sabato 25 agosto 2007

Jerome Klapka Jerome


Jerome, George, Harris e le tre ragazze durante una gita festiva


Jerome Klapka Jerome
(Livre mon ami 3)

di Solimano



Il guaio, quando leggevo un libro che mi piaceva molto, era che venivo assalito da un pedante perfezionismo da bravo bambino: di quell'autore dovevo leggere tutto.
Un guaio, perché le delusioni sono state tante, ed anche il tempo perso in attesa dei momenti magici del primo libro, che alla fine ne usciva ridimensionato.
Successe con “Tre uomini in barca” (per non parlar del cane).
Il ginocchio della lavandaia, lo zio Podger, la camicia di George finita nel Tamigi… Jerome Klapka Jerome aveva una sua furberia, nel partire facendo ragionamenti vittoriani - era un vittoriano, in fondo - che io leggevo compunto e rispettoso, perché anch'io, in fondo ed in superficie, ero un vittoriano, con uno sbadiglio che si aggirava senza giungere all'epifania, anche lo sbadiglio era vittoriano.
Ad un certo punto, Jerome inseriva la storiella: lieve lieve, ben scritta, adatta a tutte le età, priva di doppi sensi, allegra. Ed io ridevo di gusto, come allora non si rideva a scuola, divisi fra i professori che ci davano del lei e quelli che ci davano del tu (preferivamo i secondi). Fu allora che mi comprai “Tre uomini a zonzo”, “Pensieri oziosi di un ozioso”, “Loro ed io”. I tre ciclisti in giro per la Germania mi delusero, i pensieri oziosi mi rianimarono, qua e là, con "Loro ed io" chiusi i rapporti con Jerome, che si rivelò una specie di piccolo profeta che si truccava da umorista per persuadere al bene.
Figuriamoci che in "Loro ed io" si discute per tre pagine se è bene leggere Tom Jones o no, un romanzo (splendido!) di Henry Fielding scritto centocinquant'anni prima. Tutto perché il protagonista, Tom Jones, appunto, è molto sveglio con le ragazze ed ogni tanto passa a vie di fatto. Alla Regina Vittoria ciò non stava più bene.
Imparai più tardi che negli anni in cui scriveva Jerome, scriveva anche Oscar Wilde. Oggi, ripenso con un sorrisetto distratto ai tre barcaioli, ma "L'importanza di chiamarsi Ernesto" lo rileggo volentieri, in inglese col testo a fronte (anche chi conosce l'inglese è bene che abbia l'ausilio dell'italiano, Wilde è una volpe fina), e prima di arrivare a metà pagina, mi accomodo meglio in poltrona, perché la serata promette bene.

9 agosto 2004

Tom Jones (Albert Finney) alle prese con Molly (Diane Cilento)
nel film di Tony Richardson (1963)

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