venerdì 1 agosto 2008

Promenade




Promenade
(Pensare coi pedali -1)


di Nicola
Mazapegul




1- Ci sono poche cose peggiori di un sabato splendente di sole passato in dipartimento alla ricerca del risultato sfuggito sino al giorno prima, mentre in compenso non hai fatto quel lavoro facile-facile in scadenza tra tre giorni, in una città dove non hai più amici, ma solo colleghi e consorti di colleghi, col cielo che inizia a prendere quel color oro preannunciante il tramonto su un bel giorno di festa buttato via e la solita cena di avanzi da consumare in solitudine nel villone troppo grande per una persona sola e bisognoso di pulizie da almeno una settimana. Per esempio, ti può succedere di finire la giornata di lavoro senza aver mosso un singolo passo verso la soluzione del problema, ma con l'impressione, al contrario, di aver fatto dei passi indietro e di avere una comprensione se possibile ancora minore del contesto generale in cui il problema si inseriva, contesto che la mattina stessa appariva pur così chiaro.
L'unica speranza di emergere sopra il livello dell'incipiente micro-depressione da weekend, tanto più che il weekend è quello lungo del Memorial Day, consiste nell'inforcare la propria Raleigh M20, 7 per 3 velocità, cambio Shimano ergonomicissimo, copertoni con battistrada profondo e arzigogolato adatto alla guerra nei deserti d'Oriente, ammortizzata quel che basta per percorrere senza rompersi le ossa le accidentate pianure marziane, cromatura blu ancora luccicante di nuovo, nonostante fosse una giacenza dell'anno precedente in supersaldo. E visto che nel momento massimamente languido del magone lo sconfinato territorio urbano là fuori mi appare sotto forma di discarica delle passate memorie, indirizzo la mia biciclettata verso le mie precedenti residenze di St. Louis.


2- Punto la prua verso Oriente e verso Forest Park, estremo lembo occidentale dell'amministrazione municipale di St. Louis, cazzo la randa e mi lascio andare giù dalla collinetta su cui s'erge, oramai a poppa, il castello oxfordiano dell' Università Washington. Il grande Parco-Foresta, più grande di Central Park a New York e uno dei più estesi parchi urbani d'America, fu sino al 1904 una zona acquitrinosa oltre il confine occidentale della città, di cui sopravvive il ricordo nella via West End all'altro estremo della distesa verde.
In quell'anno, cercando invano di recuperare il ruolo di vero baricentro della grande pianura che le era stato scippato da Chicago, la St. Louis che conta fece bonificare gli acquitrini e vi organizzò un' Esposizione Universale, alla fine della quale terreno e edifici passarono a formare il grande parco verso cui sto scendendo, cercando d'evitare il colpo di boma dell'auto distratta che si prova a speronarmi da babordo.
Non c'è attività sportiva che non preveda l'impietosa pratica dell'autopunizione, mi dico prendendo la strada che si arrampica sulla collina del Museo d'Arte invece di quella che attraversa placidi campi da golf e laghetti simpaticamente frequentati da germani reali e oche canadesi. Di fronte al museo, alla statua equestre di S. Luigi dei francesi in procinto di scatenare le armate crociate contro i giocatori di golf e i germani reali, nei loro commerci indaffarati in fondo al ripidissimo prato, è stata restituita la spada che, quando ero studente, risultava rubata, così che il San Luigi d'allora pareva salutare, piuttosto che minacciare, le orde degli infedeli.
Mi getto giù dalla collina e registro con la coda dell'occhio due matrimoni che sono finiti qui a fare le fotografie: una coppia di neri in bianco con ospiti neri in nero e una coppia di bianchi in bianco e nero con damine azzurre. Il matrimonio americano, si sa, dura poco, ma parte molto scenografico.
Un po' come il Big Mac.
I neri e i bianchi che popolano il parco stanno insieme in emulsione, piccole goccioline omogenee di questo e di quello che non si mescolano. Le coppie interrazziali mi sembrano però aumentate negli ultimi dieci anni: da nessuna a qualcuna; uomo nero e donna bianca. Anni fa erano proprio i neri a opporsi pubblicamente a questo mescolio, mentre i bianchi si opponevano privatamente nella forma del rimprovero genitoriale alla figlia debosciata. La massiccia carcerazione di giovani maschi neri aveva lasciato, come in tempo di guerra, un gran numero di ragazze in età da marito con poche o nulle speranze di trovarne uno, così le coppie interraziali venivano viste come l'ultimo scippo dell'uomo bianco.
Il razzismo è una brutta bestia, e pure complicata, medito genericamente mentre la Raleigh M20 raggiunge le ultime propaggini del parco. E insomma, ciascuno si accoppi come meglio gli aggrada, concludo infilando Lindell Avenue.


