martedì 26 maggio 2009

Anna Karenina




Anna Karenina
(Livre mon ami -18)

di Solimano



3 febbraio 2007
Credo di avere risolto il caso Anna Karenina. Sospettavo che non si trattasse di un caso di suicidio, ora ho la certezza che è stata uccisa. L'assassino è un aristocratico russo, tale Lev Nikolaevic Tolstoj, già noto alle forze dell'ordine per diverse singolari manie, la meno grave delle quali è di scrivere libri.
Alcuni anni fa ci fu il caso Kuraghin, tutt'ora irrisolto. Anatolij Kuraghin, noto seduttore, stava infatti per rapire la consenziente contessina Natacha Rostova, fidanzata del principe Andreij Bolkonski, vedovo da non molto tempo e amico del detto Tolstoj. Invece di lasciare che le cose andassero verso la giusta conclusione - un matrimonio riparatore fra Anatolij e Natacha, giovani e belli entrambi - Tolstoj subornò un amico del principe Andreij, tale Pierre Bezukof, innamorato senza speranza di Natacha, a rompere le uova nel paniere. Fu così che al povero Anatolij toccò partire per la guerra in cui perse la vita fra inenarrabili sofferenze. E' evidente che la responsabilità morale di tutto questo risale al Tolstoj, che dopo la morte non so se casuale o provocata del principe Andreij, riuscì a far sposare Natacha al suo amico - e complice - Pierre Bezukof. Tipico matrimonio di interesse, le enormi ricchezze del Bezukof sono note a tutti.
Torniamo ad Anna Karenina; quale può essere stata la causa scatenante? Credo invidia e gelosia. Invidia per la felicità dei due amanti, Anna e il conte Vronskij. e gelosia perché Tostoij amava Anna, voleva portarla via al Vronskji, ma Anna gli si rifiutò, lo vedeva fra l'altro troppo simile come carattere e come aspetto - le grandi orecchie - all'ex marito Karenin. Pazzo di gelosia, furibondo per essere stato rifiutato, Tolstoji spinse Anna sotto la locomotiva, rifugiandosi poi nelle sue vaste tenute, dove si spaccia attualmente per benefattore dei contadini. Sarà bene arrestarlo, malgrado le altolocate protezioni di cui gode, perché ci risulta che sua moglie si sia innamorata di un violinista, sì quello che esegue spesso la Sonata a Kreutzer, proprio lui, l'idolo di tutte le signore moscovite. Se non si interviene per tempo, la vita della signora Tolstoji è in grave pericolo. Lev Nikolajevic Tolstoji è un delinquente abituale, fermatelo!

6 febbraio 2007
Pensateci bene, ho detto il vero, Tolstoj ha veramente ucciso Anna Karenina. Poteva salvarla, fare in modo che non andasse sotto la locomotiva, cambiare la parte finale del suo romanzo. Non l'ha fatto, non solo, l'ha uccisa con premeditazione: nelle prime pagine del suo romanzo la fine di Anna, che avverrà centinaia di pagine dopo, è in un certo senso anticipata, preannunciata, quasi profetizzata dalla morte di un ferroviere sotto un treno, c'è persino Vronskji, che ha appena conosciuto Anna, che offre un aiuto alla famiglia del ferroviere.
L'arte di Tostoj è grande e lucidissima, resta da chiedersi il perché abbia scelto questa conclusione. Non sono uno psicologo, sono solo un suo appassionato lettore, e conosco un po' la biografia di Tolstoj dal libro bellissimo che gli dedicò il giovane Pietro Citati. Credo che quello che conta non siano i dati biografici, ma i suoi personaggi, specie quelli femminili.
In Anna Karenina c'è un altro importante personaggio femminile, Kitty, che sposerà Levin, che è una proiezione di Tolstoj. Ma prima, innamorata di Vronski, dice di no a Levin, e lo sposerà solo dopo anni.
In Guerra e Pace, Natacha viene affascinata da Anatolij Kuraghin, cade in preda ad un amore cattivo, quasi una possessione, e solo dopo lunghe traversie sposerà Pierre Bezukof, che è ancora una proiezione di Tolstoj.
La "Sonata a Kreutzer" è il lungo sfogo autobiografico di un uomo che ha ucciso la propria moglie. Passando dall'arte alla vita, tutti sappiamo che a più di ottant'anni Tolstoj fuggì di casa, per morire dopo una decina di giorni nella sala d'aspetto della stazione di Astapovo. Persino in Anna Karenina Tolstoj non racconta mai la positività di un amore, non è nelle sue corde, è un tema che vorrebbe sentire ma non sente perché forse non l'ha mai vissuto, proprio lui, che della esemplarità della sua vita familiare aveva fatto una bandiera.
Mi piacerebbe che qualcuno riuscisse a dimostrarmi il contrario, facendomi leggere una pagina, una sola, in cui Tolstoj parla direttamente della felicità in amore. Ne parla sempre indirettamente, mai mostra l'amore felice in azione. Forse dà corpo nei suoi personaggi femminili a quello che poteva essere l'ossessione della sua vita, quella di essere più ammirato che amato. O forse si rendeva conto che il suo volontarismo amoroso copriva una sua incapacità di amare, oltre che di essere amato. Anna ama Vronski e ne è riamata, con questo segna la sua condanna.
Che voglio dire con tutto questo? Che persino un genio letterario come Tolstoj poteva essere indifeso come un adolescente di fronte all'amore, e che magari per tutta la vita reale e letteraria si è raccontato delle mirabili storie, pagandone il fio negli ultimi giorni.


