Alcune curiosità su una città che non finirà mai di sedurmi.
Sono arrivata a Padova per la prima volta nel Gennaio del 1968.
Non ricordo esattamente il giorno ma non dimenticherò mai la nebbia fittissima lungo il tragitto ed il freddo glaciale. Si era a meno 15 gradi e fu un autentico shock per me che venivo dal sole e dal dolce clima di Napoli.
Eppure, appena arrivati, è stato subito amore perchè Padova, città elegante e dal fascino discreto, sa essere molto calda e accogliente, come è la sua gente.
Ho vissuto anni indimenticabili in quella città; ne ho accennato nei commenti a questo post di Giuliano in cui si parla della famosissima Cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto.
Ma Padova per me è molto altro. Ha il fascino sottile dei ricordi, rinnovati e arricchiti, nel tempo, da sempre nuove scoperte.
Ci sono tornata di recente, nei giorni precedenti il Natale, e ancora una volta mi sono lasciata conquistare dal suo calore, la sua allegria, lo splendore dei suoi palazzi e delle sue tradizioni.
Quella che vedete qui sopra è una suggestiva immagine notturna del mitico Caffè voluto da Antonio Pedrocchi e progettato dall'architetto veneziano Giuseppe Jappelli.
Fu inaugurato il 9 giugno del 1831, con uno sfarzo incredibile per quei tempi, e nel 1836 fu affiancato dal Pedrocchino, un'elegante costruzione neogotica riservata alla offelleria che accolse subito una clientela esigente e sofisticata.
A distanza di 179 anni il Caffè Pedrocchi è considerato ancora, da molti, il più bel Caffè del mondo.
Oltre a Stendhal, a cui è dedicato un inimitabile zabaione, è stato frequentato da molti ospiti illustri come Gabriele D’Annunzio, Marinetti, George Sand, Eleonora Duse, Téophile Gautier, per citarne solo alcuni.
Fin dai primi anni divenne noto come "il caffè senza porte" sia perché fino al 1916 era aperto giorno e notte, sia perchè il porticato, all'epoca privo di vetrate, era come un passaggio pedonale integrato nella città.
Il proprietario, Antonio Pedrocchi, ebbe un modo assai singolare di trattare la clientela: chiunque infatti poteva sedere ai tavoli, anche senza ordinare, e trattenersi a leggere i libri e i giornali messi a disposizione dal locale. Alle donne erano offerti in dono fiori e, in caso di pioggia improvvisa, ai clienti veniva prestato un ombrello.
« C'est à Padoue que j'ai commencé à voir la vie à la vénitienne, les femmes dans les cafés. L'excellent restaurateur Pedrocchi, le meilleur d'Italie. »
« È a Padova che ho cominciato a vedere la vita alla maniera veneziana, con le donne sedute nei caffè. L'eccellente ristoratore Pedrocchi, il migliore d'Italia. »
(Stendhal)
L'importanza storica del locale è dovuta anche ad un episodio particolare.
Nel 1848 gli studenti di Padova si ribellarono ai soldati austro-ungarici e questi, l'8 febbraio, risposero con il fuoco ferendo uno studente all'interno del Caffè. Su una parete della Sala Bianca si può vedere ancora il foro di un proiettile sparato dai soldati.
C'e' una superstizione fra gli studenti di Padova, dovuta probabilmente agli avvenimenti del 1848: "chiunque entri nel Pedrocchi, non prenderà mai la Laurea."
Non so però quanti di loro resistano alla tentazione perchè Palazzo del Bo, sede dell'Università, è proprio lì, di fronte al Caffè Pedrocchi.
E' difficile non lasciarsi sedurre dal profumo inebriante di caffè e di raffinata pasticceria, rinunciare alle mille golosità che vengono offerte insieme all'aperitivo...
L'Università di Padova viene popolarmente chiamata il Bo' perchè fu realizzata inglobando un antico albergo che aveva appunto il bue come insegna.
