sabato 13 dicembre 2008

Caro Bul


Gerard ter Borch: Donna che scrive una lettera, 1655
Mauritshuis, The Hague


Caro Bul

di Stefania Mola
(BibliotecadeBabel)



Un epistolario è come un fiume, o piuttosto come un tratto di fiume: ci permette di accompagnare per un tratto il corso di una vita, di ripercorrere per un tratto il movimento di uno spirito intento a trovare se stesso.
(Margherita Pieracci Harwell)



Sono impegnativi, certi epistolari. Non si tratta soltanto di disporsi alla lettura e all’ascolto ma di tenere stretti in pugno tutti i fili di un racconto spesso lacunoso per perdita, caso o intenzione. Affinché ogni tassello vada a posto grazie alla rete di associazioni e coincidenze di una storia smembrata tra interlocutori diversi e contemporanei, così come tra disvelamenti di sé parziali e affidati al frammento, alla nota, ad una scrittura pensata per restare nell’ombra e nutrita da identità plurime.

Sono una cosa strana, certi epistolari. Mancano di reciprocità, sono percorsi non più ricomponibili se non con un atto volontario di sopraffazione che li legga come musica per voce sola. E ancor più strano – e difficile – è seguire un filo che sembra amore ma si spegne tra le nostre mani proprio quando ci sembra di averne afferrato il capo, recuperando in extremis una limpida e calda amicizia basata soprattutto sulle affinità intellettuali e sulla condivisione dell’esperienza del leggere e dello scrivere.

Bul è Leone Traverso, poeta, grecista e germanista che nella consuetudine di tradurre testi altrui legge malinconicamente la sua attitudine a esistere “di riflesso”,
e nel progressivo disamore la sua inadeguatezza ad appartenere ad «altre possibilità»: quella, Vie, è la gente del tuo paese – come dicevi – non io. [...] Vedi, Vie, tu mi socchiudi ogni volta altri cieli, fai vibrare in me l’illusione di altre possibilità, che poi basta una grave stanchezza a distruggere [...] Così mi rassegno a questo ufficio di ”impiegato della poesia altrui” [...] C’è qualcosa di più mostruoso di questa vita di riflesso, di tramite ai sentimenti e alle parole altrui?

Vie, come si firma con il suo interlocutore, è Cristina Campo «un’aria tanto vitale che quasi non si lascia respirare», poliedrica e inarrivabile declinazione di un ingegno caparbio, curioso e privo di interesse nei confronti di ogni “apparire”; insieme a tutte le sue debolezze e piccole contraddizioni, ai suoi fatali «errori di stile», anche in questo. Non doveva essere facile starle accanto, né coincidere con l’aspirazione al sublime del suo animo, tanto meno scendere a patti con il rifiuto categorico di compromessi o concessioni. E il prezzo, inevitabilmente altissimo, è quello attorno al quale si sviluppa il carteggio orchestrato dalla sola voce di lei (a tratti nuova e inconsueta per gli improvvisi bagliori di giocosità): una complicità destinata a non sfociare in passione bensì a resistere nelle vesti dimesse di un’amicizia tormentata.

È con perplessità e disagio che ci si accosta a questa lettura che richiede un’attenzione supplementare a causa dei numerosi rimandi ad accadimenti più diffusamente chiariti in altri epistolari.
Ma anche il necessario ricorso agli scritti di Cristina e alla sua suggestiva e insostituibile biografia.
Alla fine ciò che resta è la sensazione di aver spiato dal buco della serratura, involontariamente. E di aver assistito al diradarsi progressivo di un colloquio speciale, fino al disincontro.

Sono passaggi impercettibili, che la familiarità tra gli interlocutori confonde: ci si rivolge dapprima con un vezzeggiativo, un nomignolo, un soprannome affettuoso;
e quando il nome proprio è vergato per esteso la distanza è ormai un solco netto. Tutto accade in un lasso di tempo così breve rispetto alla vita che nello sbilanciarsi del piano non è dato il tempo di capire. Uno dei due interlocutori porterà via con sé, nei luoghi lontani da cui proviene e cui appartiene, le ragioni del distacco; l’altro subirà senz’appello il silenzio, stringendo tra le dita la trama sfilacciata delle coincidenze, delle condivisioni, delle affinità.