3- Sostenitori della devolution, meditate qui gli effetti congiunti del federalismo fiscale e della rivoluzione automobilistica! Stamattina uscivo dalla mia casa, in una ricca city della cintura urbana (nessuna addizionale IRPEF) e adesso entro nella grande municipalità (con addizionale IRPEF) da cui tutto il ceto medio-alto che poteva è fuggito, lasciando una massa di poveri e sfigati che, per quanto si riduca il livello dei servizi, costano un sacco, facendo crescere l'addizionale IRPEF e spingendo sempre nuova gente alla fuga, in una spirale senza fine.
Il ricco e il povero, separati anche topograficamente, si conoscono oramai solo attraverso i film e la cronaca.
Detto così, un po' alla grossa, perché in realtà questo primo tratto cittadino della biciclettata procede in mezzo a una bella fila di villoni, alcuni progettati da architetti di grido, in cui ancora risiede parte della old money locale. Un po` più avanti si vede il cupolone neo-bizantino della cattedrale cattolica, il viale alberato mitiga il caldo ed e` coi polmoni pieni d'aria fresca e di ottimismo che, andando a memoria su una mappa per ciclisti sbirciata la settimana prima, svolto a destra ed entro in un quartiere di basse casette condominiali.
La rotta procede verso Sud attraversando diverse stradine, un cavalcavia, altre stradine, finché la via non s'arresta bruscamente di fronte a una ferrovia e devo ammettere di essermi perso, proprio nella zona dove ho abitato per lunghi anni.
Mi guardo attorno e subito vedo che la pulita e ordinata città che avevo attraversato è stata sostituita da un quartiere malandato, in cui sono l'unico bianco. Torno indietro e prendo per un'altra strada, incrociando pericolosissimi teenager neri su vecchie mountain bike scassate, che mi guardano e osservano 1) che non sono un teenager, 2) che non sono nero, 3) che la mia bicicletta, ora me ne rendo conto, e` troppo cromata, ha un cambio Shimano troppo ergonomico, ha un modello troppo M20, che in quel momento vorrei fosse, che so?, un M7 o un M8.
Il razzismo, si sa, è una brutta cosa, ma peggio ancora è essere ritrovati pieni di pallottole in un vicolo. E quel giovanotto al telefonino nell'auto ferma, starà telefonando ai suoi complici in fondo alla via: "pollo bianco in avvicinamento"? E tutte queste persone, perché stanno sedute sui gradini di casa senza fare nulla se non guardarmi?
Pieno di apprensione vado a zig-zag tra isolati di vecchie casette malandate, povere vetrine di poveri negozi, perlopiù di alcolici, sinistramente protette da robuste inferriate, sedi di istituzioni caritatevoli e di congregazioni protestanti, che in questo quartiere non hanno templi (la comunità non potrebbe pagare l'affitto), ma modeste sale di riunione.
Possibile che io abbia abitato in questa zona per cinque anni? Proprio io, un ceto medio così amante della legalità da diventare riflessivo?
I miei pensieri mi portano verso tutta una serie di domande angoscianti, mentre i pedali mi portano diretto a Shaw Boulevard e alla mia casetta di studente, proprio di fronte al giardino botanico di St. Louis.
Sì, ero più giovane, abitavo qui, mi piaceva e non avevo paura. E come tutti gli abitanti del quartiere le sere d'estate, non avendo un giardino, mi sedevo sui gradini dell'ingresso a guardare la gente di passaggio e a intercettare la brezza.