8 febbraio 2007
Il personaggio di Anna Karenina assomiglia a Rebecca Sharp: sono entrambe più vaste dei loro autori. Non credo che questa osservazione nasca da un mio gioco ironico, credo che queste cose si verifichino, cioè che uno scrittore, stretto dalla propria storia personale e sociale, non riesca a vivere una vita così piena e ricca come è quella di certi suoi personaggi, che paradossalmente sono più liberi di lui.
E' vero anche per altre forme d'arte: il diario del Pontormo è di uno squallore unico, lo scriveva mentre rappresentava in pittura figure di incredibile finezza, non sto facendo un discorso di capacità tecnica, la finezza del Pontormo (o del Correggio o del Parmigianino) è una finezza profondamente intellettuale.
Lo stesso Vronski è un personaggio che Tolstoj non comprende appieno, cerca addirittura di denigrarlo senza riuscirci: Vronski ama Anna di un amore che Tolstoj non si è mai sognato di provare in prima persona. Difatti, cerca di idoleggiare i personaggi di Natacha e di Kitty, lo fa con assoluto impegno, credendoci, ma chi di noi sente in questi personaggi una profondità di vita amorosa?
Stranamente, Tolstoj riesce invece a rappresentare mirabilmente altri personaggi: Dolly in Anna Karenina e Marja, la sorella del principe Andrej, in Guerra e Pace. La positività di Dolly nelle piccole/grandi cose quotidiane e la profondità spirituale, la bontà vera di Marja lo affascinano più dei suoi modelli esemplari, Natacha e Kitty. Splendide le pagine di Guerra e Pace in cui sono in rapporto fra di loro Marja, Andrej e il loro padre; il rapporto reciproco, in cui l'affetto prevale infine sul conflitto si estrinseca fin nelle piccole cose, la lezione di matematica che il padre dà alla figlia, la tolleranza che il laico Andrej ha per la religiosità della sorella.
E, ancora stranamente, Tolstoj rappresenta in modo esemplare due personaggi mediocri ma importanti, si sente che Tolstoj li ama, questi personaggi: Stiva Oblonski, il fratello di Anna Karenina, e Nicolaj Rostov, il fratello di Natacha, che sposerà poi Marja. Credo che ci sia in questo atteggiamento una specie di identificazione inconscia, mentre l'identificazione conscia è rivolta a Bezukof e a Levin. E' come se Tolstoj sentisse la sua mediocrità nel sentimento amoroso e cercasse di sublimarla scrivendo, ma gli uscivano perfetti quelli che erano come lui nella vita reale. In Anna Karenina, Levin e Anna non si incontrano di persona per tutto il romanzo, salvo un capitolo verso la fine. Ogni volta che lo leggo penso: ecco la donna che Levin avrebbe voluto amare, ma da cui Tolstoj (burattinaio che con Levin si identifica) l'ha tenuto saggiamente lontano per tutto il romanzo. Meglio che sposasse Kitty, Anna era troppo, per lui.

10 febbraio 2007
Nel 1877 Tolstoj ha 49 anni e pubblica Anna Karenina. Vivrà ancora più di trent'anni, scriverà moltissimo, ma il suo grande periodo, quello di Guerra e Pace ed Anna Karenina, è concluso. Non solo, nei suoi ultimi decenni Tolstoj, in preda ad utopie misticheggianti, manifesterà disprezzo per i suoi due capolavori. Quando aveva trentaquattro anni aveva sposato Sofia Bers, diciassettenne; durante il matrimonio nacquero tredici figli di cui nove sopravvissero alla prima infanzia. Negli ultimi decenni la situazione fra i coniugi divenne sempre più tesa ed i litigi frequenti. In genere i figli maschi si schieravano dalla parte della madre e le femmine col padre. Fino al dramma finale, con la fuga in treno e la morte nella sala d'aspetto della stazione di Astapovo. Ma ciò fa parte della biografia quotidiana di un essere umano che si chiamava Lev Nicolaevic Tolstoj, a noi interessa capire perché con Anna Karenina finisca il grande Tolstoj, salvo alcune pagine de La Morte di Ivan Ilyc e de La Sonata a Kreutzer, racconti lunghi generalmente sopravvalutati. Divenne, in quei decenni, il monumento a se stesso, alle utopie che lo resero popolare in tutto il mondo, fino alla determinante influenza su Gandhi. La controprova di quanto fosse disturbato, quanto fosse divenuto incapace di giudizi sereni, si ha proprio con La Sonata a Kreutzer, ed è ridicolo che ancora oggi di questa sonata al centro della operatività di Beethoven, si tenda a dare una interpretazione tolstoiana del tutto ingiustificata, come sono ingiustificate ed improprie le parole che scrive Tolstoj nel racconto omonimo. La Sonata a Kreutzer è - molto semplicemente - un capolavoro della prima maturità di Beethoven, scritta prima dell'Eroica e dell'Appassionata. Ma Tolstoj volle prendere questa sonata come esempio tragico per proiettare il suo disastro amoroso fuori di sé. Furono decenni di odio, fra lui e la moglie, ma le basi si erano stabilite negli anni in cui scrisse i suoi capolavori. Cosa conta, alla fine? Amare le centinaia e centinaia di grandi pagine che ha scritto, tornare a leggerle di frequente mantenendo intatta la capacità di giudizio morale ed artistico: sapere le ossessioni di Tolstoj ci aiuta ad amare meglio - con più consapevolezza - i suoi grandi personaggi, quelli che comprendeva e quelli che non era in grado di comprendere.