In quella lacuna affondano tutte le risposte; e non basta sapere che «la letteratura (parola orrenda) non è un fine per me, uno scopo, ma solo un mezzo, uno dei modi (infiniti) di vivere con libertà e solitudine» . Né che «spesso le cose hanno ragioni molto più semplici e più precise di quanto non si potrebbe immaginare. Ma non sempre le parole che occorrono a spiegarle si presentano altrettanto semplici e precise». Ancora non basta.

(17 Gennaio 2008)

Da Squilibri

William Michael Harnett: Natura morta, scrittoio, 1877
Philadelphia Museum of Art, Philadelphia


22 commenti:

Anonimo ha detto...

Dapprima sbircio la casa vicina. La porta è aperta.

Entro in punta di piedi in un'ampolla di nevischio.
Mi ricevono Stefania ed Habanera che col movimento dei soli occhi puntano Cristina Campo e tutte le donne che concentrate scrivono lettere sulle note di Satie.

Aspetto un po’ prima di uscire
che l’ampolla trasparente e lucida decanti le emozioni.

AlfaZita

Roby ha detto...

"Uno dei due interlocutori porterà via con sé, nei luoghi lontani da cui proviene e cui appartiene, le ragioni del distacco; l’altro subirà senz’appello il silenzio, stringendo tra le dita la trama sfilacciata delle coincidenze, delle condivisioni, delle affinità."

Questo finale mi ha colpito.

Ma la "trama sfilacciata", a volte, resta divisa in parte fra le dita dell'uno, in parte fra quelle dell'altro interlocutore. In tal caso, forse, c'è ancora speranza di ricomporla?

Chissà...

Baciotti

Roby

Anonimo ha detto...

Cara Alfazita,
non so se emerga da quel che ho scritto, ma la lettura degli epistolari – da sempre – mi affascina e mi inquieta. Penso a tutti i carteggi di artisti, scrittori e affini che mi hanno letteralmente catturata lasciandomi, alla fine, spesso stordita: sarà perché i modi delle epistole rimescolano i giochi, scardinano anche la più granitica delle immagini che ci siamo costruiti. E la fragilità, l'incertezza, le difese finalmente allentate complice lo sguardo che ripiega su di sé riducono la distanza tra noi, lettori incomodi, e "loro", i nostri miti intaccati dall'abbandono e da debolezze che ci somigliano.
Non doveva essere una donna facile, Cristina Campo. Per tutte le volte che avrei voluto fermare la sua penna e chiederle: "Perché?".

Roby,
ho provato sulla mia pelle – non una volta sola – circostanze assai simili. Non dalla parte della Campo. Solo per questo so che la "trama sfilacciata" resta brandello, talvolta si fa reliquia, letteralmente "ciò che resta". Perché ciò che l'altro si è portato via non potrà mai più coincidere e ricomporre "l'intero": d'altra parte, quale filo spezzato, ricongiunto, potrebbe nascondere il nodo? Quale trama il rammendo?

Un grazie di cuore alla padrona di casa per l'ospitalità, sempre affettuosa, e per la coincidenza delle immagini. Cara Habanera, ti ho scritto due righe nella messaggeria di Splinder.

Anonimo ha detto...

Cercavo un'immagine sulla pioggia e mi sono ritrovata in questo blog. Bellissimo! Da appassionata lettrice, sono rimasta incantata ad assaporare molti dei vostri post. Solo il sonno di una lunga giornata mi trascina verso il letto, ma sarei andata avanti volentieri.
E il racconto di Fabio R., "Pioggia", mi ha così affascinata e colpita, che ti chiedo il permesso di postarlo a mia volta da me. Con i vostri nomi, ovviamente.
Non nel link che troverai nel commento, ma qui: http://amarea.splinder.com
E' il mio "alterblog"... un po' più serio di quella cosa leggera e fanciullesca che mi ostino a chiamare homepage, trastullo delle mie fantasticherie.
Intanto grazie e buona domenica!

Fulmini ha detto...

@ Stefania

Grazie. Non conoscevo. E grazie anche del modo: i tuoi incipit sono sempre memorabili, il bello poi è che il seguito non delude - come spesso accade dopo i grandi incipit (per questa ragione Buster Keaton sconsigliava di far partire il film con un acuto).

