lunedì 14 luglio 2008

Salutazioni


Pontormo: La Visitazione (part) 1528-29
Olio su tavola Pieve di San Michele, Carmignano (FI)


Salutazioni

di Zena Roncada
(Colfavore delle nebbie)




Famoso, ovunque, è il saluto alla R****** ( gli asterischi stanno per le lettere che compongono il mio cognome).

E’ praticato in ogni occasione possibile, quando si materializza un incontro.
Se io e mio padre siamo nello stesso supermercato e ci incrociamo due volte nel giro di venti minuti, per due volte ci abbracciamo e ci baciamo sulle guance come se fossero vent’anni che non ci vediamo. E poi, mentre ci allontaniamo in direzioni diverse, ci giriamo alcune volte per dirci ‘ciao neh, …saluta la mamma’, ‘saluta Lino…’ (che è stato già oggetto di accurati ‘ ben trovato ’ due scaffali prima).

Mon mari non si è ancora ripreso dalla prima volta.
La prima volta del saluto dell’allora sconosciuta zia Nelly. Non solo ripetutamente gli corse incontro, ma lo abbracciò e lo baciò, dicendo estatica ‘ al me bel al me bel’ : commossa, continuò a covarlo con occhi adoranti per tutto il tempo della visita.

Il meglio, comunque, in famiglia, siam capaci di darlo quando ci si incontra nei numeri grandi, dagli otto in su, fino al tetto massimo della trentina.
Allora gli abbracci e i baci si moltiplicano per ogni componente, nel rapporto uno a uno.
Siccome siamo anche vagamente distratti, ci dimentichiamo se ci siamo già salutati e ricominciamo daccapo: non si sa mai.
E siamo proprio felici di vederci e di trovarci bellissimi.
Non siamo preoccupati per i nuovi affiliati: giovani mariti di cugine di secondo grado, morosi timidi e ragazzine in boccio, arrossenti…. Baciamo e abbracciamo anche loro, come se li conoscessimo da sempre, trovandoli bellissimi, naturalmente: sono valore aggiunto.

Un cugino (simpatico: da clonare e da tenere in casa in più esemplari per i momenti bui) è solito presentarsi, ai compagni/compagne dei figli, nel rito ufficiale del primo pranzo insieme, come l’ultimo degli Intillimani: canta
Vola colomba’ da lui opportunamente tradotta in spagnolo con l'aiuto del dizionario, accompagnandosi con la chitarra (talvolta). Per metterli a loro agio.

Ma è il momento del commiato a mettere una vaga inquietudine: almeno tre quarti d’ora prima dell’orario prefissato per la partenza, cominciamo a guardare l’orologio. Ci si dice “meglio cominciare a salutarci”.
Il più coraggioso comincia, ... eppure qualcosa succede sempre: una notizia dimenticata, una fettina di torta che chiama, quella foto da cercare, il regalo scordato sulla poltrona…
Facile dover ricominciare e poi, poi prolungare il saluto in strada, con le braccia che oscillano finchè l’ultimo fanale non scompare, alla curva del viale.
L’ultima mano in aria.
Mai stati bravi nei distacchi, mai.

Ieri, una serata così.

Con le voci sorridenti, a ridosso di una siepe fresca, la voglia di rimanere lì e di legare al saluto tutte le speranze di giorni buoni, specie quando l’esistenza non offre il suo volto migliore e mostra le crepe del tempo, gli ammanchi, i cambiamenti.
Il saluto, allora, diventa promessa di non cambiare e passaggio di consegne.
Segno di appartenenza e di condivisione.

L’accompagnare la vita con una carezza.


Correggio: La Madonna di San Girolamo (part) 1525-28
Olio su tavola Galleria Nazionale, Parma


giovedì, 13 luglio 2006 (dedicato alle mie cugine sorelle, ovvio)

Da Pesci di nebbia

12 commenti:

Giuliano ha detto...

