Eppure c’erano giornate lunghe, senza capo né coda, col tempo che non lasciava un segno, solo quello struggimento che viene verso sera, quando pare di non aver niente da trattenere, neanche per dire “domani invece…”
C’è che il tempo ha bisogno di sussulti per essere ricordato, sassi a tradimento per il salto dal prima al poi: basta il poco di una cavalletta appollaiata sull’armadio, insensibile alla scopa, o la ricerca del grillo che ipnotizza, chissà in quale angolo della casa, chissà…
I giorni lisci, invece, non hanno nulla, neppure un crespo che faccia inciampare: sono insaponati e opachi.
I giorni lisci facevano paura, anche allora… li avvertivi nell’aria, quando la telefonata di chi era lontano non arrivava, quando il budino sanmartino (gusto vaniglia) appariva per quel che era e non bastavano i quadretti bianchi e rossi della tovaglia a fare famiglia.
Allora la Rosa miamamma tirava fuori i tesori.
C’era un cassetto largo.
Gerarchie di scatoline di latta, impilate.
Molti bagliori di vecchie catenine e anelli orfani di pietra e orecchini scompagnati.
Nel cassetto dormiva il rito della prova.
Al centro del letto, insieme.
Bisognava crederci.
E indossare, paziente nel gioco del passamano e degli stupori, geografia della provenienza, storia delle storie…
“Mettilo, il pendente con la perla piatta, col vellutino nero, che è della nonna d’Este. Dai mettilo, che ‘ciài’ la faccia di una volta, te,… ti sta bene sai … E varda le clipes con gli zirconi, che quando sarai grande, te le metti su una cintura... ”
Lo odiavo, io, il pendente e anche le clipes, ma aveva un modo la Rosa miamamma che a dirle ‘no’ pareva di romperle i sogni.
Poggiavo il collarino sulla pelle chiara, e pure il giro di ingranate, e passavo e ripassavo gli anelli per le dita e dicevo …sì… sì… bello bello.
E la Rosa miamamma aveva guizzi negli occhi a guardare e carezzare le sue cose, quasi a pregustare quella che sarebbe arrivata ultima, per il gioco dei desideri.
Una specie di guscio bianco: dentro, due grosse pietre senza colore, due pietre di luce, senza montatura…
“Valgono tanto queste”
“Come una casa?” -diceva il bambino.
“Anche come due case”- la Rosa mia mamma si allungava un poco di più sul letto.
“Ma chi è che lo dice?”- tentavo io, perché la parte della cattiva qualcuno la deve pur fare.
“Si sentono queste cose, si sentono. E poi son vecchie e una volta mica facevano le pietre finte…”
“Allora siamo ricchi”- insisteva il bambino.
“Ah sì sì… se le vendiamo, siam ricchi… Mettiamo su il termosifone, però è bello l’odore della legna, non ce n’è un altro. Magari compriamo la cucina svedese, ma son così fredde le cucine svedesi. Meglio un tappeto…, e se poi la zia Leda ci inciampa?”
In pochi minuti sfilavano davanti agli occhi tutte le magie del possibile, come lampi di cose raggiungibili e poi rifiutate, senza fatica.
Si usciva appagati dal gioco dei desideri, dopo essere entrati in negozi con grandi specchi, in case calde senza stufe, piene di tappeti azzurri.
Si riponeva il guscio con le pietre di luce, per una felicità da spendere un’altra volta, da ritardare, come una pesca un poco dura, che sarà dolce domani, matura di attesa.
(domenica, 17 agosto 2008)
Da Pesci di nebbia
P.S. La scelta raffinatissima delle immagini è inconfondibilmente di Solimano. Lui non lo dice, quindi lo dico io. (H.)
In alto Jan Brueghel il Vecchio: "Natura morta con scrigno aperto, tazza d'oro e ghirlanda di fiori" 1618, Olio su tavola 47,5 x 52,5 cm Musées Royaux des Beaux Arts, Brussels.
A destra un pendente del Settecento. E' nel Museo Regionale Pepoli di Trapani.
In basso Caravaggio: "Particolare da La Maddalena" (i gioielli sul pavimento) 1596-97 Olio su tela Galleria Doria Pamphili, Roma.
10 commenti:
L'ho fra le mani, in questo momento, quel guscio bianco, insieme alle sue luci.
Io, che perdo ogni cosa e, di quel che resta, non so mai l'esatta collocazione nello spazio, so sempre dov'è.
E ogni volta, ad accarezzarlo, mi commuovo.