E veniamo al contenuto, il passaggio dal possibile amore all'angoscioso disamore. Da riflettere, a fondo, tra sé, e anche rileggendo e trileggendo questo tuo post vertiginoso.

Oggi sono proprio contento come un ragazzino, mi sento circondato da un gruppo di amorosi amici che hanno tanto da dire e sanno pure tanto ascoltare, e perdippiù ho rubato un frammento - vita di riflesso - e correndo e mordicchiandolo come una mela rubata, col cuore in gola, comincio a comporre un haiku che reinventi la storia di Narciso.

Fulmini ha detto...

@ Habanera

L'associazione visiva che componi a partire dal testo di Stefania è inquietante e illuminante. Altri avrebbero incorniciato il post con una lei ed un lui, no, tu no, c'è solo lei, e i libri, i libri passati e i libri futuri (le lettere), lui è stato allontanato irresistibilmente, irrevocabilmente, come 'Il Cavaliere del Secchio' di Franz Kafka.

Questo metodo metodo "testo / immagine-i" (completo di risultati) dà molto da pensare.

Giuliano ha detto...

Conosco qualcosa di Cristina Campo, quasi nulla di Traverso, però è vero che ci sono degli epistolari magnifici, e fanno bene a renderli pubblici.
Si parte da Abelardo ed Eloisa, se non sbaglio...
Il mio preferito è quello di Stevenson con Henry James: parlano quasi solo di letteratura, uno alle Samoa e uno a Londra, ma è meraviglioso.
Poi le lettere di Verdi al suo librettista Piave, spesso di una comicità involontaria irresistibile; ma anche quelle di Brahms (toccanti e profonde, a volte buffe) sono molto belle.
Grazie per la lettura!

Anonimo ha detto...

Cara Stefania,
la tua lettura dell’epistolario di Cristina Campo,traspare chiara tra i paragrafi,attenta ed amorevole. Il tuo desiderio di scoprire la persona svelando il personaggio è commovente e ti vengo dietro.
Con la stessa passione scosto le porte per respirare quell’atmosfera singolare che le case portano,e subisco anch’io il fascino degli epistolari, soprattutto delle poetesse, che come te mi inquietano, perché senza soluzione di continuità raccolgono ed amplificano della poesia “ il dolore che ci spumeggia".

…“ ti sono apparsa come la primavera e invece ho tutta la povertà dell’inverno nella mia anima grigia”…

Ma la cosa che mi colpisce prima di ogni altra in un carteggio è il suo suono, quelle condizioni che si fissano tra i due con scelte silenziose sul piano lessicale e timbrico,la fedeltà all’ordine segreto di quella corrispondenza che ha validità nel frammento e nell’intero,fino allo sfinimento del rapporto,dove i tempi si sfilacciano e le sinergie si distanziano sempre più rarefatte.

…”Sono qui, in questa pausa di silenzio, come un velo d’acqua sospeso su di un masso in mezzo a una cascata, che aspetta di precipitare”...

(passi da lettere di Antonia Pozzi ad Antonio Cerri)
AlfaZita

Solimano ha detto...

Ben ritrovata Stefania. Non so nulla di Cristina Campo e di Leone Traverso quindi potrei/dovrei tacere. Ma ho letto attentamente il post ed i rimandi in esso contenuti e dico due cose che mi stanno a cuore.

1. Senza voler valutare le due persone in gioco (a che servirebbe, fra l'altro?), mi ha colpito l'aggettivazione: schivo, umbratile, estraneo, intimo, solitario... e potrei continuare per righe. Ci vedo l'altra polarità italiana, quella appartata che si contrappone alla polarità impegnata, con l'inconsapevolezza pomposa dei maître à penser sempre a mezza via fra editoria e scrittura, da Pavese a Pasolini. Il guaio è che le due polarità si sostengono a vicenda, l'una sdegnando il mondo, l'altra pretendendo di ridurlo a non miti consigli, i loro. Entrambe di fondo nostalgiche, l'una tardissimamente romantica, l'altra tardissimamente marxiana. Ciò malgrado, nel mondo continuano a succedere delle cose, non è che si fermi intimidito dallo sdegno o dai pulpiti. Trovarne, oggi, uno dei valvassori o dei valvassini che dica: "Scusate, il catalogo dei nostri errori è questo, togliamo il disturbo". No, come nel medioevo si pretendeva che la filosofia fosse l'ancella della teologia, così oggi si pretende che la scienza sia l'ancella della filosofia. Ma filosofia appesa a che? Al proprio codino, come il Barone di Munchausen? Quando certe zone d'ombra non ci sono più (Darwin, Lorenz, Monod, Laborit le hanno sgombrate) come si fa a far finta niente, reggendosi a miti miti scaduti?