P.S. Avevo a disposizione molte belle immagini di Greta Garbo e di Vivien Leigh, ma ho preferito Tatyana Samojlova nel film "Anna Karenina" di Aleksandr Zarkhi (1967). La ricerca delle immagini è stata durissima: ho trovato qualcosa solo usando Google con i nomi in cirillico, altrimenti niente da fare. Perché ho scelto Tatyana Samojlova? Perché è quella che assomiglia di più all'Anna che ho in mente io.

martedì 19 maggio 2009

Una lunga vacanza

Habanera

Due anni di blog

No, questa estate non sacrificherò splendide giornate di sole, né piacevoli serate all'aria aperta, per fare coscienziosamente l'admin del Nonblog come ho fatto negli anni scorsi.
Dopo più di due anni di lavoro ininterrotto ho deciso che il piccolo è cresciuto abbastanza per andare avanti qualche mese anche senza di me.
Ormai vive di vita propria, le visite sono sempre più numerose, gli archivi sono visitati più di quanto avrei mai potuto immaginare ed io, gratificata e tranquilla, posso finalmente prendermi una lunga, meritata vacanza.

Ma non ci perderemo di vista. Con ritmi molto più rilassati e vacanzieri continuerò ad essere presente, sia qui che su Stanze all'aria, e questo blog non chiuderà per ferie.

Solimano ha garantito che continuerà a pubblicare almeno due post al mese e quando Solimano garantisce ci si può mettere la mano sul fuoco.

Qualcosa si muoverà dunque, magari anche più spesso del previsto, ma ho bisogno di sentirmi psicologicamente libera da questo impegno e di godermi l'estate, dedicando la maggior parte del tempo alla famiglia ed a me stessa.
Al ritorno dalla mia lunga trasferta al mare riprenderò con rinnovato slancio, e su basi diverse, questo piacevole, laborioso, gratificante lavoro di editrice-blogger.

Buone vacanze a tutti ed un grazie particolare a quanti hanno contribuito fin qui al buon risultato del Nonblog.

Arrivederci...




giovedì 14 maggio 2009

La signora Antonia




La signora Antonia
(Livre mon ami -17)

di Solimano



3 ottobre 2006
Sono già arrivato a pagina 295, praticamente alla metà. Solo sei giorni fa il libro era sulla mia scrivania -c'era già da tre giorni- praticamente mai aperto. Da quando avevo deciso di leggerlo lo chiamavo il malloppone perché le pagine sono più di 600. Guardavo la sua mole consistente con molto sospetto e poca curiosità. Poi ho cominciato a leggere, dicendo a me stesso: "Non hai finito Joyce, non hai finito Musil, potrai ben non finire la Byatt!" Si tratta infatti di "Possessione" di Antonia S. Byatt, scrittrice inglese che oggi ha circa settant'anni. Il libro l'ha pubblicato nel 1990, ed ha avuto un grande successo mondiale, forse in Italia meno che in altri paesi. Ed ora son qua, che lotto per non leggerlo velocemente, per riuscire a non superare le cinquanta pagine al giorno, per non andare a visitare i siti che ne parlano - in Internet ce ne sono tanti. Ogni cosa a suo tempo. La storia è semplice e geniale: due giovani ricercatori di oggi -un uomo e una donna, Roland e Maud- che man mano scoprono i documenti, le lettere soprattutto, attestanti una relazione fra un poeta ed una poetessa dell'epoca vittoriana. E che... beh ditevelo da soli leggendo il libro. Due giorni fa ero di fronte al capitolo che conteneva le lettere vittoriane. Sai la noia - pensavo. Eppure la signora Antonia è così brava che alla fine di quelle sessanta pagine di lettere ragionavo, di più, sentivo come Christabel e Randolph, i due vittoriani, che quando si scrivono delle lettere in cui non sono d'accordo, hanno questa clausola finale: "Ai Vostri ordini in alcune cose". A quel punto non si sa se scoppiare a ridere o dar corso alla commozione. Arte mirabile: una ironia che tanto più è acuminata quanto più è coinvolta, coinvolta di sentimento. Dura da spiegare, occorre leggere.

6 ottobre 2006
Sono a pagina 457, contento di esserci. Oggi nelle librerie del Michigan e dell'Oregon entrano donne soprattutto ma anche uomini che cercano le opere di Randolph Henry Ash e di Christabel LaMotte, poeti dell'epoca vittoriana. Non sono mai esistiti. La signora Antonia se li è inventati, biografia, opere e lettere. Tutto. E "Possessione" ne è penetrato, stavo per dire impestato. Interi capitoli sono poemi di Randolph e Christabel, ogni capitolo inizia con una citazione dell'uno o dell'altra. Entrano di persona nel romanzo, anzi nel romance, ad un certo punto. Nella loro fuga d'amore, in treno naturalmente. Nella loro prima notte, con Christabel alle prese con le sue crinoline e con Randolph alle prese con i gridolini di Christabel, gridolini sì ma selvaggi. Poi la signora Antonia ci fa risalire, ripiombare forse, ai nostri giorni, con le Forze del Mercato che si contendono le lettere dei due poeti, a colpi di libretto d'assegni americani da una parte e di difesa della cultura inglese dall'altra. E Maud e Roland, i due ricercatori di oggi, quelli che hanno veramente scoperto le lettere, dove saranno in questo momento? La signora Antonia non ce lo dice, vuol farci soffrire. Prevedo che siano da qualche parte, fra lo Yorkshire e la Bretagna, a caccia del loro destino, anzi Destino. Staremo a vedere.