Grazie, con grandissimo affetto: grazie per aver scelto proprio questa 'parete', grazie per il modo in cui l'avete preziosamente ingentilita.
Habanera e Zena, nel libro "I magnifici apparati", da cui ho tratto il pendente che sta a Trapani, ho imparato una cosa curiosa, anche se comprensibile, ahimé. Che nel Settecento in Sicilia facevano a gara, nelle famiglie aristocratiche, per i gioielli, e in particolare per i pendenti. Ma a noi ne sono arrivati pochissimi, perché, al cambiare della moda, disfacevano i pendenti salvando le gemme, ma buttando il resto.
saludos
Solimano
Una storia delicata e dolcissima, illustrata con grande eleganza. Bella da perdercisi. Che gioia! Annarita
Riguardavo le immagini, caro Solimano: sono bellissime.
La luce di Caravaggio, poi, catturata nella/dalla bottiglia. Per non dire della ricercatezza degli orecchini dalle grandi perle scaramazze...
Una meraviglia.
Cara Annarita, grazie. La Rosa miamamma sa rendere fiabeschi anche gli zirconi:). Anche adesso.
Un saluto a tutti e un abbraccio riconoscente e aggiuntivo ad Habanera:)
Sai Zena, Annarita ha detto proprio la cosa giusta: bella da perdercisi.
E' quello che succede a me quando sfioro le tue pareti: mi ci perdo, mi incanto.
Quando ne porto qualcuna qui mi sembra di averti più vicina ma non sempre riesco ad illustrarla come vorrei.
Anche questa volta nella mia mente c'era tutto, leggevo ed era come guardare un film. Vedevo la tovaglia a quadretti rossi, avvertivo l'attesa della telefonata che non arriva, sentivo il sapore del budino sanmartino, ero su quel letto insieme a voi, tra anellini e pendenti, zirconi e perle scompagnate, sorridevo di tenerezza immaginandoti ragazzina, docilmente ribelle.
Ma non riuscivo a tradurre tutto questo in immagini. Paura di svilire, di rovinare qualcosa che era già perfetto in sè.
Allora ho chiesto aiuto a Solimano e le tue parole, come d'incanto, hanno trovato la cornice giusta.
Un abbraccio fortissimo a te ed alla Rosa tuamamma.
H.
L'uomo è un essere di desiderio, dice pressapoco Henry Laborit, e io aggiungo: la donna ancor più, se possibile.
Però esistono desideri che si appagano solo col loro manifestarsi, non con l'ottenimento della cosa in sé.
Mia nonna aveva i granati, poi sono andati alle figlie, poi alle nipoti (e nuore). Un segno tangibile d'affetto, non una suddivisione di beni, pur piccoli.
Difatti, in certe campagne, quando i soldi erano finiti, nessuna donna vendeva le gioie, le impegnavano, se proprio era necessario, stando attentissime alle scadenze.
Una colleganza, una dolidarietà femminile che tornerà a manifestarsi, prima o poi, sotto forme diverse, quando passerà l'ubriacatura ormai ventennale, pomposa e meschinella.
I gioielli della Maddalena sono sul pavimento e la collana sciolta, come segno di pentimento della vita passata, ma di quanti segni di pentimento del genere sono adorne le tante Maddalene (anche alabastri come boccette di profumi)!
Guai se no. Una Maddalena senza gioielli? I fedeli andavano nell'altra parrocchia...
grazie Zena e saludos
Solimano
Lo rileggo con immenso piacere, come leggo sempre con piacere ciò che scrivi, che per me sei speciale.
I tuoi ricordi fanno più belli anche i miei, li ingentiliscono e li rendono più luminosi, più importanti.
Nel nome del piccolo gesto o della parola che porteremo dentro per tutta la vita.
Grazie:)
che meraviglia, come sempre, leggere questi brani di Zena.
e la Rosa suamamma è deliziosamente tratteggiata.
complimenti anche a Solimano per la scelta delle immagini.
sono arrivata qui per caso, ma ringrazio sentitamente la padrona di casa :)
morena
Ciao Morena, benvenuta.
La scrittura di Zena è qualcosa di cui non ci si stanca mai ed ogni (ri)lettura dei sui brani regala sempre nuove emozioni. Sono fiori delicati e preziosi che ingentiliscono il mio giardino ed io gliene sono grata.
Torna ancora a trovarci e grazie
H.
carissima Haba, quanta nostalgia di voi tutti e di me con voi, in questa casa.
Un abbraccio
zena
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