2. Il tempo degli epistolari è oggi. Ogni giorno, in rete, nel mondo, sono in corso decine di migliaia di epistolari di tipo amoroso. Durano mesi, anni. Solo quei due li conosceranno, ma queste decine di migliaia di epistolari sono la ricchezza nascosta della rete, come Atlante che sorregge il mondo, come un dio nascosto, che è Dio appunto perché nascosto, ma esiste.

grazie Stefania e saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Pasquale,
ben ritrovato e grazie. Ha davvero qualcosa di «mostruoso» quella «vita di riflesso» del traduttore Traverso. Un poeta che si esprime attraverso la voce di altri poeti, grandi; e che a questa definizione affida tutto il senso della sua inadeguatezza, i limiti che si è autoimposto e la distanza dalla Campo (dalla vita?). Nulla di cui stare allegri, insomma...
p.s. - Attendo – curiosa – la rima nell'haiku. :)
p.s. 2 - La scelta di Habanera è tanto più "azzeccata" proprio perché il volume raccoglie solo la voce di lei. L'unica lettera firmata da Traverso, pur diventando il fulcro attorno al quale ruota il contendere, è qui per caso, perché la Campo gliela restituisce insieme alla sua risposta. Proprio per la preponderanza di una sola voce, dovrei in effetti chiamarlo soltanto epistolario e non carteggio (com'è stato, ma non come si offre a noi).

Giuliano,
penso agli straordinari carteggi di pittori famosi, ma posso aggiungere ai tuoi quelli tra Rilke e la Salomé, tra Kafka e Milena, tra Miller e Anaïs Nin?
Grazie a te. :)

AlfaZita cara,
condivido il tono appassionato di ciò che scrivi. E a proposito di quelle condizioni (regolate da una legge tacita tra i due interlocutori) mi hai fatto venire in mente il profilo della Campo letto ultimamente nel volume di Monica Farnetti (quello sulle "signore di mio gusto" di cui ho parlato anche nel mio blog), laddove la Farnetti parte proprio da un carteggio (quello con Margherita Pieracci/Mita) per cercare di smontare la perfetta e controllata architettura che maschera – in apparenza – qualsiasi connotazione personale, qualunque abbandono o segnale affettivo tutto sommato indispensabile alla condivisione della dimensione intima e privata tra due interlocutori. Per trovarla, alla fine, la smagliatura nella rete. L'allentarsi di quella rigidità delle condizioni stabilite. La chiave che trasforma le lettere della Campo nella sua vera biografia.

Ben ritrovato anche a te, caro Solimano.
Non sono sicura che oggi sia il tempo degli epistolari. Sono stata un'appassionata sostenitrice (attivissima) di lunghi e complessi carteggi: amori, riflessioni, discussioni, prospettive, sogni... e tanto altro. Non mi vergogno a dire che ciò che ho salvato da ognuna delle mie vite, dei miei traslochi e dei miei terremoti sono stati fasci di buste regolarmente affrancate e "viaggiate", ordinatamente riunite e ricomposte in ordine cronologico e legate da nastri di raso alti non più di un dito in gruppi di 30-40, a seconda dell'ingombro e del "peso", anche emotivo. Il mio ripostiglio custodisce oggi tre scatole preziose, piene di questi pacchetti.
Quello era il tempo dei carteggi. Alla Rete, è inutile dirlo, mancano troppi requisiti perché un rapporto possa dirsi esclusivo e attento, come è giusto che sia quando si condivide l'intimità, anche solo a parole. Troppa "distrazione", troppa estensione in superficie... La lettera è per eccellenza il luogo dell'intimità (epistula [...] non erubescit, scrisse Cicerone). E del segreto. Cose che i quotidiani epistolari della Rete si sognano. Insieme alla dimensione fondamentale, quella dell'attesa (anche una lettera ha bisogno del suo tempo).