Come figlio di mamma emiliana cresciuto in Lombardia, confermo tutto. Quando venivano qui i miei zii, o quando mi capitava di andare a Parma, era tutto un altro mondo. Io purtroppo sono un po' troppo lombardo.

Penso a questo anche quando si straparla di Padania: tra Varese e Mantova c'è un abisso... O meglio, c'era: oggi siamo tutti omologati - e in peggio. (Si baciano e abbracciano così anche i cugini ventenni?)

Anonimo ha detto...

Sì, in famiglia son così anche i ventenni: vengono addestrati in appositi corsi d'affiatamento familiare fin dalla tenera infanzia.

Sapete, mi fa effetto rileggere questa cosa di due anni fa: da allora la geografia di famiglia purtroppo è cambiata...
Certe vecchie montagne di granito, che parevano invincibili, non ci sono più.
Certe colline morbide e accoglienti si sono assottigliate e spente.
Fra chi resta, il 'vissuto', nel senso di 'già stato', è diventato un collante ancora più forte: si rinnovano e si infittiscono i riti di salutazione e si continua ad accompagnare la vita con una carezza: dolsa e brusca.
Ne lascio una anche qui:)
zena

Massimo Marnetto ha detto...

Gran bel post, cara Zena (pensa che per puro caso ho affrontato anch'io lo stesso tema nella mia palestra da futuro bloggerista).

Io ho una famiglia molto numerosa e benestante alle spalle, ma con la quale ci siamo frequentati (e salutati) molto poco.

Anche perché - per semplificare la visione del mondo che ci separa - quasi tutti sono di destra e solo una minima parte del parentame è di sinistra.

Allora, quando ci vediamo - ormai raramente - le mie vecchie zie (che nonostante tutto mi amano perché sono simpatico) mi prendono sottobraccio, mi tirano via dal gruppo e mi bisbigliano in un orecchio "mi raccomando Massimo, niente politica, ce lo prometti?.."

Così, passo il pranzo come se fosse un esercizio Zen: "Niente ti farà incavolare, mi ripeto con calma, perché il tuo controllo è più forte di ogni provocazione".

Ma quando tutto sembra procedere, arriva improvvisa una frasetta ammazza-Zen del tipo... "la verità è che chi è povero è perché non ha voglia di lavorare, altro che storie" e lì me ne frego dello Zen e rispondo per le rime, con il rumore delle posate che all'improvviso si ferma e tutte le facce rivolte verso di me.

Anche quelle deluse delle zie, che si erano tanto raccomandate... Poi, c'è il brindisi alla salute che spacca il gelo e riporta tutti i cucchiani a pesca di macedonia.

Le mie salutazioni sono saluti-tregua per far contente le zie e durano molto meno.

Ecco perché t'invidio, cara Zena.

Solimano ha detto...

Il mio professore di latino al ginnasio sosteneva che la differenza fra gli uomini e le donne è nel fatto che gli uomini fanno fatica a carburare, cioè a cominciare a parlare fra di loro, ma sono veloci nel salutarsi, mentre alle donne succede il contrario: in genere, al momento del saluto di fine visita, continuano a parlare nell'ingresso, in piedi, anche per un quarto d'ora. I due uomini sono lì, anche loro in piedi, silenziosi, cercando di non mettere bocca sennò il quarto d'ora si allunga. Non è cambiato nulla, in tutti questi anni: se due amiche si incontrano all'ingresso di un negozio, mica si spostano per parlare fra di loro in santa pace, perdono il senso del tempo e dello spazio e nel negozio non si può né entrare né uscire.
Ma in molte famiglie di campagna, attorno a Bologna, i figli davano del "voi" (in dialetto) ai genitori. Il salto c'è stato con la mia generazione, in cui i genitori fra di loro parlavano in dialetto mentre parlavano (a volte faticosamente) in italiano con i figli. Quindi da noi non c'erano tutti gli abbracciamenti di cui scrive Zena.
Però in Emilia c'è molta differenza fra provincia e provincia: a Parma si toccano poco, a Reggio sono più maneschi. Forse è per questo che Attilio Bertolucci, che era parmigiano, ha scritto una poesia in cui dice: "di là dell'Enza, dove la razza è meno fine di noi". I reggiani non l'hanno ancora perdonato. Il torrente Enza, per chi non lo sapesse, è il confine fra la provincia di Parma e quella di Reggio.

