra loro lo si ascoltava con attenzione perché avevano delle cose da dire, ci credevano, le avevano capite e volevano che ci pervenissero efficacemente.
Il più colto ed efficace era Balducci, il più convinto e convincente era Carretto.
Leggiti i tre libri di Chesterton di cui parlo. Oltre tutto, è pieno di spirito, ma soprattutto di fantasia, anche pittorica. Sapeva dipingere e guardava la realtà e le persone con gli occhi di un pittore.
saludos
Solimano
Carissimo, Balducci e compagni a parte, hai centrato perfettamente tutto.
Chesterton è stata la mia salvezza, e lo è ancora, grazie a Dio.
Esce in questi giorni L'uomo che sapeva troppo, e tu, Giuliano, trovalo questo tempo per fare qualche lettura sana che ti riconcilierà col mondo!!! Ringrazierai Iddio fino alla fine del tuo tempo!
Uomo vivo, come vedi, benché tante cose le vediamo in modo diverso, ci sono degli argomenti e delle persone su cui ci si intende, non solo come idee, ma come esperienze, perché leggere è anzitutto una esperienza. Credo alla inclusività, non all'esclusività, e credo che la storia personale di ognuno di noi non si cancelli come il gesso sulla lavagna.
grazie e saludos
Solimano
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