Un saluto affettuoso, a tutti e a ciascuno.

Fulmini ha detto...

@ Stefania

..."vita di riflesso"... questa breve frase di quell'epistolario che tu hai sviscerato ad arte, ha cominciato a cantarmi in testa, finché ha evocato, ripetendosi disperatamente, Eco, e di seguito Narciso, e quel mediometraggio che ho composto quattrordici anni fa - La bobina dell'occhio ferito - nel quale rivelo che Narciso non si è innamorato di se stesso, no, bensì della sua immagine riflessa, diventando per questa via il primo artista, ed ecco, improvvisamente è fiorito nella mia mente non un fiore, il tragico Narciso, ma una soluzione inattesa e felice.

Pubblicherò l'haiku domani nel nostro sito-rivista.

Grazie stragrazie.

Solimano ha detto...

Stefania, ho notato che nono sei entrata nei problemi che ho indicato nella prima parte del mio commento. Prima o poi mi piacerebbe che facessimo una animata e pubblica discussione su queato tema (o pressapoco): "E' corretto, oggi, trattare di filosofia come se le acquisizioni (popperianamente falsificabili) in campo biologico, matematico, fisico, etologico, evoluzionistico, comportamentistico, medico non ci siano state?"
La mia conclusione provvisoria, sicuramente ingenua ed immatura, forse anche grossolana, è che la filosofia è oggi un mestiere del tutto spurio, se procede ignorando il fatto che Hegel, Heidegger, Marx, Freud sono dei miti scaduti, utilissimi quando erano fecondi ma oggi non si può procedere con degli "Ipse dixit" sulla base di questi nomi, il cui grosso guaio fu di non considerarsi dei mitografi, cosa che almeno Jung faceva. Ne parleremo.

Per gli epistolari, dissento. Anch'io ho le mie cartelline (non col nastro di raso), ma non farei grandi differenze fra ieri ed oggi: in tanti bellissimi epistolari tradizionali si annida un amore fortissimo per se stessi più che per la persona a cui si scrive. Ci si metteva un po' di profilo. Gli epistolari a due in rete questo rischio ce l'hanno di meno, però non ne avremo mai la controprova, perché non li vedremo mai, altro punto di autenticità a loro favore. Esistono, in essi sicuramente c'è di tutto, anche molta bellezza che dura nel tempo.

grazie Stefania e saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Caro Solimano,
non uso (e non amo) dire tutto o su tutto. Mi pronuncio solo sulle cose di cui meglio credo d'intendermi o che più m'interessano; per le altre, mi attrezzo in atteggiamento discente.
Dunque, noti bene. :)
E poi, dissento sul tuo dissentire in cornu epistolae (per le ragioni già esposte e molto altro), e apprezzo molto l'incontro tra opinioni divergenti: per te che – come me – non sopporti gnègnè e ooooh, credo sia una gran bella cosa.

Un buongiorno e un caloroso saluto anche a te, Pasquale.

Habanera ha detto...

PASSO D'ADDIO

Si ripiegano i bianchi abiti estivi
e tu discendi sulla meridiana,
dolce Ottobre, e sui nidi.

Trema l'ultimo canto nelle altane
dove il sole era l'ombra ed ombra il sole,
tra gli affanni sopiti.

E mentre indugia tiepida la rosa
l'amara bocca già stilla il sapore
dei sorridenti addii.


(Cristina Campo, 1945)


AlfaZita,
che bella immagine hai scelto per raccontare la tua visita alla casa accanto. Una donna (Stefania) con impegno lucido e appassionato cerca di decifrare un'altra donna (Cristina Campo) mentre tu ed io seguiamo affascinate il filo dei suoi pensieri. Alla fine conosceremo meglio Cristina Campo e, quel che conta davvero, conosceremo meglio Stefania.
E' il momento di lasciar decantare le emozioni prima di uscire,
silenziosamente...

