domenica 27 maggio 2007

Voglio fare l'attrice!



Voglio fare l'attrice!

di Anna Proclemer


Non ne avevo mai parlato con nessuno.
Mi tenevo dentro stretto stretto il mio segreto come un rospo poetico, una febbre felice, un tumore gioioso. Mi accorgo di avere scelto immagini macabre. Ma era davvero come una singolare malattia quella che mi sentivo addosso; niente di romantico, di aureolato, di vocazionale. Era una presenza concreta che sembrava essersi abbarbicata alle radici fisiche del mio essere. Ma forse le vocazioni autentiche sono proprio così.

Dovevo parlarne con i miei, ma non trovavo il coraggio di affrontare l’argomento. Aggirai l’ostacolo in modo curioso. Un giorno entrai in una specie di negozietto dall’ aria vagamente equivoca vicino a Piazza San Silvestro. Per poche lire si poteva incidere la propria voce su un piccolo disco che ti consegnavano subito. Sotto gli sguardi esterrefatti dei due commessi, abituati evidentemente a exploit di tutt’altro genere, incisi a memoria il finale di Zio Vania e una lunga battuta dell’Ivanov, sempre di Cecov. L’incisione era approssimativa, un po’ frusciante, ma passabile. A casa dissi a mio padre e a mia madre: “ Vediamo se riconoscete questa voce ” e misi su il disco.Mia madre disse subito “Ma questa è Tatiana Pavlova! Ah che attrice straordinaria! Me la ricordo in Mirra Efros. Al primo atto era alta, imponente. All’ultimo, quando resta sola, abbandonata da tutti, diventava piccola così!…” e con la mano indicava un’ altezza a pochi palmi da terra. Io conoscevo l’aneddoto a memoria, l’avevo sentito decine di volte perché faceva parte del “repertorio” di mia madre. “Ma no, su, ascolta bene” dissi con una certa insofferenza.” Ti dico che è la Pavlova!” Insisteva lei. (Mio padre stava zitto e secondo me aveva mangiato la foglia.) “E’ proprio la Pavlova! Ma che brava! Che brava!” ripeteva tutta infervorata.

“E allora ti dirò che non è la Pavlova! Sono io! E voglio fare l’ attrice!” gridai tutto d’un fiato.

Silenzio. Stupore, sbigottimento, indignazione , scandalo.

Mi venne sciorinato tutto l’elenco dei luoghi comuni borghesi sul teatro e gli attori: la vita incerta, disordinata, disagiata. E poi la corruzione, il “libero amore, come in quel paese russo che piace tanto a tuo padre”, le orge, i “paradisi artificiali della cocaina”, le attrici costrette a fare le “mantenute” per pagarsi le “toilettes”, la “débauche” come norma di vita…..(chissà perché nel vocabolario della moralità borghese le parole francesi sono inevitabili quando si tratta di definire la depravazione dei costumi).

Io ascoltavo chiedendomi oscuramente dove gli attori trovassero il tempo di studiare, provare, recitare, se erano sempre tanto impegnati a fare gli sporcaccioni.

Purtroppo non sapevo arginare con argomenti efficaci questo astioso fiume di fango che investiva oscenamente, senza tuttavia imbrattarla, la purezza delle mie aspirazioni. Stavo zitta, e odiavo. (Il risvolto patetico di tutta la storia è che i miei, e soprattutto mia madre, sono in seguito stati i miei più teneri, orgogliosi, compiaciuti ammiratori. Ma ci vuole altro per rimarginare certe ferite! Nel fondo del mio cuore non ho mai perdonato questo oltraggio alla mia innocenza.).

Il 10 giugno 1940 era scoppiata la guerra: Quella notte Muzio andò a scrivere W la Francia! sui muri di via Nazionale.

Nell’ autunno del 1941 mi iscrissi all’Università, facoltà di Lettere e Filosofia. Cominciai a frequentare qualche corso, ma ben presto seppi che all’Università funzionava un teatro abbastanza importante e che ad ogni inizio della stagione accademica vi si svolgevano delle “audizioni” per reclutare nuovi elementi.

Naturalmente mi presentai. Recitai l’ ultima battuta di Sonia, in Zio Vania, davanti a una giurìa prestigiosa, composta da Turi Vasile, Orazio Costa, Cesare Vico Lodovici, Enrico Fulchignoni. Mi accolsero a braccia aperte.

Dal sito di Anna Proclemer

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