L'antica locanda fu in un primo momento soltanto riadattata alla nuova funzione, ma nel 1552 fu demolita e furono avviati i lavori di costruzione del nuovo edificio, progettato da Andrea Moroni.
Attorno a un elegante chiostro di pianta quadrata, denominato oggi "cortile antico", si sviluppa una doppia loggia a due ordini di colonne sulla quale si affacciano le aule.
Le pareti del loggiato sono attualmente decorate da quasi tremila stemmi dipinti o scolpiti: dal 1592 al 1688 era rimasta in vigore la consuetudine che ciascun docente o studente, alla fine del suo mandato, lasciasse il proprio emblema in ricordo all'Università. L'usanza fu poi vietata per l'eccessivo numero e le dimensioni che gli stemmi stavano assumendo.
Questo prestigioso ateneo, la cui fondazione risale al 1222, ospitò personaggi illustri come Galileo, Copernico, Ippolito Nievo e quel Giovanbattista Morgagni che fu il fondatore dell'Anatomia Patologica e che era conosciuto in Europa come "Sua Maestà anatomica".
È il motto dell'Università degli studi di Padova e si riferisce alla libertà d'insegnamento che oggi riteniamo un valore acquisito, sia come principio di democrazia liberale, sia come diritto costituzionalmente garantito.
Ma non è sempre stato così e la patavina libertas era dovuta soprattutto alla politica della Repubblica Serenissima di cui Padova fece parte dal 1405 al 1797.
Lo splendido Palazzo della Ragione, che divide Piazza delle Erbe da Piazza della Frutta, è conosciuto anche come Il Salone per l'immensa sala che, tra il 1306 e il 1308, fra Giovanni degli Eremitani ricavò dai tre grandi ambienti in cui era suddiviso in origine il piano superiore.
L’architetto progettò anche una nuova copertura in modo da costituire, con l’aiuto della decorazione pittorica, un vero e proprio cielo, con le stelle e i pianeti.
Il progetto fu realizzato tra il 1315 e il 1317 da Giotto e dai suoi collaboratori; in seguito vi avrebbe lavorato anche Giusto de’ Menabuoi.
Purtroppo, il 2 febbraio 1420, un incendio devastò il Palazzo della Ragione, distruggendo completamente la volta ed il famoso cielo punteggiato da oltre settemila stelle.
Tra le curiosità che si possono ammirare oggi nel Salone c'è il grande cavallo ligneo, realizzato nel 1466 e in origine attribuito erroneamente a Donatello, che fu donato alla città dalla famiglia Capodilista nel 1837, e la pietra del vituperio posta nel 1231, si dice, su richiesta di S. Antonio e utilizzata quale berlina per i debitori insolventi.
Secondo gli statuti del 1261, il debitore insolvente in camicia e mutande (di qui l’espressione in braghe di tela per indicare chi aveva perduto i propri beni) vi si doveva sedere tre volte, pronunciando la frase cedo bonis. Espulso dalla città, se si ripresentava e vi era colto, veniva sottoposto nuovamente a questa procedura, con l’aggiunta del rovesciamento di tre secchi d’acqua sul capo.
Chiudo con il sonetto che Gabriele D'Annunzio ha dedicato alla città di Padova. E' inciso su una tavola di marmo sotto il portico della Loggia Amulea nella bella piazza di Prato della Valle.
o Padova, in quel bianco april felice
venni cercando l'arte beatrice
di Giotto che gli spiriti disegna;
né la maschia virtù d'Andrea Mantegna,
che la Lupa di bronzo ebbe a nutrice,
mi scosse; né la forza imperatrice
del Condottier che il santo luogo regna.
Ma nel tuo prato molle, ombrato d'olmi
e di marmi, che cinge la riviera
e le rondini rigano di strida,
tutti i pensieri miei furono colmi
d'amore e i sensi miei di primavera,
come in un lembo del giardin d'Armida
Gabriele D'Annunzio, Le Città del silenzio