9 ottobre 2006
Finito. A pagina 608 si conclude la lunga storia di Randolph e Chistabel, poeti di ieri e di Roland e Maud, ricercatori di oggi. Si scopre che ... No, non lo dico, sarebbe scorretto! Affastello alcuni dei motivi dell'ultima parte: quindici gatti affamati e poi nutriti (a sardine), una Mercedes distrutta da un albero che cade durante l'uragano, la pansessica Leonora Stern si svela perdonante e simpatica, offerte di lavoro giungono da Amsterdam, Barcellona e Honk Kong, si decide chi, fra l'erede del mittente e quello del destinatario, gode dei diritti d'autore, sorgono nuovi amori, il ricercatore si scopre poeta e una bimba scorda di raccontare qualcosa alla zia (sarà poi la zia?). Ho detto troppo. E la signora Antonia, autrice di tanta ragna di lettere, diari, poemi, viaggi d'amore e non, liriche, biografie critiche ed autocritiche, panorami di cieli di terre di mari, di vesti d'oggi e di ieri, di gioielli singolari, si gode chissà dove sterline dollari euro e la numerosità delle altre valute meritatamente guadagnate. L'autrice, accademica di vaglia e presente spesso in TV, smise ogni attività del genere per scrivere "Possessione". Ho trovato le due foto in Google; quella che inserisco in apertura è più recente, compaiono i segni dell'età che avanza ma gli occhi da belli son fatti bellissimi e acuti, con la sotteranea malizia di chi ce l'ha contata in tutti modi per 608 pagine. Possessione dei lettori, direi.

Ma con le immagini non ho finito...

Antonia Byatt è la prima a sinistra. La fotografia è stata scattata durante un convegno alla Women's Library, di cui la Byatt era la direttrice. Il convegno si è tenuto per festeggiare i 75 anni del voto alle donne.


20 giugno 2007: Antonia Byatt viene nominata Honorary Doctor of Letters dalla University of Oxford. In una delle due foto si riconosce Jimmy Carter.


Dal romanzo della Byatt è stato tratto il film Possession (2002) di Neil LaBute.
Nella prima immagine Maud (Gwyneth Paltrow) e Roland ( Aaron Eckhart) viaggiano in auto. Sono la coppia moderna.
Nella seconda immagine Christabel (Jennifer Ehle) e Randolph (Jeremy Northam) viaggiano in treno. Sono la coppia vittoriana.

domenica 10 maggio 2009

Testavuota e Testapiena




Testavuota e Testapiena

di Annarita Verzola



Uova sbattute a colazione, montagne di tagliatelle casarecce a pranzo, tazze di ciccolato piene di biscotti a merenda, bistecche enormi a cena.
Questa era la dieta con la quale sin da piccolo il principino Romualdo era stato allevato su precise istruzioni della regina.
Il re aveva perso il conto delle cuoche succedutesi nella cucina reale dal giorno della nascita di Romualdo. Ognuna di loro resisteva pochi giorni, al massimo una settimana, sotto il tirannico controllo della regina che trovava immancabilmente un difetto inaccettabile.

Una non sapeva sbattere a dovere le uova, l’altra faceva le tagliatelle troppo sottili o troppo spesse, chi faceva la cioccolata troppo liquida o troppo densa, chi cucinava la carne al sangue o la cuoceva troppo.


In realtà il principino non sembrava soffrire per i continui avvicendamenti di cuoche, visto che, all’età giusta per incominciare a studiare, era diventato tondo come un barilotto e si muoveva con fatica sulle corte gambette.

Panciapiena era il perfido soprannome con il quale i servitori lo chiamavano tra loro nei momenti di malumore dovuti alle collere improvvise della regina. E a quel buffo appellativo non tardò ad aggiungersene presto un altro: Testavuota.
E sì, perché con gran dispiacere del re, fu ben presto evidente che i precettori chiamati a corte per provvedere all’istruzione di Romualdo, non riuscivano a fargli restare in testa nemmeno una piccola nozione, una regoletta, una qualsiasi informazione. Tutto gli entrava da un orecchio e gli usciva dall’altro, senza riuscire ad imprimersi in quel suo cervello che sembrava intorpidito. E così il povero Romualdo divenne per tutta la corte il principe Testavuota della Panciapiena.


A peggiorare la situazione un giorno venne anche il licenziamento della cuoca che più di tutte aveva resistito: tre settimane e cinque giorni.
La regina ebbe presto modo di pentirsi per quella decisione perché più nessuna cuoca si era presentata a palazzo e il principino Romualdo cominciava a deperire a vista d’occhio.
Se dobbiamo essere obiettivi, il principino stava perdendo i chili superflui e si avviava a diventare un ragazzino normale, anche se soffriva molto per la mancanza dei piatti sostanziosi ai quali era abituato.
Una notte in cui non riusciva a dormire per i crampi allo stomaco, Romualdo ebbe un’idea geniale. Avrebbe incominciato a cucinare da solo e si sarebbe preparato tutti i manicaretti più gustosi descritti nei libroni di ricette che aveva sempre visto in cucina.


