venerdì 13 marzo 2009

Tre bambini speciali




Tre bambini speciali

postato da Giuliano



Tre bambini speciali o tre bambini normali? Il confine è molto sottile, ma va pur detto – prima di iniziare a leggere – che il mondo dei bambini prevede tra i soggetti preferiti cose che da adulti poi ci si guarda bene dal nominare. Detto questo, sono pur sempre cose da bambini, e anche molto divertenti, che raccontate in questo modo diventano perfino commoventi, e valgono più di molti libri di filosofia.
Si comincia in Russia, fine Ottocento.


Dintorni di Pietroburgo, circa 1888
Quanto più si risale nella nostra memoria il corso degli anni, tanto più aumenta la difficoltà, a motivo della distanza, di veder con chiarezza e discernere tra eventi di portata significativa e altri di un'importanza talvolta maggiore, ma che non lasciano alcuna traccia e non determinano per nulla l'evoluzione di una vita. Così, una delle prime impressioni sonore che ricordo può parer molto strana. Ciò accadde in campagna, dove i miei genitori trascorrevano l'estate coi loro ragazzi, secondo l'usanza della maggior parte delle persone della loro posizione sociale.


Un enorme contadino seduto sull'estremità di un tronco d'albero. Un odore penetrante di resina e di legno tagliato delizia le narici, il contadino non veste che una corta camicia rossa. Le sue gambe ricoperte di peli rossi sono nude, ai piedi porta dei sandali di scorza. Sul capo una capigliatura robusta, fitta e rossa come la barba, senza un capello bianco; ed era un vecchio. Era muto, ma faceva schioccare molto rumorosamente la lingua e i ragazzi avevano paura di lui. Anch'io. Tuttavia la curiosità aveva il sopravvento. Ci si avvicinava; e allora, per divertire i ragazzi, egli si metteva a cantare. Il canto era costituito di due sillabe, le sole che riusciva a pronunciare, prive di qualsiasi senso, ma che alternava con un'incredibile destrezza in un movimento assai vivo. Accompagnava questo schioccare nel seguente modo: applicava la palma della mano destra sotto l'ascella sinistra, poi, con un gesto rapido, faceva muovere il braccio sinistro appoggiandolo sulla mano destra. Faceva così uscire da sotto la camicia una serie di suoni abbastanza sospetti, ma ben ritmati e che per eufemismo si potevano definire "baci di nutrice." La cosa mi divertiva pazzamente e, a casa, mi sforzavo con molto zelo di imitare questa musica. Tanto e così bene che mi proibirono di servirmi di un accompagnamento così indecente. Non mi restavano dunque che le due tristi sillabe, che per me perdevano così ogni attrattiva.
Un altro ricordo che mi ritorna spesso è il canto delle donne del villaggio vicino. Assai numerose, cantavano all'unisono, ogni sera regolarmente, ritornando dal lavoro. Oggi ancora conservo il ricordo netto di questo motivo e del modo con cui lo cantavano. E quando lo riprendevo a casa, imitando il loro modo di cantare, ero complimentato per la precisione del mio orecchio. Tali elogi, ricordo, mi rendevano felicissimo. Cosa curiosa, questo semplice fatto, dopo tutto assai insignificante, ha per me un senso particolare, perché, a partire da quel momento, presi coscienza di me stesso in quanto musicista. (...)
(Igor Stravinskij, “Cronache della mia vita”, l’inizio) (ed. Feltrinelli)


