lunedì 30 luglio 2007

Le mie venticinque lettrici



Le mie 25 lettrici

di Giuliano




Mi è piaciuta la riflessione di Solimano sullo scrivere. Dice cose di buon senso, e non si può che convenire; ma mi ha fatto venire voglia di aggiungere qualcosa, ed è un po’ un parlarsi addosso, ma ogni tanto è utile farlo. Comincio dall’inizio, da quando internet non c’era. In altri tempi, persone come noi che scriviamo sui blog avrebbero fondato una rivista: anzi, non l’avrebbero mai fondata perché pubblicare una rivista di carta costa moltissimo, e al massimo col ciclostile e con la fotocopiatrice ci si poteva fare il bollettino parrocchiale, che non è il massimo delle soddisfazioni. E poi, siamo uno a Roma e uno a Monza, una a Ravenna e una a Firenze: difficile mettere in piedi una rivista in queste condizioni. Invece con internet ci siamo, i costi sono vicini allo zero, non c’è il problema di stampare e distribuire, pubblichiamo qualcosa tutti i giorni e siamo anche bravini. Quanto al farci soldi, penso proprio che nessuno di noi ci abbia mai pensato: il nostro genere di scrittura è del tutto gratuito, proprio come chiacchierare con degli amici con cui ci si trova bene.

Si sa che il mondo dei libri e dei giornali è un mondo molto chiuso, ed è difficile entrarvi; e tutto questo andava bene negli anni passati, quando il controllo su chi scriveva nei giornali ed appariva in tv era molto stretto, perchè così si salvaguardava la qualità di ciò che veniva pubblicato. Era molto difficile, ancora negli anni 70 e 60, trovare un cretino in radio, in tv o sui giornali; oggi accade esattamente il contrario, sappiamo anche di chi è la colpa, ma pazienza. Quello che stavo dicendo era che, quando a un “fuori casta” accadeva di aver qualcosa da dire, o da ridire, su quello che accadeva o che aveva appena letto, c’era un solo strumento: le Lettere al Direttore. Sappiamo tutti come sono fatte queste rubriche. Non sono proprio tutte così, ma di regola succede che uno scrive, e la Redazione magari pubblica, ma solo per dirti che hai torto (con il maggior garbo possibile, o magari con pesante ironia), oppure per darti ragione se già eri d’accordo con loro. A me accadde in anni lontani: su una rivista di musica, nel 1980, e su una di cinema, negli anni 90. La distanza di dieci anni non è casuale: quando ti capita una volta, poi ti passa la voglia e ti chiedi chi te lo ha fatto fare.

Io ho iniziato a vedere alcune mie cose pubblicate solo con internet, nel 2001: è stato un puro caso, con rime e versi che non mi sarei mai sognato di far leggere in giro (e infatti ho usato uno pseudonimo, per tre anni) e ne ho ricavato alcune belle soddisfazioni, compresi i famosi 25 lettori di cui parlava Solimano; e siccome alcune erano lettrici, mi sono permesso di fare una modifica al Manzoni per il titolo di questa piccola serie. Il bello di “Golem” è che si può scrivere all’autore. Infatti anch’io ho ricevuto posta, una dozzina di lettere in tre anni, che sommate a chi scrive su “Stile Libero” fa proprio 25, se non sbaglio i conti che sto facendo sulle dita. Forse chi mi scriveva pensava che io fossi della cerchia di Umberto Eco, e comunque uno scrittore noto; penso alla delusione di chi ha ricevuto la mia onesta risposta (di quei lettori-lettrici sono rimasto in contatto solo con due persone, amicizie delle quali mi onoro).

Il pericolo in agguato quando si scrive è il narcisismo. Ci si innamora dei propri scritti, si pensa che valgano molto, ci si sente al centro del mondo, eccetera. E’ quello che capita col 90% dei blog e dei videoblog, ed è normale che succeda. A me mi hanno stroncato subito: la Redazione di Golem (persone alle quali voglio tuttora molto bene) mi ha cambiato e tagliato alcune cose sulle quali avrei voluto essere consultato. Non che fossero capolavori, ma l’autore ero io... Almeno su queste cose mi piacerebbe avere l’ultima parola, sarebbe bello che ti dicessero: “E’ troppo lungo, riscrivilo”. Invece no, si taglia si cambia e si cestina senza chiedere niente, e a me questo non piace; in questi casi, preferisco continuare a scrivere per me. Scrivere è un esercizio che mi è servito per diventare un lettore migliore: è solo scrivendo, provando a scrivere, che si può davvero capire Joyce.

Oggi, grazie alle redattrici di Golem e a un misterioso Ingegnere, ho dunque i miei 25 lettori e lettrici: che fare? Nei primi tre anni di Ulivo Selvatico, non avendo mai pubblicato niente, avevo 45 anni d’arretrati. Li ho smaltiti tutti, non ho quasi più cose da dire, mi accorgo che ho scritto troppo e che mi ripeto, e che il più delle volte, anche davanti all’attualità, potrei ripubblicare pari pari le cose che ho già scritto anni fa (sono tutte accessibili in archivio, un grazie a chi ha fatto il lavoro!).