Detto e fatto. Prese la candela dal comodino e scese quatto quatto in cucina a prendere un libro di ricette per leggerlo. Rannicchiato sotto le coperte, incominciò a sillabare con grande fatica le dosi e le istruzioni. Se si fosse trovato alla scrivania, davanti a uno dei suoi insopportabili precettori, avrebbe gettato via il libro scoppiando in lacrime, ma ora ne andava della sua sopravvivenza. Strinse i denti e non si arrese, continuando a leggere con gran fatica per tutta la notte.
La mattina, sfinito per lo sforzo e per la fame, era riuscito a leggere una gran quantità di ricette e non vedeva l’ora di metterle in pratica. Si vestì in fretta e scese nella grande cucina, dove la servitù aveva già acceso un bel fuoco, anche se non si sapeva chi avrebbe cucinato e che cosa.
Quando videro il principino rimboccarsi le maniche e ammucchiare sul tavolo tutti gli ingredienti per una torta, nessuno osò intromettersi, pur paventando la reazione della regina, che non tardò a manifestarsi in tutta la propria potenza.
Vedendo il figlio infarinato e con le mani piene di pasta, alla regina venne una crisi isterica, ma Romualdo era troppo occupato a realizzare la torta per occuparsi di lei e dei suoi strilli.
Quando il dolce fu sfornato, aveva un aspetto assai invitante e un profumo delizioso si sparse per la cucina, giungendo a solleticare persino il naso del re.


Il principino divise la torta in tante parti uguali e volle che tutti l’assaggiassero. Per un momento nessuno osò parlare, semplicemente perché il dolce aveva un sapore divino. La pasta si scioglieva in bocca e la farcitura era una nuvola delicata.
Romualdo staccò dal muro l’ampio grembiule della cuoca che se n’era andata e sancì così la propria vocazione culinaria, che fu accolta dalla servitù con grida di giubilo.
A nulla valsero gli urli della regina e i ragionamenti del re, Romualdo aveva trovato la propria strada e non intendeva abbandonarla.
Passarono gli anni, Romualdo si faceva sempre più alto e robusto, i precettori erano stati da tempo licenziati e lui leggeva solo libri di cucina. Oramai ne aveva una collezione vastissima e la sua fama di eccellente cuoco e di buongustaio si era sparsa oltre i confini del regno.
I pranzi allestiti al castello erano argomento di pubblica conversazione per la ricchezza, l’originalità e l’elaboratezza delle vivande. Famosi cuochi di ogni paese venivano a corte appositamente per conoscere il principe cuoco, chiedergli consiglio e seguire gli insegnamenti che dispensava con grande generosità.

La fama di Romualdo giunse alla corte di un regno lontano nel quale i sovrani da anni vivevano nell’angoscia e nella disperazione a causa della loro figlia, una ragazza bellissima e di grande intelligenza, ma esile come un giunco. I più grandi cuochi si erano avvicendati alla cucina del palazzo nel vano tentativo di indurla a mangiare, ma la principessa Matilde rifiutava con ostinazione, quasi con ribrezzo, i loro manicaretti. I sovrani l’avevano fatta visitare dai più famosi medici, ma il loro responso era stato unanime: la principessa era sana come un pesce. Solo che non aveva tempo per mangiare.


Il re possedeva una biblioteca invidiabile per ricchezza e vastità e la principessa, che aveva imparato a leggere sin dalla più tenera età, vi passava tutte le giornate e buona parte delle nottate, sempre immersa nella lettura, scordandosi di mangiare e di bere. Solo la sua nutrice riusciva a ficcarle a forza in bocca forchettate di sostanziosi cibi mentre era tutta presa a leggere un trattato di filosofia e a farla bere con una cannuccia mentre studiava la dimostrazione di un teorema. Affettuosamente la chiamava la mia principessa Testapiena della Panciavuota.


Quando la fama delle irresistibili leccornìe di Romualdo giunse fino a quella corte lontana, il re gli mandò un messaggero affinché concedesse loro l’onore di venire a cucinare le sue prelibatezza per la principessa Matilde.
Quel caso disperato toccò profondamente la sensibilità di Romualdo che senza indugio decise di partire, portando con sé i preziosi libri di cucina e alcuni particolari attrezzi di propria invenzione.


Il principe cuoco fu accolto con tutti gli onori dovuti al suo rango da ogni membro della corte, tranne che dalla principessa Matilde. Non per cattiva educazione, ma solo perché egli ebbe l’improvvida idea di giungerle davanti nel bel mezzo di una difficile traduzione dal sanscrito vedico.
Romualdo non si perse d’animo per così poco e dettò poche e semplici disposizioni. La cucina doveva avere acqua in abbondanza e fuoco sempre acceso, in ogni ora del giorno e della notte, e gli dovevano essere procurati esattamente gli ingredienti del tipo e della quantità che avrebbe richiesto di volta in volta.


In pochi giorni Romualdo si era perfettamente ambientato a corte e osservando le letture della principessa, si sbizzarriva nel produrre succulente pietanze prendendo spunto da ciò che la principessa leggeva in quel momento. Così facendo, gli sorsero improvvise, ma del tutto legittime, curiosità di storia, di geografia, di arte, di filosofia, di scienza e piano piano la principessa Matilde si trovò interessata agli insoliti ingredienti dei quali le capitava di leggere nei suoi libroni, divertendosi un mondo ad applicare per Romualdo in cucina i principi delle leggi chimiche, fisiche e matematiche che ben conosceva.
Per farla breve Romualdo e Matilde cominciarono a trascorrere interessantissime giornate nelle quali la principessa si nutriva delle specialità di Romualdo, ascoltando attentamente le sue spiegazioni culinarie, mentre il principe apprendeva con sorprendente facilità nozioni di ogni genere.