Corfù, intorno al 1933.
(...)Durante queste escursioni Roger e io facemmo conoscenza con molti abitanti di tutta la campagna dei dintorni. (...) Poi c'era Agathi, la grassissima e sempre allegra Agathi, che viveva in una piccola casupola cadente in cima alla collina. Stava sempre seduta davanti alla sua casa intenta a filare una fusata di lana di pecora, attorcigliandola e tirandola in un filo grossolano. Doveva avere più di settant'anni, ma i suoi capelli erano ancora neri e lustri, accuratamente intrecciati e attorti intorno a due polite corna di mucca, ornamento che alcune delle contadine più vecchie portavano ancora. Mentre stava seduta al sole come un grosso rospo nero, con un'acconciatura scarlatta drappeggiata sulle corna di mucca, il fuso che andava su e giù, girando vorticosamente, e lei, con le dita indaffarate a sbrogliare il filo e a tirarlo, e la bocca vizza con la sua corona di denti rotti e anneriti spalancata, cantava a squarciagola, con voce rauca ma con grande vigore.
Proprio da Agathi imparai alcune delle più belle e ossessive canzoni paesane. Seduto su una vecchia latta sotto il sole, mangiando uva o melagrane del suo giardino, cantavo con lei, e lei ogni tanto si interrompeva per correggere la mia pronuncia. Cantavamo (strofa per strofa) la gaia ed eccitante canzone del fiume, Vangelió, e di come scendeva dalle montagne, rendendo smaglianti i giardini, fertili i campi e carichi di frutti gli alberi. Cantavamo, scambiandoci occhiate assassine con ostentata civetteria, la buffa canzoncina d'amore intitolata Menzogna.
«Bugie, bugie,» gorgheggiavamo, scuotendo la testa « tutte bugie, ma è colpa mia che ti ho insegnato ad andartene in giro a dire a tutti che ti amo». Poi prendevamo un tono malinconico e cantavamo, magari, la canzone lenta e cadenzata che si intitolava "Perché mi lasci?". Questa ci commuoveva profondamente, e noi cantavamo i lunghi versi accorati in tono gemente, con le voci tremule. Quando arrivavamo all'ultima strofa, la più straziante, Agathi congiungeva le mani sul suo grosso seno, gli occhi neri le si facevano tristi e velati di lacrime, e il mento le tremava dalla commozione. Quando le ultime note discordanti del nostro duetto si smorzavano, lei si volgeva verso di me, asciugandosi il naso sul lembo della sua acconciatura. « Come siamo stupidi, eh? Che stupidi, seduti qui al sole a cantare. E d'amore, poi! Io sono troppo vecchia e tu sei troppo giovane per l'amore, eppure sprechiamo il nostro tempo a cantare canzoni d'amore. E va bene! beviamoci un bicchiere di vino, d'accordo?». (...) «Questa è la storia dei cinque anni che ho trascorso da ragazzo, con la mia famiglia, nell'isola greca di Corfù. In origine doveva essere un resoconto blandamente nostalgico della storia naturale dell'isola, ma ho commesso il grave errore di infilare la mia famiglia nel primo capitolo del libro. Non appena si sono trovati sulla pagina non ne hanno più voluto sapere di levarsi di torno, e hanno persino invitato i vari amici a dividere i capitoli con loro»: così Gerald Durrell (1925-1995) presenta questo libro, pubblicato nel 1956, uno dei più universalmente amati che siano apparsi in Inghilterra (...).
Gerald Durrell, “La mia famiglia e altri animali” capitolo III, L’uomo delle cetonie (pag.50 ed. Adelphi)


Provincia di Vicenza, campagna, circa 1933
(...) Io e Piareto e Savaio e Bruno e Guido: avevamo spade di legno col guardamano di banda e maschere di dermoide con tagli obliqui per spiar fuori, e facevamo lunghi duelli in cortile. Erano esercizi disciplinari, parte di una complessa preparazione per la gloria futura. La cosa più bella erano però i patti segreti, gli accordi e i giuramenti, le investiture e i riti.
Eravamo montati sulla SPA che gli operai avevano spostato in fondo al cortile per lavarla. Seduti a1 posto di guida e sui seggiolini anteriori, perfezionavamo uno dei nostri patti: mi sentivo come Napoleone, e insieme come Sant'Ignazio. Spiegavo ed esortavo, esigendo serietà e attenzione. A un tratto Bruno mollò una piccola cagna. Finsi di non accorgermene, ma già gli altri davano segni di fatale disattenzione, reprimevano a stento la voglia di ridere. Dovevo tenere in pugno la situazione, e lì sui due piedi espulsi Bruno dalla società. Ma mentre pronunciavo il decreto di espulsione, Savaio - senza malizia, credo - mollò un'altra cagna più grossa. Tutti ridevano ora, e tutti si misero a mollare le cagne. Li espulsi tutti, per indegnità manifesta, e scesi furibondo dalla SPA. Solo, mi dicevo, solo! Meglio continuare da solo che dover lavorare con questo materiale scadente.
I miei gesuiti ribelli sentivano in fondo anche loro la drammaticità del momento, ma restavano in preda alle convulsioni del riso, e si contorcevano dentro alla SPA infestata dalle cagne. Io me ne andai con gli atti di un eroe offeso ma sapevo di essere dalla parte del torto.
(Luigi Meneghello, Libera nos a Malo, finale del capitolo 12)