Stefania,
imperdonabilmente non ho ancora risposto al tuo messaggio su Splinder.
Lo farò tra poco ma intanto volevo ringraziarti per la bella luce di intelligenza e sensibilità che emana dalle tue parole.
Non so se si era capito ma è quello che tu scrivi ad affascinarmi, molto più della complessa personalità di Cristina Campo.

Fulmini,
ti confesserò una cosa ma che resti tra noi.
In un primo momento avevo effettivamente messo due immagini: una lei ed un lui intenti a scrivere una lettera.
Ma non ero convinta, non era quello che sentivo.
Via lui ed al suo posto lettere e libri...
Sì, così andava bene.
La tua acutezza non finirà mai di sorprendermi.

Roby,
alla tua domanda non c'è miglior risposta di quella che ti ha dato Stefania:
quale filo spezzato, ricongiunto, potrebbe nascondere il nodo? Quale trama il rammendo?

Ciao Deb,
grazie per le tue parole. Sulla richiesta di portare da te il brano sulla pioggia non posso per ora darti una risposta.
Devo chiedere il permesso a Fabio perchè le cose pubblicate qui non mi appartengono: restano sempre e comunque di proprietà dei loro autori.
Ci risentiamo presto e ancora grazie.

Solimano e Giuliano,
grazie per essere passati di qui, anche da parte mia.

Un saluto affettuoso a tutti
H.

Roby ha detto...

Habanera cara, io -nel mio piccolo- rimango comunque pervicacemente ancorata all'idea che certi rammendi, se fatti con pazienza, impegno e passione, possono durare molto, molto a lungo. A volte (quasi) per sempre. Dipende tutto dalla consistenza originaria della trama spezzata, e dalla capacità e buona volontà di chi li compie.

Affettuosità anche a te, e a tutti gli altri di passaggio!

Roby

Anonimo ha detto...

Arrivo tardi, e seduta, al buio, ascolto Satie, emozioni e sentimenti. Con particolare piacere questa volta. Atmosfera densa e a tratti quasi sacra.
Ho sorriso al primo commento di Roby perchè anch'io ho riletto più volte lo stesso passaggio.
Così vero.
Sorrido una seconda volta all'ultimo commento. Siamo in sintonia, come spesso accade.
La pagina della Signora Mola è una bellissima pagina che fa riflettere su molti aspetti dell'umano vivere.
Haba, come al solito compie una magia: ci regala un ordito prezioso, del quale ognuno di noi ammira la trama.
E sull'Impromptu n.13 vi auguro la buona notte:)

Anonimo ha detto...

Cara Habanera,
grazie per le parole e l'ascolto.

Quando dalla casa accanto affiorò lo scritto di Stefania Mola, stavo provando con un gruppo di sole attrici il mio nuovo spettacolo teatrale(Il testo parla della morte e adopera la ritualità delle prefiche salentine e i moiroloia greco-ciprioti, come strumenti indispensabili per l’elaborazione del lutto).

Avevo corde tese i sensi e la pelle dilatata a esplorare ogni movimento del palcoscenico. La sottile ansia che solitamente mi pervade durante la gestazione del testo ed il periodo delle prove, ha preso vie più tormentate proprio perché gli scritti di Cristina Campo, che avevo per lo scopo studiate, si erano attaccate al mio testo con le unghie de ”LA TIGRE ASSENZA ” e come tutte le cose che mi emozionano, il “DIARIO BIZANTINO” a brandelli lo portavo addosso. Mi attirava la religiosità, la dolorosa ritualità del senso e del ritmo, e parole unite insieme in modo sibillino e magico, si attaccarono al testo. E restarono.

Oggi alla prova, l’attrice principale alzandosi sulle spalle di altre due, disse facendo un lungo salto:
“ DUE MONDI-E IO VENGO DALL'ALTRO”.

AlfaZita

Anonimo ha detto...

Carissimi tutti,
rimango muta di fronte a tanto sapere e una così bella discussione su cui non mi sento all'altezza di entrare in tutta sincerità. Ma grazie delle belle cose che leggo e da cui imparo silenziosa. Giulia

Anonimo ha detto...