4- Seduto sul marciapiedi del giardino botanico mi fumo una sigaretta e guardo le auto che passano, tanti neri e sparuti bianchi guardinghi. Non temere, polletto bianco, nessuno ti mangerà allo stop qui davanti. Il razzismo, ragazzi miei, e` veramente una cosa stupidissima.
Incerto sulle virtù terapeutiche della biciclettata sino a quel punto e nel pieno della seconda luna di miele con downtown St. Louis, decido di procedere oltre verso Est, cioè verso il Mississippi. E con le gambe piacevolmente fiacche prendo per Tower Grove, un parco cittadino che si sviluppa tutto in lunghezza sull'asse Est-Ovest. Pedalo da poco quando sento venire da alcuni alberi una musica jazz allegra e obsoleta, di quel genere orecchiabile che si faceva almeno fino agli anni `50. Seguo la musica e trovo un'orchestra sotto un padiglione, ma suona per una festa privata, purtroppo, e non c'è possibilità di entrare. Gli invitati sono vestiti elegantemente e sembrano far parte di uno stretto gruppo etnico-famigliare. Un clan, insomma. Famiglie ex(?)-mafiose di italiani? Una tribu` di irlandesi? Polacchi? Chissà.


Riprendo a pedalare e noto come le famiglie qui riunite, bianche o nere che siano, hanno un'aria più dimessa di quelle che incontro sempre nel Parco Foresta, e anche più allegra. Forse perché nel Parco Foresta ci vanno a fare sport, mentre qui ci vengono a cuocere salsicce e costine di maiale alla griglia? Nuovo "chissà?!"
Un'auto scassata targata Illinois mi sta seguendo lenta lenta. Dentro, due facce giovanil-patibolari, una delle quali tutta butterata... dal vaiolo, mi suggerisce il Tex Willer che sempre mi accompagna: le persone butterate sono tutte cattivissime e segnate dal vaiolo (vaiolo nel 2005?, gli chiedo; fidati di Tex, amigo). Controllo di avere ancora il portafoglio in tasca, poi finalmente l'auto coi giovinastri mi passa e sono arrivato in fondo al parco, all'inizio di quello che qui a St. Louis più assomiglia a un quartiere asiatico.
Non e` una Chinatown: ristoranti e negozi sono perlopiù vietnamiti, lascito della guerra e dei boat-people (di quelli che potevano vantare famigliari negli USA, almeno). La loro presenza ha dato una vocazione a questa arte della città, richiamando poi altri asiatici: tailandesi, laotiani, qualche cinese. I ristoratori cinesi, mi viene in mente, sono quelli più avventurosi e i loro Chop Suey si trovano anche nel bel mezzo del grande ghetto nero di St. Louis. Mi ricordo una volta che mi fermai a uno di questi baracchini, il cui interno era foderato di fotografie allo scopo evidente di tutelarsi verso la criminalità locale: padrone del negozio intento a praticare arti marziali, padrone del negozio con gruppo di poliziotti sorridenti, padrone del negozio abbracciato con esponente importante della comunità di quartiere (politico?, pastore?, politico e pastore?).
Il sole è oramai al tramonto e riprendo la strada di casa. Per cambiare, attraverso il quartiere italiano, The Hill, con tutti i ristoranti Giovanni, Gino, Favazza, Mama Campisi..., e soprattutto con l'alimentari Viviano, che vende il salame Volpi, il cui stabilimento sta giusto qui dietro. Prendo nota di dover tornare in orario di apertura e osservo l'ingresso di una casetta bianca tutto occupato da: una stelle-e-strisce, una statua della Madonna in stile Loreto alta mezzo metro e altre icone taumaturgiche, manifesti a difesa dell'embrione da chi vorrebbe abortirlo o usarlo per i propri ludi scientifici. "God bless America and President Bush!", recito a me stesso a memoria dal manifesto letto nella vetrina di un diner, sorta di baracchino delle piadine una volta assai popolare, ma oramai sostituito dall'insipida e uniforme invasione delle catene fast food.
I pali della luce e gli idranti della Hill sono tutti verniciati col tricolore, un piacevole cromatismo di casa che mi fa pesare di meno il fatto di essere alla fine del mio giro. Prendo una via laterale al Parco Foresta e penso a tutta questa gente così diversa, discendenti di schiavi africani, di italiani poveri, di soldati e prostitute sudvietnamiti, che si fanno la loro vita un po' separati, un po` mescolati, ma uniti "under the Articles", sotto gli articoli della Costituzione degli Stati Uniti d'America. E adesso, mi viene in mente, anche noi europei abbiamo scritto i nostri "Articles", sotto cui stare ciascuno con le proprie abitudini e lingue, ma con un sentimento di unità e, perchè no?, di scopo. Certo, i nostri Articles riempiono duecento pagine illeggibili, il Ministro degli Esteri conta meno di Condoleeza Rice, che non deve chiedere il permesso a tutti e cinquanta i governatori. Però, diciamocelo, è un bel passo avanti.
Ma pensa un po' a forza di stare qui me lo ero dimenticato: i francesi voteranno proprio domani il referendum sulla Costituzione Europea. Certo, i sondaggi danno il NO in testa di qualche punto, ma vedrai che proprio leggendo i sondaggi gli elettori si spaventeranno e cambieranno intenzione di voto. Non vorranno certo prendersi la responsabilità di lasciare l'Europa con le braghe calate, proprio adesso che ci sono crisi economica e guerre nel Vicino Oriente.
Ed è con questi allegri pensieri che infilo il viale alberato che mi porta a casa.