grazie Zena e saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Anche in questa fettina di mantovano che sfuma nel ferrarese (terracqua di briganti di passaggio e di incroci) si dava del 'vu', ai genitori e pure fra marito e moglie.
In campagna, soprattutto.
Nella mia famiglia neanche i bisnonni lo praticavano: praticavano invece l'arte della diversità, ideologica ed anche religiosa (per dire, da parte materna bisnonna bigotta, in chiesa al primo campanin, e bisnonno predicatore valdese; da parte paterna bisnonno anarchico col fiocco e libero pensatore e fratello sagrestano....)

Non so se le nostre pratiche di salutazione risentano più di una provenienza geografica o di una impostazione familiare.
Propendo per una sana mescolanza di entrambe.

E' certo che da sempre, ad ogni partenza, c'è stato un braccio teso che aspettava l'ultima svolta utile per un saluto...

Vi ringrazio e vi saluto, a mia volta.

zena
Con piacere

Giuliano ha detto...

Io non sono fatto così, che invidia. Però mi piacerebbe, mi sarebbe piaciuto: avendo praticato e continuando a praticare le mie zie di Parma, con i loro basòn e i stricòn, (bacioni e abbraccioni)penso che il mondo in mano dei miei vecchi sarebbe cresciuto meglio.
Purtroppo, come dice Zena, nessuno di noi è immortale, nemmeno le persone belle.
PS: Confermo anche quello che dice Primo sui maschi, mariti e figli: lo dice così bene che sono qui che rido ancora.

Habanera ha detto...

Ho sempre amato le famiglie numerose ma il destino ha voluto che fossi figlia unica.
Alla mancanza di sorelle e fratelli hanno però supplito ben diciotto tra cugini e cugine e le nostre riunioni familiari erano molto simili a quelle raccontate da Zena, salutazioni comprese.
Si trascorrevano insieme delle intere giornate (Pasqua, Natale, matrimoni, battesimi, compleanni) ma non se ne aveva mai abbastanza e la separazione era sempre difficile.
Al nomento di varcare l'uscio di casa, già con cappotti e sciarpe se si era d'inverno, venivano ancora fuori mille cose da dirsi e c'erano di nuovo racconti, ricordi, risate. Era bellissimo!
E poi, quel salutarsi ancora con il braccio fino all'ultima svolta utile... sì lo ricordo bene.
Il senso della famiglia (vero, non di facciata) si tramanda di generazione in generazione;
ce l'hai dentro, non te lo devi inventare.

Un abbraccio carissimo a Zena
H.

Solimano ha detto...

Alcune considerazioni sulle due immagini.
Si tratta di particolari di due quadri quasi contemporanei, quadri molto noti, ma non comunque quanto dovrebbero, perché si tratta di due capolavori assoluti dell'arte di ogni tempo.
Grandi critici ne hanno scritto, dicendo cose giuste e bellissime.
Però, se si leggono Longhi, Berenson e Zeri, ci si accorge di una loro strana e comune distrazione: parlano poco del senso vero dei quadri, del motivo per cui arrivarono le commissioni e di ciò che guardavano primariamente gli artisti, i committenti, i fedeli: l'espressione degli affetti.
Lo so che è un discorso pericoloso, perché il tardo romanticismo ha portato ad una sensiblerie di tipo sdolcinato e bieco. Ma Pontormo e Correggio sono esistiti molto prima del romanticismo (come Monteverdi e Bach...) e non è che gli affetti li abbia inventati il romanticismo: ci sono sempre stati. Tornando alla storia dell'arte, dobbiamo tutti essere grati a critici come Francesco Arcangeli e Eugenio Riccomini che sono riuscire ad reintrodurre la tematica degli affetti e della loro espressione al centro della fruizione artistica. D'altra parte, basta guardarle, queste opere, e non si finisce mai di scoprire la ricchezza di motivi sul versante dell'affettività: avete notato che il Bambino del Correggio tiene la manina sui capelli della Maddalena?

saludos
Solimano

Habanera ha detto...

