Fine ottobre in montagna. Si possono trovare giornate migliori di quelle dell'estate. Col cielo senza l'ombra di una nuvola e l'aria così tersa c'è quella luce che si ritrova nei quadri di Segantini. Per non parlare dei colori del bosco, con le mille varianti della mutazione delle foglie di acero, faggio, abete, larice e nocciolo selvatico. Sono giornate che si debbono trascorrere all'aperto.
E' domenica e si decide di andare a visitare alcune chiese della Val di Zoldo, nell'Alto Bellunese.
La valle zoldana collega quella del Piave (a partire da Longarone) alla forcella posta tra i monti dolomitici Civetta e Pelmo ed ha quindi costituito una via di comunicazione tra il capoluogo della provincia e le popolazioni di lingua ladina, e più avanti con l'Alto Adige.
Accompagnatore d'eccezione il mio amico Gabriele, che in questi anni è diventato di casa nei paesi della valle, più le mogli al seguito. Gabriele ha costituito con i fratelli una ditta di restauro di edifici storici in generale, ma nella pratica in buona percentuale il lavoro è rappresentato da chiese e campanili. Gli ho chiesto una volta come mai, in tempi più o meno di crisi, i preti abbiano così tanti soldi da spendere: mi ha sorriso sornione! Mi ha spiegato poi più seriamente che con la motivazione della salvaguardia dei beni artistici costituiti dalle chiese e dai loro contenuti, alle parrocchie arrivano finanziamenti di ogni genere: dagli enti locali, dalla Comunità Europea, dalla Conferenza Episcopale (e quindi dalle nostre indicazioni, esplicite o implicite, nei modelli per l'IRPEF) oltre che ovviamente dai privati. Ma mi lascia intendere che la Chiesa, anche nel Nordest super secolarizzato (un indice: nel Veneto un divorzio ogni due matrimoni) è sempre una potenza. In ogni caso per lui mercato ricco, e per lo sviluppo del suo business si affida al passaparola dei parroci, tant'è che negli ultimi due anni ha ricevuto tre commesse per altrettante chiese nella sola val zoldana.
Ci dirigiamo verso la nostra meta da est, partendo dalla valle del Cordevole e attraversando il passo Duran (1601 m.); le due valli (l'Agordino e lo Zoldano) sono “parallele” ed il percorso trasversale. Le strade, in ambedue i versanti, richiedono la massima attenzione a chi guida: le curve sono numerose e in molti punti il passaggio è consentito ad una sola macchina.
Probabilmente la strada ricalca le mulattiere che dal fondovalle portavano agli alpeggi, è stata asfaltata ma non si è ritenuta di allargarla o di addolcirne le curve in previsione di un traffico prevalentemente locale, comunque scarso. Lasciato dunque il passo per iniziare la discesa, dopo aver ammirato verso Nord la mole della Moiazza (una rispettabile cima del gruppo del Civetta, 2865 m., “la Moiazza è un mondo a parte”, mi dirà ispirato il parroco di Goima, appassionato escursionista), cinque chilometri più in basso troviamo Chiesa, una frazione di Goima, dove è situata la chiesa di S. Tiziano.
Un breve percorso tra le case e giungiamo sul sagrato della chiesa.
La prima impressione è che sia la “solita” piccola chiesa alpina-dolomitica, piccola la chiesa come pure il campanile, situato su un fianco (ma a pensarci bene adatta al numero di fedeli della frazione); il tetto ben spiovente (deve cadere tanta neve in inverno!) e fatto di “scandole”, tegole piatte e squadrate di legno di larice.
Ma è quando si entra che arriva il colpo. Basta uno sguardo per capire che ci troviamo di fronte ad un concentrato di creazioni degne di essere riportate in un testo di storia dell'arte. Chiedo subito a Gabriele se la chiesa è dotata di sistema antifurto… La risposta, non scontata, è si.
La chiesa, del 1400 ma con importanti ristrutturazioni nei secoli successivi, è a navata unica con tetto a capanna. Il tetto è sostenuto da capriate di legno ed un'apposita apertura sul soffitto ne garantisce l'areazione.
Le volte sono attraversate da fasce decorate, eseguite in graffito, con fondo grigio e decorazioni bianche in rilievo, ad evidenziare i margini delle crociere. Analoghe decorazioni si trovano lungo i muri perimetrali, in corrispondenza di travi portanti. La ricchezza e la grazia di queste decorazioni sembrano contrastare con la semplicità della chiesa all'esterno.