Sono rimasta con la schermata aperta ad ascoltare la musica... mi sono un po' distratta, scusate. È che cercavo di affinare la tecnica del rammendo invisibile, ma – nonostante non me la cavi male con l'ago, il filo e la pazienza – il risultato mi delude. Forse perché ingannare l'occhio – mascherando lo strappo con la ripresa dei fili – non basta a ingannare il cuore (e la mente). Sono un po' primitiva, io. Materna e ferina insieme. Pertanto non faccio testo. :D

p.s. @ Silvia
Mi fa un brutto effetto, come una distanza, sentirmi chiamare Signora Mola. Sob. :)

Un saluto affettuoso a tutti.

Habanera ha detto...

Giulia,
se ti dicessi che io me ne sento all'altezza mentirei spudoratamente, ma non è questo che conta.
Amo chi sa aggiungere qualcosa al mio essere e al mio sapere, altrimenti non avrei creato questo tipo di blog, più impegnativo di quanto possa sembrare.
Ho scelto con cura i miei collaboratori e con altrettanta cura scelgo gli autori da pubblicare qui.
Tutti diversi tra loro, ognuno con il suo bagaglio prezioso di conoscenza, sensibilità, umanità, umorismo, cultura, capacità di usare le parole per suscitare emozioni.
E' solo una piccola parte delle tante cose bellissime e sorprendenti che vado scoprendo in rete ma, per mancanza di spazio e di tempo, non può che essere così.
Vorrei poter fare di più e di meglio ma sono già soddisfatta così.
L'autenticità di alcuni rapporti stabiliti in rete mi ripaga ampiamente delle poche, inevitabili, delusioni.

Un abbraccio carissimo
H.


Stefania,
anch'io quando ho letto quel "Signora Mola" ho fatto un balzo sulla sedia.
Avrei voluto dire qualcosa a Silvia ma la conosco bene: è distratta e dolcissima, autentica e generosa come pochi.
Sicuramente non ha collegato la Stefania Mola alla Stefania che tutti conosciamo.
Lei non prenderebbe mai le distanze da una persona come te. Conoscendo la sua sensibilità ne sono assolutamente convinta.

Sui rammendi, vari e possibili, continuo ad essere totalmente d'accordo con te.
Materna e ferina sei, cara Stefania.
Lo so, e mi piace.
H.

Anonimo ha detto...

Ed è propio quello che dici Habanera che mi piace di questo tuo blog... Mi arricchisce, mi sorprende, mi stimola. Non sempre riesco a commentare, ma ti assicuro che lo leggo sempre come leggo volentieri i libri che più amo. Spesso rileggo altri post e imparo, imparo sempre. E' un lavoro prezioso che stai facendo e non lo dico per adularti. Posso amare la gentilezza, la dolcezza, ma non la sdolcinatura e tanto meno l'adulazione.
Stefania la seguo da sempre nel suo blog e mi piace per la sua cultura che non è mai erudizione, ma sempre intelligenza che si coniuga con il cuore.
Grazie ancora, giulia

Anonimo ha detto...

Ho usato "Signora Mola" con assoluto rispetto. Come coloro che abbassano il capo per un saluto e alzano il cappello, pronti a lasciare il passo, tenere la porta aperta, sorreggere o portare qualcosa per essere d'aiuto. Una forma di cortesia che non significa distanza, solo forma di cortesia. Ed è una cortesia che ha sempre il sorriso sulle labbra. Se esistesse una distanza, che io considero tale solo se mentale, non sarei qui, in questo luogo in cui sto così bene e nel quale ogni giorno conosco persone a me così "vicine".
Per cui scusami, il mio intento non era quello di risultare scortese o "distante". Mi dispiace però che certe forme di espressione ormai relegate solo in alcuni ambiti perdano il loro intrinseco significato. Perchè per me sei e rimarrai una Signora.


Grazie Haba per le belle parole:) mi fai sembrare una persona migliore. Anche tu per me sei una gran Signora. Con rispetto e cortesia sempre.

p.s. Io amo un paio di cose che portano i miei anni, tutte rammendate, che non getterei via per nessun motivo al mondo perchè con loro se ne andrebbe una parte di me. L'arte del rammendo è sopraffina, a volte non ci si accorge nemmeno che il rammendo esiste. Solo il ricordo è testimone.
A volte cattivi ricordi non permettono buoni rammendi.
Buona serata:)