venerdì 12 settembre 2008

La ballata di Iza

Vincenzo Irolli: Madre e Figlia


La ballata di Iza

di Giulia



Mi ha commossa, mi ha fatto pensare, mi ha fatto entrare nella storia, nella vita di ogni personaggio, me li ha fatti capire e comprendere. Mi ha ricordato mia madre, mio padre, i miei rapporti con loro, ho pensato alla loro storia e alla mia. Mi ha fatto riflettere sul fatto che si può credere di amare chi ci è caro, ma si può ugualmente non comprenderli. Ho capito che può capitare che le vite che si intrecciano, un giorno possono non incontrarsi più, che si può fare del male convinti di fare del bene ed essere in assoluta buona fede.
E ho sentito quanto il passato si incida nell’anima di ogni persona e si trasformi in qualcosa di diverso in ognuno, quanto possa essere devastante, anche nella vita del singolo, una politica repressiva e totalizzante.

Quando degli individui condividono buona parte della propria vita, la morte di uno di questi può scompigliare le carte e tutto viene rimesso in gioco. Quello che funzionava prima può non funzionare più. E’ successo quando è morto mio padre, credo che succeda a molti quando qualcuno della famiglia o di particolarmente importante nella propria vita viene a mancare.

Il titolo del libro parla di Iza, ma Iza non è l’unica protagonista: ogni personaggio è unico, ognuno potrebbe essere il protagonista assoluto, ognuno ha la sua storia. Una storia che ha il suo legame con quella degli altri, ma che nello stesso tempo potrebbe essere un racconto a sé. Fa da sfondo alla storia la società ungherese, con il clima repressivo tipico prima del regime fascista, poi, dopo il ’45, di quello comunista.
Iza è un medico, il suo lavoro la soddisfa, ha un amante devoto, uno scrittore e all’apparenza non sembra mancarle nulla; in realtà non è felice. Ha avuto un’infanzia difficile che l’ha costretta a crescere troppo in fretta, a diventare forte ed assennata. Da ragazza ha vissuto l’umiliazione della messa al bando di suo padre Vince, un magistrato esautorato dal regime fascista degli anni ‘30 che non si piega al regime e non rinuncia alla sua dignità. Per questo Iza, fin da piccola, affianca il padre e si costruisce addosso un’armatura, pronta a difendere “come un soldato” se stessa e i suoi da ogni attacco della vita.

Ha imparato a far sì che gli eventi si succedano senza ferire, a non commuoversi per le canzoni tristi e le chitarre danubiane. C’è una ballata che Iza Szocs non sopporta e che piace invece a suo padre e al suo ex marito, perché la cantavano nel collegio dove entrambi avevano studiato in tempi diversi. Parla di una vergine che giace su un catafalco, “il viso e il petto pallidi / come neve sulle rocce”:
A Iza non piace perché non vuole commuoversi neppure per i versi di una canzone - e forse non le piace perché, in qualche modo, vede se stessa nella figura della vergine fredda e senza vita. In realtà la donna difende solo la sua fragilità. Ha paura di amare, di lasciarsi andare, di essere troppo amata.
Diventa una donna fredda, quella freddezza che non lascia che l’intelligenza si incontri con il cuore.

Tanto Iza è estremamente controllata, riservata, incapace di esprimere i propri sentimenti, quanto sua madre Etelka è fragile, delicata, semplice, ancorata alle tradizioni e spaventata dalle novità.
Quando perde il compagno di una vita la sua esistenza sembrerà dissolversi e perdere di consistenza. Con lei riusciremo a capire cosa vuol dire “sentirsi disorientati” e quanto sia importante, nella vita di qualsiasi individuo, non perdere i propri riferimenti, le proprie radici. Solo ancorati a salde radici, l’albero può crescere e levarsi verso l’alto, può reggere agli attacchi della vita.

Un ponte a Budapest

Etelka andrà ad abitare con la figlia a Pest. Non basteranno però le premure, l’affetto della figlia, a farle trovare un nuovo equilibrio. Ciò che ella le dà, non può supplire a quello che le toglie: la sua dignità, la capacità di decidere per se stessa, di condurre una vita ad una velocità minore. “Iza è una figlia perfetta, colma di attenzioni, Iza ha predisposto tutto, Iza ha deciso tutto”: quello che può tenere e deve buttare, quello che può fare e deve evitare, dove può stare e dove non deve immischiarsi. Etelka vive nel suo appartamento moderno, arredato con mille agi, con la lavatrice, il frigorifero e i termosifoni, ma l’alloggio è senza anima, lontano anni luce dalla vita semplice che conduceva prima. L'incomprensione che si manifesta giorno dopo giorno allontana la figlia dalla madre e viceversa.

L'una le offre conforti materiali, le vuole semplificare la vita all’insegna dell’efficientismo, mentre l'altra cerca presenze vive, vuole sentirsi utile. L'una segue itinerari solitari, alla ricerca ansiosa di solitudine; l'altra vorrebbe un dialogo impossibile, vorrebbe ritrovare un ruolo perduto per sempre.
Iza la priva di qualcosa di cui mai nessuno dovrebbe essere privato, del proprio passato, della possibilità di decidere qualcosa sulla sua vita, di sentirsi ancora utile a qualcuno: ora lei è la figlia e Iza la madre.

Iza ricorda la mamma come: “una creatura simpaticamente sventata, un po’ timida, allegra, coraggiosa, discreta (…)” dotata “di un indefinibile talento di rendere un vero focolare domestico” ora deve ammettere “con un’infinita tristezza, che la presenza della vecchia la irritava”.

