lunedì 17 agosto 2009

Notte italiana

Letizia Ricci


Senza che nessuno se ne accorga, di notte spio i tetti imbiancati dal calore che emanano le terrazze e le antenne, che si fa straticello sottile e denso e in cui vanno a ficcarsi il vociare scomposto delle ore diurne, i clacson sgarbati, le marmitte dei motorini zeeeee zzzzzeeeee zzzzeeeeeeeee, le serrande aperte e richiuse, a mano, di cui conosci il percorso nei binari storti fino alla battuta sul selciato, gli sportelli che sbattono, le tovaglie sgrullate dai terrazzini, il floppare delle lenzuola stese, il pianto di un bambino e la maldicenza della vicina, la frenata della bici, la chiusura del portone automatico, lo sgancio elettrico via citofono, il ciabattare per le scale e i brandelli di voce mentre le chiavi girano nelle toppe, fino al booom dietro al quale torna il silenzio e la luce automatica delle scale si spegne, la lite convulsa dell'assicuratore scappato fuori dal negozio col cliente che rimane appeso con una gamba nella macchina e l'altra fuori per tenergli testa con l'ultima minaccia, il frinire delle ventole dei condizionatori, il tremolio dei lampioni appesi agli angoli dei palazzi e lo sfrigolio sottile dell'elettricità che li attraversa, il ticchettio dei passi di chi ancora porta suole e si riconoscono i tacchi delle donne, le ciabatte da mare e il tramestio largo e piatto del mocassino da uomo, tutto si addensa e a notte va a finire, appena sopra le antenne, in una condensa bianchiccia che si porta via la giornata e i suoi accadimenti, salendo lenta e composta come il magma scende sicuro e trascinante, fino a dissiparsi quando il primo chiarore si indovina a est e si avvertono in lontananza i furgoni dei giornali, i camioncini dei fruttivendoli e i netturbini che caricano i cassonetti sul saliscendi per ribaltarli violentemente nella stiva maleodorante del camion che stantuffa nafta come fosse una spruzzata di profumo francese.

A notte s'alza a volte una brezzolina che scuote il sartiame dei tendoni da terrazzo, mentre invece sul mare illuminato dalle code saltellanti delle onde perse alla bonaccia, le vele riposano quiete mosse appena dai sospiri in coperta.
Così sul terrazzo, salutando la nube bianca che si allontana dai tetti, sembra di veleggiare in uno spazio che ancora non c'è, il domani che non è ancora arrivato e l'oggi che non c'è più.
Studi la mappa del cielo srotolata sul tavolo indovinando gli approdi del giorno dopo e lasciando all'oblio le conquiste di ieri, senza sapere se il bagaglio sarà troppo pesante da portare verso i nuovi lidi, e forse sarà meglio abbandonarlo, che due lidi uguali non ci sono e quel bagaglio si fa zavorra.

Notte italiana che non si tace mai e se potessi fermarla legandola ad un filo d'aquilone avrebbe ancora da farti ascoltare rubinetti che gocciano, freni che fischiano, bisbigli d'amore e preghiere stropicciate tra la bocca e il cuscino, tintinnio di bicchieri insonni dinanzi ad uno schermo di televisore ammutolito, miagolii storditi e guaiti soffocati, cigolii impercettibili senza provenienza certa e lo stormire inquietante di un uccello notturno.

Fino a quando s'alza anche la notte, e se ne va come un operaio al pullman del mattino, dopo aver ripulito tutto il giorno da ogni sua traccia, come un animale dopo il parto, avanzando sicura e morbida verso ovest.
(9 agosto 2004)

4 commenti:

Solimano ha detto...

Ho una fortuna adesso, quella di poter star sveglio la notte. Non per insonnia, ma così, perché mi va, tanto non ho la sveglia al mattino. Di notte, non è che non ci siano rumori, ma finalmente hanno voce i suoni che erano coperti dai rumori del giorno.
Quando venimmo ad abitare qui, provenendo da un appartamneto ubicato nel centro di Parma, ci sembrava di avere dei vicini rumorosi, solo perché di macchine per la stradina davanti ne passano poche e di persone ancora meno.
Ma le notti più belle sono state quelle a Berceto, un paese vicino al passo della Cisa, a 750 msl. Mi mettevo seduto nel prato, con l'atlante della carta del cielo e con la pila. Una per una riconoscevo le stelle, e le potevo chiamare per nome. A Parma non era possibile, qui ancora meno: la troppa luce terrestre offusca il cielo e lo rende quasi invisibile. E' una grande differenza con i nostri antenati, che il cielo li guardavano e lo conoscevano benissimo. Però, ieri notte, ho visto dal terrazzo una grande falce di luna dietro i rami del fico. O camminava svelta o ero io a perdere il senso del tempo: quando sono tornato in casa la falce era sparita dietro gli alberi più grandi.

grazie Letizia e saludos, a presto
Solimano

Amfortas ha detto...

Ha ragione Solimano, di notte i rumori ci sono ma non li sentiamo perché annullati da altri frastuoni.
Ho passato il ferragosto a 1300 metri e mentre mi fumavo una sigaretta sul balcone, alle 2 di notte, sono stato involontario ascoltatore di una dichiarazione d'amore tra due giovani ragazzi.
Che innocenza! Anche i loro propositi saranno presto coperti dal fragore della vita.
Ciao.

zena ha detto...

Sono passata a leggere più volte.
Mi piace molto questa scrittura che cattura i suoni e li accosta in un montaggio nuovo e così vivo da restituirne le radici: i gesti, il brulichio di azioni e reazioni che li generano.
Mi ricorda alcuni passi, i più belli, di un libro di Lucarelli: Almost Blue. I rumori captati nel buio e scanditi, declinati e coniugati in colori.
Grazie!

Silvia ha detto...

Mi è piaciuto molto questo post. Io che sono animale notturno, l'ho particolarmente apprezzato. E la notte è proprio così.
Ma il passaggio dei bisbigli e le preghiere tra i cuscini e il gocciolare dei lavandini mi ha particolarmente emozionata.
La notte è connotata dai rumori, che il buio avvolge qualunque cosa. O dal silenzio che nella notte è rumore pure quello.
Bellissimo Letizia, davvero.