In capo a un anno la principessa Matilde era rifiorita e il principe Romualdo era diventato coltissimo. Inutile dire che nel frattempo i due giovani scoprirono di essere innamorati e la notizia del loro fidanzamento fece il giro dei regni circostanti mentre la fama del banchetto allestito per l’occasione diventò leggendaria.
Quando ebbero l’età giusta per salire al trono, fu celebrato un grandioso matrimonio e i due giovani sovrani, alternando lo studio alla gastronomia, regnarono per lunghi anni con saggezza sui loro paesi riuniti, con grande soddisfazione del popolo.


Pubblicato su Fili d'aquilone

giovedì 7 maggio 2009

Dialogo di un funzionario e di una rondine




Dialogo di un funzionario e di una rondine
(Su un balcone di viale Mazzini)

di Rossella Vita



Alle dieci e trenta di un martedì, il Funzionario cerca un po' di conforto sul balcone piccolo del suo ufficio: meglio una sigaretta all'aria aperta che un simulacro di caffè all'aria condizionata dalle chiacchiere altrui.
Con gli occhi chiusi, al sole benevolo di aprile, il funzionario interroga un inaspettato senso di benessere. Apre gli occhi.
"Cosa ci fai, rondinella, in un palazzo così ?"

"Ci faccio la casa, signore; e lei cosa ci fa sul balcone, che non ce l'ho mai visto?"

"Mi rilasso, ci provo.
Pensavo che le rondini scegliessero delle case diverse, più accoglienti."

"Qui non è affatto male, signore. È piuttosto pulito, ci batte sempre il sole, e di solito non c'è nessuno. Con rispetto parlando."

"Grazie."

"Poi c'è una vista interessante, balconi , finestre, persone nelle case, bambini nel cortile, cani, panni stesi..."

Il funzionario esamina l'affermazione al cospetto della realtà aspirando con calma la sua sigaretta.
"A me non sembra granché . Io non guardo mai dal balcone; ho sempre molto da fare. La sera tardi, quando arrivo a casa è buio. D'inverno è buio. D'estate no."

La rondine non si interrompe: va e viene e porta in bocca un rametto, un brandello di stoffa, delle foglie secche. Si ferma appena per ascoltare (sempre guardandosi intorno) e poi, ripassando, replica.
"Eppure lei dovrebbe essere uno che vede, uno che sa vedere, intendo. Non è il suo mestiere decidere cosa far vedere agli altri? Dovrà ben vedere lei, prima."

"Già , è proprio il mio mestiere. Adesso usa la radio. È più chic."

"Ironico?"

"No, solo che è così, è la moda; e scoprono quanto siamo stupidi noi e quanto sono intelligenti loro."

"E hanno ragione?"

"Certo che ne hanno, ma è sempre stato così. Solo che adesso il pubblico lo sa.
Come se non bastasse hanno ricominciato a fare le cose piacevoli che si facevano una volta: racconti, commedie, letture. Tanto di cappello. Comunque li stanno infarcendo di pubblicità anche lì. Però gli è piaciuta la fama della televisione, in tutti questi anni, a tutte le belle menti..."


"Io non so. La radio mi sembra semplicemente più discreta, dico a parte quella che urla parole o musiche. Anche un programma non troppo riuscito, se condotto con garbo, è gradevole; invece alla televisione sembra tutto stupido, perché è eccessivo, tutto deve diventare un evento.
E però anche le cose importanti si perdono, in mezzo alle altre.
Ho visto un servizio in quel notiziario su una mostra delle corone delle regine inglesi, il giorno che vennero qui a Roma, tanta di quella gente che non s'era mai vista... Tutto uguale. Però poi si parla sempre di voi, no? C'è da chiedersi di cosa parlerebbero le persone se non avesse da parlottare e scrivere sulla televisione."

"Grazie della clemenza; qualche volta la penso anch'io così. Ma, scusa, tu cosa ne sai?"

"Io guardo, signore, giro per le case e non posso fare a meno di tirare un'occhiata, sentire le voci e farmi una idea."

"E allora che idea ti sei fatta? "

"Prima di tutto mi ha colpito che c'è sempre il pubblico. Dico , allora che ve ne fate del pubblico, a casa? È un modo per dirgli che non serve a niente."

"Bè, ma si fa così, per scaldare l'ambiente, per simulare una situazione di dialogo, come a teatro..."

"Guarda che anche quello è cambiato; l'anno scorso avevo fatto il nido in un teatro. C'era un gruppo che accettava solo quindici spettatori, e un'altra compagnia che recitava per uno spettatore solo per volta. Avete paura voi? Paura di stare faccia a faccia con la telecamera, di essere guardati dalle persone vere?"
"Non credo, non mi sembra. Forse sì."

"Il pubblico della televisione è una copia del pubblico che voi desiderate, numeri (magari molti numeri) che facciano sì e no con la testa. Una specie di vostra creatura, che assecondi le emozioni che credete di suscitare. In un certo senso fate tutto da soli."
"Però quei programmi lì, col pubblico, piacciono sempre, la gente ha bisogno di rispecchiarsi."



"Questo è vero; di specchi nelle case, quanti ne ho visti!
Di programmi che funzionassero davvero come specchi, mai."

"Sempre così, nessuno guarda più la televisione, ma tutti la criticano. È un paradosso, qualcuno bara."

"Secondo me tutti ci provano ad accendere il televisore, ma poi lo spengono, perché non c'è niente da vedere, neanche i film."

"No, qui ti sbagli, dalla seconda serata in su la fiction è di qualità. Io guardo solo quella televisione lì, dalle undici... al mattino: mi consola, ne traggo beneficio."