(Maggio 2005)


11 commenti:

Giuliano ha detto...

Caro Nicola, anche a me piaceva molto andare in bicicletta, compatibilmente con il mio fisico che non è mai stato da atleta (e anche per i professionisti, si sa che quelli grandi e grossi sulle salite fanno una gran fatica). Comunque mi facevo tranquillamente 30-50 Km, preferibilmente schivando le salite peggiori e girandoci intorno.
Poi ho smesso, qualche anno fa: girare in bici è diventato sempre più pericoloso. Se avessi un figlio o una figlia, anch'io lo accompagnerei in macchina dappertutto: sono contrario in linea di principio, ma c'è da aver paura.

E comunque del tuo brano sottolineo una cosa: se si va in bici (magari anche veloci, ma senza esagerare) si può pensare. E certi rettilinei lunghissimi, certi falsopiani che ti costringono a fare un po' più di fatica ma non troppa, sono proprio l'ideale per mettere in ordine i pensieri, anche quelli più complicati.

PS: abito tra Como e Milano, il regno dei palazzinari e delle immobiliari, delle moto e delle automobili.

Habanera ha detto...

Là dove c’era l’erba, ora c’è una città...
Caro Giuliano, sai cosa fanno i ciclisti ( soprattutto le cicliste) a Milano? Circolano spudoratamente sui marciapiedi. Così son bravi tutti, lo saprei fare anch'io. Preferisco piuttosto lasciare che la mia bicicletta arruginisca in cantina.

Maz, questo è il tuo primo post completamente autonomo, immagini comprese, qui sul Nonblog.
Assolutamente perfetto, davvero uno splendido lavoro.
Il post è interessantissimo e le immagini sono scelte con molta cura.
Complimenti e mille volte grazie
H.

Giuliano ha detto...

Cara Habanera, purtroppo le bici vere, le bici-bici, quelle che nei tempi civili si usavano per spostarsi, sono quasi sparite.
In giro ci sono solo le mun-tan-bài e le bici da cross e da corsa; "solo gli sfigati vanno in giro con quelle bici lì".
Che poi la mia è una citybike bella robusta, con un buon cambio Shimano, ormai vecchiotta ma ideale per portare in giro uno pesante come me.
(sono proprio stufo delle mode, e dell'arroganza che c'è dietro).

Habanera ha detto...

Ops, naturalmente la mia bici arrugginisce (non arruginisce) in cantina. Fa caldo, eh? ;-)
H.

mazapegul ha detto...

Cara Habanera,
i ciclisti sono spesso maleducati, è vero, ma debbono anche sopperire "all'italiana" all'assenza di piste ciclabili (o alle inspiegabili lacune che esistono tra diversi tratti ciclabili). Io sono piuttosto teutonico, al riguardo (faccio lunghe deviazioni pur di non prendere sensi unici alla rovescia, com'è d'uso a Bologna), ma a volte c'è da perdere la pazienza. (Magari ne parlerò, se scriverò una puntata su biciclette e bambini).
Giuliano: la tecnologia applicata alle biciclette non è solo moda (anche se io sono l'ultimo a potersi esprimere in merito, essendo un ciclista ignorante e conservatore). Se ci fosse un maggior mercato per le biciclette, i prezzi di quelle super-tecnologiche diminuirebbero e tutti saremmo in grado di fare lunghi chilometri senza particolare sforzo e comodamente, e pure velocemente. Il fatto che le bici tecnologicamente avanzate siano uno sfizio per i ricchi o per gli amatori è dovuto al fatto che la bicicletta è un mezzo di trasporto di nicchia; ciò che non dovrebbe essere.
Ciao,
Màz

Solimano ha detto...