Note a margine: 1) I disegni sono di Sergio Toppi, e vengono dal Corriere dei Piccoli, annate 1968-1970. 2)Roger è il cane di Gerald Durrell, che gli dedica molte pagine; se leggete il libro per intero vi diventerà molto simpatico. 3) “Piaréto” è Pierino in dialetto veneto, e Bruno è il fratello più piccolo di Meneghello. 4) La SPA è un’automobile degli anni ’30: la famiglia di Meneghello aveva un’officina per la riparazione e la vendita delle automobili. 5) Igor Stravinskij nasce a Oranienbaum, Pietroburgo, nel 1882.




4 commenti:

Barbara Cerquetti ha detto...

E' vero, ci sono piccole cose che ci segnano per sempre, forse perchè tirano fuori la "vocazione" nascosta dentro di noi. Chissà?
Però, allora, in questa prospettiva, forse dal libro di Durrell avrei scelto un brano diverso, magari quello dell'ambulante con i coleotteri legati al cappello...
Però vuoi mettere la poeticità della vecchietta che canta canzoni d'amore insieme al fanciullo?
Ciao Giuliano :-)

Giuliano ha detto...

Cara Barbara, il libro di Durrell è così bello che bisognerebbe riportarlo tutto... L'ho messo qui per due motivi: 1) che mi bilancia poeticamente gli altri due; 2) che io Durrell l'ho letto solo l'anno scorso, disdetta!!! Spero che chi passa di qui e non conosce "La mia famiglia e altri animali" si faccia convincere e vada a leggerlo subito, perché di libri così belli (dalla prima all'ultima pagina) ce ne sono davvero pochi.

Le cetonie sono da sempre la mia passione: sono anche più belle delle farfalle, sembrano pietre preziose, e per di più volano. E' per questo che in libreria ho dato un'occhiata all'indice del libro di Durrell, ho trovato "L'uomo delle cetonie" e sono subito finito lì, ad Agathi e alle canzoni d'amore. E, ovviamente, il libro è finito a casa mia e l'ho fatto anche leggere in giro (è piaciuto a tutti).

Meneghello ha scritto un vero trattato di filosofia e di psicologia in poche righe, cose che capitano solo ai grandissimi.

Però devo dire che la mia preferenza va a Stravinskij: non tanto per la storia in sè, quanto per il fatto che quando ci penso mi viene sempre davanti l'immagine di questo bambinetto gracilino e compito (Stravinskij non è mai stato un gigante) che arriva a casa e fa certe cose davanti ai genitori... Mi vedo davanti la scena, la faccia dei genitori, e scoppio a ridere, anche quando sono qui da solo.

giulia ha detto...

Ho letto "La mia famiglia e altri animali" e anche io l'ho trovato bellissimo e divertente. Ci sono alcune scene davvero straoridnarie. Questi episodi che racconti sono davvero molto significativi. Ricordi... E forse bisognerebbe che tutti non perdessimo la memoria di certi momenti della nostra vita.
Ciao caro Giuliano

Giuliano ha detto...

Di questi tre consiglio a tutti proprio Durrell, in particolare questo libro qui. Meneghello è grande ma è anche un po' difficile da leggere, richiede attenzione (come Gadda): ma prima di questo brano c'è una fenomenale partita a pallone. Stravinskij invece comincia subito a parlare di musica, di se stesso bambino rimane quasi solo questo brano iniziale.
Un saluto carissimo a GiuliaEmilia, da un GiulianoEmilio.