"Se posso permettermi, la sua mi sembra una consolazione malinconica; nostalgia dei varietà di una volta, dei film di una volta, della qualità semplice dei bei tempi andati. Non ho niente contro i vampiri, ma dopo un po' non le manca l'aria e la luce dei giorni nostri?"

"Sai cos'è rondinella? Che persino le cose stupide di una volta erano molto meglio delle cose stupide di adesso. Dev'essere la distanza storica."

"E io invece, signore, devo confessarle che nutro una certa tenerezza per questi varietà ruspanti della prima serata, mi ricordano il circo: tutti troppo truccati, troppo entusiasti. Tra qualche anno li guarderete in modo diverso, i conduttori, le conduttrici, le ballerine, vi sembreranno più ingenui, più mascherati. Comunque siete stati furbi a mettere la fiction migliore in seconda serata. Così il mercato pubblicitario si è interessato di più alle fasce serali e notturne."

"Mi sembri un po' troppo informata, questo non ti fa onore...potresti pensare ad altro, volare alto e invece sei invischiata in meschine ed umane questioni. Che te ne importa?"

"Ho pur scelto di vivere qui e non nella palazzina di fianco, agli uffici della radio, che pure erano abitati da persone molto perbene, colte, e amanti degli animali...troppo amanti degli animali."

"Come sarebbe a dire?"

"Ho a cuore l'amicizia degli umani, ma non la loro tendenza a prendersi confidenze non richieste. Devo far nascere i miei bambini, allevarli qui e non potrei sopportare le improvvisate di impiegati, redattori, amici dei redattori, ospiti...Lei invece, saranno più di dieci giorni che tengo d'occhio questo balcone, e lei è uscito solo oggi, e per una conversazione di tutto interesse, non per sorridermi o disturbarmi e basta."

"Onorato. E quanto vi fermate ?"

"Non lo so, dipende dalla stagione e anche da quel che c'è da vedere, qui."

"In che senso?"

"Vede, noi non ci spostiamo solo per problemi di temperatura, ma anche per il piacere di volare."

"Posso capirlo. Noi sono secoli che ci proviamo, ma ci serve sempre qualcosa, un'attrezzatura, una macchina, e dobbiamo stare attenti e vigili. La leggerezza è un dono della natura."


"Volare è bello perché si vede; si immagina lei cosa sarebbe volare senza vedere? Volare vuol dire vedere colori, forme linee che si muovono, e portare la mente a quelle forme e giocarci , cambiando prospettive. Vedere è, come dite? "sublime": un nutrimento dell'anima e del pensiero. Voi ci state rinunciando alla vostra bella macchina visionaria.. La prima volta che ci buttai un'occhiata mi aveva colpito, dietro una finestra, questa luce incredibile che sgorgava da una scatola. Davvero stupefacente, persino quando si vedevano solo delle righe, che io trovavo piuttosto belle; ma nessuno le guardava, solo il cane e un bambino piccolo. Gli altri sembravano arrabbiati, dicevano che c'era un disturbo. Quello dovreste far vedere: colori, suoni, forme che si muovono. C'è bisogno di questo."

"Video arte, si chiama, forse."

"Non lo sapevo."

"Fate parlare gli altri, in attesa che i tempi migliorino e che abbiate qualcosa da dire, e ospitate un po' di visioni"

"Prove tecniche di trasmissione?"

"Come?"

"Niente, un ricordo. Ma chi le guarderebbe delle cose così?"

"Non lo so. Lei, io. "

"E la pubblicità?"

"Non si preoccupi, è gente brillante, piena di iniziative. Sa quanto valgono le visioni, anzi in quello oggi sono i migliori. Si inventeranno qualcosa; non può mica occuparsi di tutto, lei."

"Dici?"

"Dico."

Il funzionario e la rondine sentono il cielo cambiare. Una melodia maestosa e imponente si fa spazio con grazia grave nell'aria. Cos'è questa musica? La luce prende una tonalità accesa, grigia, ma abbagliante, che disegna le curve candide e morbide delle nuvole. Una struttura lucente ed elicoidale appare e lentamente si innalza: ambiziosa, lenta, interminabile .
Il funzionario conosce questa visione, l'ha già incontrata, ma non saprebbe dire quando né dove era stato sorpreso da lei, così, come adesso. Era qualcosa che aveva a che fare con l'Inizio o la Fine di qualcosa.

Quando la musica sfuma e i colori riprendono una tonalità familiare e terrena, il funzionario cerca la rondine, compagna di una simile luminosa visione. La trova addormentata, nel nido appena sistemato; non può disturbarla. Piacevolmente turbato, torna al tavolo del suo lavoro. Il cielo turchese e uniforme dello schermo del computer gli appare quale esso è: niente più che uno sfondo, immobile, finto. Clicca qui, apri questa finestra, chiudi quell'altra, apprezzabili competenze di un calcolatore che misura le tendenze attuali dell'immaginazione. Finalmente nessuna soggezione.
(01 aprile 2002)


Golem l'Indispensabile

sabato 2 maggio 2009

Ho bisogno che qualcuno si prenda cura di me...




Ho bisogno che qualcuno si prenda cura di me...

di Giulia



“Forse non ho fatto abbastanza… forse avrei dovuto farvi sapere tante cose che ho taciuto in tutta la mia vita. Sono stata troppo superba. Non volevo pesare su di voi, comunicarvi la mia tristezza, trasmettervi la mia angoscia. Ho lasciato fuori dalla porta di casa, ciò che vedevo e sentivo… Ma ho finito col soffrire troppo e sola.
Ora mi chiedo quando arriverà il mio turno, quando potrò dire: non ne posso più, sono stanca, ho bisogno che qualcuno si prenda cura di me”.


