lunedì 1 ottobre 2007

Vanity Fair


Mirian Hopkins nel film Becky Sharp (1935)


Vanity Fair
(Livre mon ami 9)

di Solimano



Rebecca è figlia di una pittore costretto dalla miseria a fare il maestro di disegno in un college femminile, e di una ballerina di lingua francese. Per tutte le 800 pagine lotta per conquistarsi un posto onorevole nella società, nella Vanity Fair. Per tre volte quasi ci riesce, per tre volte ripiomba giù, ma fino all'ultima pagina (compresa) il suo orgoglio non si piega. E' piccola di statura, pallida, ha gli occhi verdi ed i capelli rossi. Spiritosissima, accorta, fredda, forse frigida. Eppure appassionata. Canta e suona benissimo, naturalmente parla il francese come l'inglese.
Dalla prima all'ultima pagina riesce a far innamorare di se stessa tutti gli uomini, e li disprezza tutti. Forse l'unico uomo che ha amato è stato il padre, morto quando era ancora quasi una ragazzina, il padre e l'ambiente bohème in cui è cresciuta.
Il romanzo è ricchissimo di personaggi, ad ogni pagina ne sbuca uno od una, Thackeray è acuto e profondo, anche vittoriano, sia pure. L'ambiente familiare da cui proveniva era superiore rispetto a quello di Dickens, ma in lui non c'è il rischio del moralismo piccolo borghese, semmai quello del moralismo grande borghese. Visse una vita da un certo punto di vista più tragica di quella di Dickens, che già non scherzava, ma le tragedie di Thackeray furono diverse da quelle di Dickens con cui c'è un rapporto di complementarietà. Thackeray è in fondo l'autore di un libro solo, ma che libro! Sì, ha scritto anche Barry Lindon ed anche altre cose – cominciò col libro degli snob - ma dove non c'è Rebecca si vorrebbe che ci fosse, la cinica Rebecca, l'unica che sa fino in fondo che tutto è Vanity Fair, neppure Thackeray, quello che l'ha inventata, ne era cosciente come lei, forse lo fregava un po' il Makepeace.
Mi sono identificato per anni con l'unico che non si innamora di Rebecca: il goffo, forte, generoso William Dobbin, che per tutto il romanzo va dietro ad Amelia, che non merita il suo dito mignolo. Dickens, due personaggi così non li avrebbe mai inventati, Thackeray, nato a Calcutta, sì, e forse non per caso. I due volumi quadrupli della BUR, in qualche anno, li ridussi come due fisarmoniche: sapete cosa vuol dire leggere un capitolo sapendo riga per riga cosa c'è scritto nella riga successiva? Con Vanity Fair mi è successo, e mi succede ancora.
9 ottobre 2004


Miriam Hopkins nel film Becky Sharp (1935)

2 commenti:

Giuliano ha detto...

Mai letto niente di Thackeray, però dal 1975 in avanti bisogna pur dirlo: è anche l'autore di Barry Lyndon.
Grazie a Kubrick possiamo quindi dire che è autore di DUE libri...

Solimano ha detto...

Giuliano, forse è un po' tardi, ma un bel viaggio attraverso la Fiera della Vanità lo consiglio a tutti. Per me, è un libro da leggere presto, prima dei vent'anni, così le giovani generazioni di maschi sappiano come possono essere felicemente perocolose certe donne.
Sinceramente, col Barry Lyndon ci ho provato, ma dopo tre pagine mi è tornata la voglia di riguardarmi il film di Kubrick...

saludos
Solimano