In questi anni, dal 2003 quando abbiamo iniziato, c’era un governo pessimo. In Lombardia c’è ancora, ma almeno a livello nazionale non avere più i fascisti al governo è stato un sollievo mica da poco. E’ per questo che mi sono preso il lusso di tornare a parlare di musica, o di altri argomenti più leggeri. Ho notato che anche gli altri ne hanno approfittato, forse ci sentiamo tutti più leggeri, sollevati; speriamo che duri, e che un giorno si possa tornare a parlare di Politica.

Parlare di musica, o di cinema, o di ricordi, è un altro modo di parlare di politica. Penso che ne siamo tutti coscienti; anche parlare dei propri casi personali o di chi si incontra per strada serve, può servire per cambiare, almeno nel nostro piccolo. Per esempio, attorno a che cosa sta nascendo questo benedetto Partito Democratico? Attorno al nulla delle chiacchiere di Montecitorio? Sarebbe bello che nascesse dal mio edicolante, dai “campare la vita” di Rigoletto, dall’ortolano di Monza, dai giapponesi di Firenze...

Ai tempi di Golem, a me hanno detto (era una mail dubbia nel suo mittente, sembrava quasi un sondaggio, chissà chi c’era dietro) che “non è possibile che un operaio scriva in questo modo e abbia tanta cultura”. Chissà poi perché: a chi la pensa così andrebbe ricordato che l’invenzione di Gutenberg, il libro a stampa, risale ad ormai parecchi secoli fa, e che da allora è diventato relativamente facile (oggi, facilissimo) trovare e leggere i grandi libri. Leggerli, e imparare: anche per un muratore e una cassiera, perché no? E’ perfino divertente quando succede che tu hai già fatto una cosa e arriva qualcuno che ti dice che è impossibile che tu l’abbia fatta, e che in ogni caso è brutta e non interessa.

Mi piace leggere le recensioni ai libri sui giornali. Come per il cinema, ho imparato ad essere dietrologo: tolti quei sempre più rari critici che davvero vale la pena di leggere, il resto è “recensione amica”, uno spot a pagamento o un piacere a un amico (o a un’amica) che poi ricambierà. E’ un fenomeno che meriterebbe un bel saggio all’inglese, di quelli divertenti che se ne può anche ricavare un film. Per esempio, tanto tempo fa, quand’ero ancora giovane e inesperto, leggevo e memorizzavo i nomi di un famoso recensore; e non mi ci raccapezzavo. Solo dopo molto tempo ho scoperto che quel recensore era omosessuale, e recensiva quasi solo libri e film di autori e tematiche omosessuali: ma il mondo non è così ristretto, e soprattutto scrivendo su un giornale bisognerebbe allargare almeno un po’ i propri interessi e le proprie letture... E’ solo un esempio dei tanti, un po’ come il fenomeno delle ragazze e dei ragazzi che raccontano il loro mondo: se il livello di scrittura è basso, cosa ne resta? Chi leggerebbe ancora, oggi, “Porci con le ali”? E cosa ne sarebbe del “fenomeno” Wu Ming (una recensione al giorno su tutti i principali giornali), se i quattro ragazzi non fossero così ben introdotti nel mondo della stampa? I loro libri non interesserebbero a nessuno, anche se sono ben fatti. Ogni tanto salta fuori uno scrittore o una scrittrice giovani, italiani, dei quali si dice un gran bene: sono quasi sempre pubblicitari, o laureati del Dams. Non so voi, ma io quando vengo a sapere che una pubblicitaria ha scritto un libro perdo ogni interesse per quel libro, a meno che non sia un libro di figure e disegni che allora non si fa fatica e quantomeno lo si può sfogliare in libreria. Ecco, questa del disegnare è davvero un dono di natura. Non è una cosa che si impara: si può migliorare, ma se di partenza non c’è nulla...

Per quel che mi riguarda ho scritto tanto, anche troppo. Non avete idea di quanto ho scritto, quello che avete visto è solo la punta dell’iceberg. Preso dalla disperazione, tempo fa ho cercato di mettere un po’ d’ordine, dividendo per argomento il mare di appunti e di fogliettini che avevo in giro; ne sono usciti alcuni file che qualcuno ha letto e trovato belli, e adesso Solimano mi consiglia di dargli forma definitiva. Non lo farò mai, a meno che non mi paghino come la Rowlings o come la Tamaro. Scrivere è facile, mettere in ordine e dar forma definitiva è una fatica immane. Un po’ come, per uno scultore, sbozzare una figura nel marmo e poi rifinirla e levigarla fino ad arrivare a un Canova: una gran fatica, roba da certosini, e difatti nella scultura moderna non lo fa più nessuno, usano gli stampi (fatti col computer) e le resine. Oltretutto, penso a quanti scrittori e poeti grandissimi sono stati dimenticati: penso a Toti Scialoja, a Massimo Ferretti... Perché si dovrebbe tenere memoria di quello che ho scritto io? Venticinque tra lettrici e lettori mi bastano, è molto più di quanto avrei immaginato di avere, e il fatto che non siano qui ma in giro per l’Italia, magari a 500 Km di distanza, è davvero bello.