Sopra l'ingresso vediamo l'organo, del 1780; è importante, mi dicono, opera di un famoso organista veneziano (Francesco Merlini). E' appoggiato su una struttura tutta di legno, con un parapetto rifinito in finto marmo, con decorazioni di strumenti musicali. Gabriele mi racconta che le decorazioni erano coperte da uno strato di intonaco, prima del suo restauro: probabilmente un parroco del passato le aveva ritenute troppo “vivaci” per la serietà della chiesa.
Si accede al soppalco con l'organo attraverso una scaletta di legno così ripida (come nelle vecchie case di Amsterdam) che deve essere senz'altro servita come tirocinio per gli aspiranti scalatori del paese.
Pregevole la vista verso l'abside: l'altare principale collocato in fondo alla navata è preceduto da due altari laterali (o minori), quasi della stessa “importanza”, appoggiati alle pareti di un arco che separa l'area dei fedeli dalla zona altare e sacrestia.
Ma quello che mi è sembrato straordinario in questa piccola chiesa rurale sono stati tre particolari:
il flügelaltar, le piccole tele con i Misteri del Rosario ed i tre paliotti d'altare.
Il Flügelaltar (letteralmente “altare con le ali”) è un altare di legno scolpito policromo, con due battenti (standflügel) laterali, aperti nei giorni festivi, chiusi nei giorni feriali. Le tavole intorno alle statue scolpite sono dipinte a tempera. Nelle statue sono rappresentati la Madonna col Bambino ed i santi Tiziano, Antonio Abate, Giustina e Floriano, mentre sulle tavole sono dipinti i santi Lorenzo, Sebastiano, Pietro e Paolo. Nella predella che sostiene l'altare è rappresentato un Compianto sul Cristo Morto. Non sono un critico d'arte ma non posso fare a meno di apprezzare le forme ed i colori delle figure riprodotte e del loro contorno, la cura nel riprodurre i particolari, come ad esempio le vesti dei personaggi, gli elaborati disegni ed intagli su legno dorato.
L'altare risale al '500 ed è attribuito ad un maestro di Bressanone dell'epoca. In quel periodo nella vallata erano in funzione delle miniere di ferro e la loro attività ha sicuramente provocato scambi commerciali e culturali, principalmente con i due estremi della valle, il bellunese e l'Alto Adige.
E' stato l'altare principale della chiesa fino al 1714, poi, con l'installazione dell'attuale altare maggiore, è stato spostato presso una parete laterale della navata.
Le 15 formelle con i Misteri del Rosario si trovano sull'altare minore di destra, dedicato alla Madonna. Rappresentano i misteri gaudiosi (a partire dall'Annunciazione), quelli dolorosi (che comprendono la Crocifissione) e quelli gloriosi (che si concludono con l'incoronazione della Madonna). Sono un compendio di pittura religiosa del '700, opera della bottega dei fratelli Guardi a Venezia. L'anno di affidamento dell'incarico, 1762, ritrovato in un documento originale, fa propendere l'attribuzione al grande Francesco (in quell'anno il fratello maggiore era già morto).
(I quali Guardi al loro tempo non erano molto noti a Venezia e “accettavano qualunque lavoro venisse loro offerto”, sia in Venezia che nell'entroterra.)
Prova del valore delle formelle è il furto subito dalla chiesa anni fa: le opere finirono subito nel mercato antiquario e “per fortuna” acquistate in blocco da una collezionista. Individuate grazie alla loro fama e valore sono state riportate nella chiesa dopo una lunga e tormentata vicenda giudiziaria.
I tre altari della chiesa sono dotati di paliotto di cuoio dorato. Decorano la parte anteriore, verticale, dell'altare, quella di fronte ai fedeli, per intenderci. Sono tra i superstiti di quei manufatti d'arte che ebbero una certa fortuna a Venezia, e non solo, dal '500, e che venivano preparati partendo da una superficie di cuoio. Su di essa veniva applicata una doratura (o un'argentatura) con successiva lucidatura, sulla quale veniva eseguito il disegno con metodo xilografico. In seguito si stendeva una vernice color oro e delle lacche ad olio per dare l'effetto policromatico. Infine attraverso la punzonatura con piccoli ferri di varie forme si potevano creare degli effetti di chiaroscuro.
Quelli di Goima risalgono ai primi del '700, dunque si tratta di una forma d'arte plurisecolare, e a quel tempo ormai ben “collaudata”. Sono caratterizzati da figure centrali (angeli, madonna col bambino, anime del purgatorio) contornati da grandi fregi e disegni floreali. Interessante la costante del colore oro dominante, con il senso di luce a calore che trasmette.