Sulla scelta per le immagini di questo post ho avuto parecchi problemi.
Il post l'ho scelto perchè mi piaceva particolarmente e non volevo assolutamente rinunciarvi ma non riuscivo a rendere in immagine il senso delle parole di Zena.
Ci ho lavorato per giorni, facendo mille tentativi, ma non ne venivo fuori; più ci provavo e meno ero soddisfatta del risultato.
Che fare in questi casi?
Chiedere aiuto a Solimano.
E' una garanzia e una certezza e inoltre, per lui, è un gioco da ragazzi; riesce a risolvere in pochi minuti problemi che a me sembrano insormontabili.
No, la manina del bambino non l'avevo notata, mi ero focalizzata su quell'adorabile piedino in primo piano.

Grazie, Sol
H.

Giuliano ha detto...

Io invece (dando per scontata la meraviglia ogni volta che appare l'Annunciazione del Pontormo: la meraviglia anche per la millesima volta) mi ero focalizzato sul faccino di quel bambino.
Secondo me, gli è il trisnonno di Roberto Benigni...

Anonimo ha detto...

Adesso vi dico una cosa: io già mi emoziono quando Habanera sceglie una cosa mia. E comincio a chiedermi chissà perchè proprio quella, e su quale filo di pensiero, e per quale strana traversata di lettura...:)
Poi scatta la stessa emozione per la scelta delle immagini.
Stavolta la dolcezza infinita di trovare Pontormo.
Una delle prime supplenze della mia vita mi ha portato a sostituire un amico-poeta, più grande, più colto, più tutto di me, preside incaricato per quell'anno...
Si faceva la strada insieme anche ad un altro collega: la mia seconda università.
Io ero la piccola: ascoltavo e imparavo.
Un giorno il preside era in vena di correlativi s/oggettivi artistici: quella ragazza sembra uscita da un quadro di Picasso, quell'altra dalle tele della Lempicka...
"E io?" chiedo.
Pontormo mi dicono in coro i due compagni di viaggio.
U signur: ne sapevo così poco.
(tutto il pomeriggio fra i libri di casa a ritagliare con lo sguardo le donne del Pontormo :) Mi parevano vaporose e lontane. Fu quel pomeriggio che mi innamorai della Deposizione. Andata apposta a Firenze, nella Chiesa di Santa Felicita, per vederla)
buona notte.
zena
(un grazie speciale ad Habanera e a Solimano: anche esprimere i sentimenti degli altri, traducendoli in un altro linguaggio, è arte; riuscire a farlo con l'arte, poi, è viaggio nel bello)

Solimano ha detto...

Riguardo le immagini, aveva proprio ragione Annibale Carracci a dire "Noialtri depintori abbiamo a ragionare con le mani" Difatti il Pontormo finissimo della Visitazione di Empoli, ma anche dell'Annunciazione citata da Giuliano e della Deposizione in Santa Felicita che ha citato Zena, ha lasciato un diario di uno squallore unico, in cui riporta quante uova sode ha mangiato la sera prima e se c'era l'insalata o no.
Il Correggio era un attento massaio di se stesso: Donna Briseide Colla, la committente della Madonna di San Gerolamo ( che viene normalmente chiamata Il Giorno, La Notte mi pare sia a Dresda) pagò il Correggio anche con una carra di fascine ed un maiale. Però, dentro, nel cervello non verbale, il Pontormo e il Correggio erano fatti in un altro modo.

saludos
Solimano