La mamma pian piano sembra ripiegarsi in se stessa, quasi non sentisse di esistere, quasi volesse annullare la sua presenza. “Possibile che fosse morta anche lei e semplicemente non se ne fosse accorta? Possibile che una persona morisse prima di rendersene conto?”

Basterebbero queste due figure a costruire la trama di questo libro, ma la storia si arrichisce di altri personaggi: Antal, l'ex marito di Iza con il quale permane un sentimento di amicizia, l'infermiera Lidia, passionale, volitiva, "umana", Domokos, l'intellettuale nuova fiamma di Iza, Gica, la sarta di paramenti sacri, amica di Etelka, il professor Dekker, artefice dell'incontro tra Iza e Antal ai tempi dell'università.
Romanzo sul lutto e sulla perdita e sull’incapacità di elaborarli. Non riesce infatti a farlo la vedova Etelka. E meno ancora Iza. Una donna destinata fatalmente a rimanere sola. E solo allora, come una bambina abbandonata, Iza invoca: “per la prima volta nella sua vita. – Mamma! Papà!”.
Nessuno le risponderà ovviamente, ma qualcosa forse (ci lascia intendere la scrittrice) si è fatta varco nel suo cuore.
In lei a chiamare è la bambina che non ha mai potuto essere.

(20 gennaio 2008)

Da Pensare in un'altra luce

Albert Joseph Moore: Guardando dalla finestra, 1861
Tullie House Museum and Art Gallery, Carlisle

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie per essere qui dove mi sento a casa... Bellissime le illustrazioni con cui hai valorizzato il mio post. Un abbraccio, Giulia

Anonimo ha detto...

Intensa analisi di un testo molto interessante. Hai saputo raccontarne l'essenza senza svelare troppa sostanza per non sciupare il piacere della lettura che, come pochi autori del Novecento, Magda Szabo ci ha saputo regalare. Cordialmente, Annarita

Solimano ha detto...

Henry Laborit, nell'Elogio della fuga,dice cose importanti su cui occorre riflettere a lungo. Una di quelle che mi ha convinto di più è la riflessione sulla morte delle persone care. Sostiene che noi, più che piangere la morte di quella persona, piangiamo una parziale morte di noi stessi, perché la vita di quella persona è presente in noi, nel nostro cervello, solo che adesso quella persona non c'è più, e se non provvediamo, è una morte nostra, che entra nella nostra vita. E quindi, più che la nostalgia e il ricordo (o meglio, il pensiero del ricordo), occorre accudire sofferenti ma tranquilli le tante esperienze con quella persona ben presenti nella nostra memoria, ri-viverle, ri-vederle, perché questo è possibile e oltretutto è l'unico modo per cui quella persona ci sia ancora, e noi con lei. Nella mia esperienza personale, questo l'ho trovato assolutamente convincente e di vera e feconda consolazione. Anche certe situazioni di degrado, di malattia, di perdita di qualità intellettuali non vanno rimosse, quasi per voler costruire un altare in noi per quella persona che non c'è più. Tutto, pian piano, può essere ri-vissuto, ri-visto, occorre solo una ostinata lucidità, un non scappare dalla sofferenza ma uno scavarci dentro perché ci troviamo dentro la vita, nostra e di quella persona, bella nella sua impermanenza, che è anche la nostra.

grazie Giulia e saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Ho letto anch'io il libro che citi, Solimano, e ho trovto molto vere le parole sulla morte. Si deve davvero scavare dentro la sofferenza, non rifiutarla e ascoltare quello che ci racconta e ci insegna. E' una pratica che ho fatta mia da tempo, ma che dentro di me è sempre più chiara. Non si arriva una volta del tutto, è un cammino. Anche questo libro mi ha regalato molte riflessioni e pensieri. Un caro saluto. Giulia

Solimano ha detto...

Giulia, sarebbe meglio che l'esperienza del dolore non ci fosse, ma visto che c'è prima o poi per tutti, va affrontata senza fare del dolorismo, mettendo in piazza i propri guai. Se lo si fa, o è per narcisismo irrefrenabile anche nelle situazioni più difficili, o è per debolezza, perché non si riesce a tenere per sé le proprie esperienze. Così si rende tutto più difficile: sarebbe meglio tacere, parlando solo con persone con cui c'è un rapporto di vera intimità.

saludos
Solimano

Habanera ha detto...

Giulia e Solimano, non conosco "L'elogio della fuga" di Laborit ma nessun libro, per quanto illuminante, potrà avere ragione più di quanto ne abbia il nostro istinto.
L'istinto, cioè la nostra difesa naturale, porta alla rimozione di un dolore che rischia di portarci via con sè.
Solo in seguito, dopo un tempo che è del tutto soggettivo, potremo (e dovremo) affrontare con coraggio l'elaborazione del nostro lutto.
L'istinto di conservazione è una sentinella che ci impedisce di arrenderci nei momenti di massima difficoltà, quando non solo la nostra vita ma anche il nostro equilibrio mentale è seriamente minacciato.
Se lo si ostacola si rischia di perdere il controllo di se stessi con conseguenze che possono essere anche molto gravi.
Il dolore esiste, fa parte della vita, ma può renderci più forti e consapevoli se non gli permettiamo di annientarci.

Vi ringrazio e vi abbraccio
H.

gabrilu ha detto...

Cara Giulia, è sempre un piacere per me vedere che Madga Zsabo è adesso adeguatamente apprezzata anche in Italia.

Anonimo ha detto...

Cara Gabrilù, io l'ho scoperta grazie a te... e davvero la trovo molto brava. Quindi, grazie. Giulia

Anonimo ha detto...

Quoto Hababera poichè concordo su tutto.
E ringrazio Giulia per il bel post e Gabrilù per questa segnalazione di cui terrò assai conto.
A tutti buon lunedì:)