Non ne avevo mai visto uno prima e se debbo esprimere la forma d'arte cui mi sembra più vicina, è quella degli arazzi.
Beh, dopo una visita così intensa e impegnativa si esce soddisfatti all'aperto a dare un'occhiata al paese, ai boschi e alle montagne intorno. Chiacchero con alcune persone che hanno assistito alla nostra visita alla chiesa. Alla mia domanda su come hanno fatto ad avere una chiesa così ricca di opere d'arte raccontano di alcuni paesani che nei secoli scorsi, emigrati a Venezia, vi hanno fatto fortuna e hanno voluto beneficiare così il paese d'origine.
La frazione è formata da una diecina di case, altrettanti fienili (tabià) arrampicati su di un ripido pendio. Ci sono segni di agricoltura attiva: orti e stalle con bestiame, mentre non vedo tracce di attività industriale o commerciale significativa. Considero che siamo a circa 1300 m. di altitudine e a quanto deve essere stata (e probabilmente lo è anche ora) dura la vita degli abitanti. Se penso che in queste condizioni sono riusciti a costruire e a mantenere una chiesa così provo per loro una sincera ammirazione.
(26 novembre 2005)
Pubblicato anche su Arengario: I bei momenti
4 commenti:
Siccome in certe cose sono peggio di San Tommaso, sono andato a verificare in rete: ebbene sì, nella chiesa di Goima ci sono proprio opere di Francesco Guardi!
Non lo sa quasi nessuno, in Google ci sono solo due pagine scarse, ma è così. Che il pittore più elegante e raffinato del Settecento veneziano abbia fatto delle opere religiose per una chiesa di quasi alta montagna, vuol dire che abbiamo una visione distorta dei periodi artistici: prendevano quel che capitava, da dovunque venisse la richiesta. Grandi artisti giustamente con la mentalità del buon artigiano.
Per anni, d'estate andavamo a San Giacomo, due chilometri di strada sopra Ortisei, zona ladina. La cura estrema con cui tengono le chiese va al di là dell'essere credenti e non credenti, le loro chiese sono la loro storia, e ad Ortisei c'erano diverse botteghe che vendevano paccottiglia in legno lavorato col tornio ai turisti, ma nelle chiese ci sono opere analoghe a quelle che ha visto Giorgio. Ed a saper cercare, anche a Milano ci sono posti così: la chiesa di Sant'Alessandro, ad esempio, vicino a Via Torino. L'ho scoperta con la storia dei concerti d'organo il pomeriggio della prima domenica del mese, ma è un trionfo di arti minori (cosiddette minori): acquasantiere, paliotti, cartaglorie, confessionali. In quel caso, tutto degli stessi anni del Seicento.
grazie Giorgio e saludos
Solimano
Solimano, purtroppo la qualità delle immagini non rende giustizia all'opera del grande Francesco Guardi. Non per colpa di Giorgio, che su Arengario ha fatto uno splendido lavoro, ma per il difficile passaggio dal sito (che non consente di ingrandire le immagini) al blog. Ho fatto del mio meglio ma il risultato non è all'altezza dell' originale.
Per me, appassionata di montagna (e di chiesette alpine), questo post è un'autentica goduria. Non avrei mai immaginato che in una frazione di un piccolo paese di montagna, a 1300 m. di altitudine, si potessero celare tante meraviglie.
Grazie Giorgio per avercele svelate.
Un saluto affettuoso
H.
Mi dovete scusare se sono rimasta assente da questo luogo troppo a lungo.
Ho perso delle cose bellissime. Per fortuna le posso recuperare.
Haba come sempre raccoglie perle per donarle.
Questo blog dovrebbe girare nelle scuole.
Post molto godibile. Ho respirato a pieni polmoni:)
Ti ringrazio per aver scritto questo articolo bellissimo sulla chiesa di San Tiziano! Io in quella chiesa ci ho passato la mia infanzia, infatti lo zio di mia mamma, tale Padre Beniamino Zerbetto, nè è stato il sacerdote per molti anni. L'ho vista prima e dopo la restaurazione ed è sempre più bella. Concordo su quello che hai detto della scala che porta all'organo, una volta chiesi allo zio se potevo provare a "strimpellare" con l'organo e per poco non mi uccidevo scivolando! E sapete, poteva capitare che a causa della neve non si riusciva ad andare a messa e quindi la si faceva sotto casa dello zio!
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