L'idea di pensare con i pedali è bella, anche se non è facile pensare mentre si fatica.
Finirà che scriverò un post anch'io, sul mio rapporto con la bicicletta, qui dico solo due cose.
Bartali. Nel 1948 ero in colonia al mare, non ricordo se a Bellaria o a Igea Marina. Il ciclismo era popolarissimo, ed io ero un tifoso sfegatato di Bartali. Mia madre (che aveva la quarta elementare) per diverse volte mi scrisse lettere a quattro facciate, per raccontarmi le imprese di Bartali al Tour de France, che lei ascoltava per radio, prendendo nota. Nella lettere c'erano i distacchi di tappa e la classifica, i GPM che Bartali aveva vinto, un po' di tutto, e a lei personalmente non è che il ciclismo interessasse.
Waterloo. Stavamo al centro di istruzione di La Hulpe, in Belgio, ed avevamo a disposizione delle biciclette robuste con tre soli rapporti. Con un collega toscano, un giorno decidemmo di andare a Waterloo, che era a poco più di venti chilometri. E lì ho capito cosa vuol dire pedalare in Belgio e cosa sono quelli che chiamano muri: la strada sale per cinquecento metri, non di più, solo che è talmente ripida che al quattrocentesimo metro hai la lingua di fuori e una gran voglia di fermarti. Procedi ondeggiando. Poi, cinquecento metri di discesa, poi ancora cinquecento metri in salita ripida. Una vera e propria Waterloo, difatti ascoltammo poco la guida che raccontava di Wellington e di Blucher. Ho capito perché nelle gare in linea allora quasi sempre vincessero i fiamminghi.

Però, attraverso il giro su St.Louis, Nicola riesce a dire la sua sull'universo mondo e a dargli una sistemata, riuscendo a sfuggire ai rischi del polletto bianco. L'unica cosa invecchiata è la Costituzione Europea, ma non dipende da Nicola.

saludos
Solimano

mazapegul ha detto...

Solimano, la Costituzione Europea era invecchiata il giorno dopo la pedalata, infatti. Ero indeciso se tenere il riferimento polveroso, a tre anni di distanza, poi l'ho conservato e non solo per fedeltà al testo o per pigrizia.
Quando mi trovo in America mi sento innanzitutto europeo (e molti americani mi cosiderano tale: uno spaghetti-European). L'idea di Europa, così in crisi nel continente (e sotto attacco in Italia, sopratutto da parte degli scellerati leghisti), è poi ben viva al di fuori dei nostri confini. In diverse aree del mondo (Africa Nera, paesi arabi, Sud America), il "ceto medio riflessivo" locale considera la UE un modello reale a cui ispirarsi e conformarsi (e, per molti paesi, il luogo giuridico-politico a cui ci si vuole agganciare). La forza dell'euro sul dollaro dovrebbe renderci anche orgogliosi (e ci fa risparmiare un bel pò sulla benzina), oltre che farci sospirare per gli effetti negativi sulla competizione.
Greetings,
Màz

Roby ha detto...

Invidio Maz per questa sua capacità di immergersi nel "mare" americano in scioltezza, raccontandoci quello che vede mentre "nuota" (o pedala) da est a ovest, da sud a nord, senza mai perdere di vista la "boa" del suo dolceamaro umorismo al sapore di tortellini e nebbie padane...

R.

Giuliano ha detto...

"Promenade", penso che sia un'eco di Mussorgskij: Quadri di un'esposizione.
Un'altra bella immagine, pensandoci bene, di quando ci si sposta in bici: ogni tanto ci si ferma e ci si guarda intorno.

mazapegul ha detto...

Bentornata, Roby!
A quando il prossimo pezzo?
Cosa farà la figlia il prossimo anno?

Roby ha detto...

Caro Maz, il prossimo pezzo già bolle in... bacheca! La figlia vuol fare Lingue... Mah!!! Un baciotto alle tue!!!

R.