C’è ancora una cosa da dire, un’altra triste e ben nota realtà: di regola le cose che scriviamo piacciono a lettori lontanissimi da noi, mentre trovano scarso riscontro, noia più o meno mascherata o indifferenza, persino odio e ostilità, in casa e nelle persone a cui vogliamo più bene e alle quali siamo affezionati. A scrivere capita così. L’opinione comune, alla quale mi accodo, è che scrivere è da scemi, se non ci fai soldi: scrivono poesie le ragazzine, e ridicoli Neroni quarantenni compongono musica e versi pensando d’essere grandi artisti.
Ma non voglio chiudere così la mia relazione accademica: scrivere è qualcosa di diverso, di migliore e di profondo, e anche di inevitabile. Cosa sia lo scrivere lo ha spiegato Coleridge, nella “Ballata del vecchio marinaio”: la storia, una storia di spettri e di navi fantasma, è narrata da un uomo che afferra (letteralmente afferra) un giovane per un braccio, e lo costringe ad ascoltare. Il giovane si ferma e ascolta, perché è affascinato dalla narrazione e non può farne a meno. Ecco, qui sta la risposta alla domanda sul perché si scrive, e anche al perché si legge. Scrivere, raccontare, è qualcosa di più forte di noi, quasi una forza che ci possiede. Ci sarà sempre qualcuno che racconta e qualcuno che ascolta, nei blog o su carta, o dalla viva voce di chi ci parla. Come ha lasciato scritto più di un grande poeta, scrivere – a qualsiasi livello - è inevitabile, è quasi come sognare: (...) Ma sognare è un fiume profondo, che precipita a una lontana sorgiva, ripùllula nel mattino di verità. ( Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore)

(25-31 marzo 2007; originariamente su Stile Libero)


Le tre immagini sono quadri di Mary Cassatt.


3 commenti:

Giuliano ha detto...

L’accenno a Coleridge lo devo a Primo Levi, che ne parla con grande profondità e precisione in alcune interviste raccolte nel libro “Conversazioni e interviste con Primo Levi”, a cura di Marco Belpoliti, editore Einaudi. (Si vede che quando ho scritto queste cose ero molto distratto, visto che mi sono dimenticato di citare Levi!).
Grazie per l’attenzione, e grazie anche per i dipinti di Mary Cassatt, troppo belli per me e per quello che scrivo.
Giuliano

Solimano ha detto...

E' interessante leggersi di seguito i 25 lettori e le 25 lettrici, come somiglianze e come differenze.
Credo che comunque il desiderio di essere letti sia naturalissimo, con una serie di però.
Faccio un esempio: inserire in "Abbracci e pop corn" un film in cui si crede e che si sa che non è conosciuto. Non tanto per il numero di commenti, perché strutturalmente "Abbracci e pop corn" è un luogo da post più che da commenti, difatti ho notato che in molti blog il post è strutturato di per sé per massimizzare il numero di commenti, è scritto apposta in un certo modo. Non sto né criticando né lodando, dico che è una cosa che succede, un abitus a volte buono a volte no. E comunque, più che il commento preferisco la conversazione.
Torno al film non visto da nessuno: non solo non ci saranno commenti, è possibile che venga poco letto, perché non c'è la spinta di una conoscenza sia pure parziale.
Eppure, per quanto mi riguarda - e credo succeda lo stesso a Giuliano - c'è una spinta interiore a parlare di quel certo film, mentre, da questo punto di vista, converrebbe scegliere qualcosa di più noto.
Tutto questo può significare due cose, fra loro molto diverse: o in noi gioca inconsapevolmente il narcisismo di far vedere che si sanno cose non note ai più, e questo sarebbe abbastanza negativo; o è tale il piacere di scrivere di quel film che amiamo, che trascuriamo che i lettori siano 7 anziché 25.
Vengo ad una. Dando per scontato che si desidera essere letti, è comunque un nice to have una cosa di cui si può fare a meno, in vista di un piacere a livello superiore che dà lo scriverne, di quella cosa o di quel film. L'esperienza della lettura e della scrittura deve essere gratificante di per sé, altrimenti è meglio giocare a boccette, o al vecchio calciobalilla.

saludos
Solimano

Habanera ha detto...

Caro Giuliano, per le belle immagini abbinate al tuo scritto devi ringraziare Solimano.
E' lui che ha fatto tutto, io davvero non ho alcun merito.
h.