Mentre ascoltavo le sue parole e vedevo scendere le sue lacrime, mi chiedevo se non era arrivato effettivamente il momento che si togliesse qualche peso dal cuore. Io non sapevo se ero pronta ad ascoltarla o se volevo conservare dentro di me quell’immagine mamma che io avevo registrato nella mia mente. Presente, forte, bella e sempre impeccabile.
Un po’ austera forse, poco affettiva, ma sempre pronta ad affrontare le difficoltà. Non ero abituata alle sue lacrime, al suo dolore. Come ascoltarla senza poterle prendere la mano? Tra noi nel tempo non aveva trovato molto spazio il linguaggio affettivo ed emotivo. La ragionevolezza doveva guidare i nostri dialoghi. “Noi – ripeteva sempre - non ci lasciamo andare a smancerie”. E quando parlava di sé, aveva l’abitudine di attribuire anche a noi figli i suoi stessi modi di essere.


No, mamma, in questo ti sbagliavi, io le ho desiderate quelle carezze di cui tu eri così parca. Quando, quelle poche volte che capitava, mi permettevi di sedere in braccio a te, io ascoltavo il tuo respiro, la tua voce che mi sembrava uscisse direttamente dal cuore, assumeva una tonalità calda e avvolgente. Quasi di nascosto mi alimentavo di quelle sensazioni che nutrivano il mio bisogno di affetto. Mi piaceva anche, quando a mezzanotte, facevi il giro delle stanze e ci sistemavi le coperte mentre dormivamo. Nel dormiveglia mi aggrappavo al tuo collo e ti davo un bacio. Tu lo ricambiavi e per me quello era un momento magico.


La vita di un bimbo è fatta di queste piccole cose, di questi piccoli gesti… Non le smancerie, quelle non piacciono neanche a me, ma un corpo che parli e non deleghi tutto alle parole quello che c’è da dire, né che si dia sempre tutto per scontato, perché per un bambino nulla è mai certo. Un bimbo viaggia in un mare in tempesta, quello della sua crescita e di quanto in quanto ha bisogno di un approdo sicuro e caldo dove riprendere le forze per ricominciare.
Forse, mamma, sei tu ora ad aver bisogno di parlare, di sentire vicinanza. Chiedi conferme e vuoi essere certa di aver seminato bene. Vuoi percepire la nostra presenza, vuoi sentire che ci siamo e per nulla al mondo ti lasceremo sola, così come hai fatto sempre tu con noi. Perché tu c’eri sempre e mai abbiamo avuto la sensazione che ci avresti per qualsiasi motivo lasciato.
La vita è davvero una ruota che gira: ieri eravamo noi a chiederti di scaldare il nostro cuore, oggi tu lo chiedi a noi.


Sì, mamma. E’ arrivato il tuo turno: puoi permetterti di mostrare la tua fragilità, la tua paura… Il problema è come fartelo capire, è che tu, abituata come sei a tenere “dentro”, lasci aperto uno spiraglio che permetta a noi figli di guardarti dentro e capirti meglio. A volte temo che la tua porta, in fondo, voglia rimanere chiusa anche a te stessa.
A volte temo che siamo anche noi ad aver paura di sapere cosa pensano una mamma e un papà anziani che non sono lontani da quel confine che è l’orizzonte della vita oltre al quale non è dato sapere cosa ci aspetta. Amiamo tutti confrontarci con l’inizio di ogni nascita, ma ci rifiutiamo di ricordarci che un inizio ha anche una fine. E’ così che la vecchiaia può diventare un momento di profonda solitudine.
E quel giorno mi sono sentita a disagio, volevo risponderle, consolarla, ma in realtà l’ho portata pian piano a parlare di quando era giovane e bella, di tempi lontani che del resto lei ama ricordare. E’ così che si è lasciata andare ai ricordi, ma un discorso era rimasto in sospeso ed io vigliaccamente sapevo che l’avrebbe ripreso in solitudine e che da sola avrebbe pianto.


Uscendo da casa sua, mi sono portata dentro quella tristezza che non ho saputo consolare senza sapermi dare una spiegazione.
E’ Maria, la signora peruviana, che vive con mia madre che riesce a farlo: lei sa come prenderla, lei accoglie le sue lacrime, l’ascolta nei momenti più bui e la sa fare ridere e sorridere. Ha un modo così naturale di relazionarsi con lei che mi incanto a guardare. Lei che è una donna semplice, che non ha studiato, che arriva da un altro mondo e da un’altra realtà sa guardare con occhio attento e vigile una donna che solo pochi anni fa l’avrebbe guardata con distacco perché non apparteneva alla sua classe sociale. A volte litigano ed è Maria che piange, ma hanno saputo trovare ugualmente una loro armonia.
Maria mi è entrata nel cuore come una sorella: una sorella arrivata "dopo".
Maria ha lasciato sua mamma in Perù ed un giorno mi ha detto con quel suo linguaggio particolare che non è più spagnolo e non è ancora italiano: “Io parlo con tua madre come non ho mai parlato con la mia e mi ha insegnato tante cose. Forse adesso riuscirò a fare a mia mamma quelle domande che non ho mai avuto il coraggio di fare prima”.

Forse, invece, quelle domande che non hanno trovato risposta nel passato sono destinate a rimanere dentro di noi per sempre. Dobbiamo imparare solo a conviverci.