sabato 5 aprile 2008

Perché non vado più a teatro (n.2)


Roland Barthes


Perché non vado più a teatro (n.2)

di Giuliano




Ho sempre amato molto il teatro, eppure non ci vado quasi più. E' un voltafaccia che insospettisce anche me. Cos'è accaduto? Quando è accaduto? Sono cambiato io o è cambiato il teatro? Non lo amo più o lo amo troppo? Quand'ero adolescente, a partire dai 14 anni, ho frequentato i teatri del Cartel. Andavo regolarmente ai Mathurins e all'Atelier a vedere gli spettacoli di Pitoeff e di Dullin (più raramente quelli di Jouvet e Baty); mi piaceva il repertorio di Pitoeff e adoravo Dullin come attore, perché non incarnava i suoi ruoli: era il ruolo che aggiungeva il respiro di Dullin, sempre se stesso qualsiasi cosa recitasse (...) Questa illuminazione è stata un incendio: davanti ai miei occhi non è rimasta traccia del teatro francese; tra il Berliner Ensemble e gli altri teatri ho percepito una differenza non di grado ma di natura e , quasi, di storia. Da ciò deriva il carattere radicale che quest'esperienza ha avuto per me. Brecht mi ha fatto passare la voglia di ogni teatro imperfetto; e proprio a partire da quel momento, credo, non sono più andato a teatro.

(Roland Barthes, da Repubblica del 22.11.2002)
(da un saggio su Brecht pubblicato in "Scritti sul teatro", editore Meltemi)


Tadeusz Kantor:
POSTAĆ I PARASOL, 1950

E poi c'è la questione dei prezzi. Quanto costa, andare a teatro? Dai 20 euro in su, magari anche 50. No grazie, così non va - e non m'interessano più di tanto i discorsi degli addetti ai lavori. Ne prendo atto, e ne convengo; magari con un rispettoso inchino, come le maschere del Teatro dell'Arte. Ma ormai il teatro è uscito dai teatri, e si fa per strada, in mezzo alla gente, magari al bar davanti ad un cappuccino, e gratis: per il piacere di far ridere una ragazza o un amico, o magari per far sorridere un passante o una commessa, e sempre senza farsi troppo notare, scegliendo il tempo come sapevano fare solo i grandi attori; o magari in discoteca, la sera, esagerando nel ballare e nel vestirsi, e per il solo piacere di farsi notare.


Così funziona: non funziona più, neppure con Shakespeare, se a recitare è una compagnia di giovani figli di papà, come succede sempre più spesso. Infatti, come dicono gli addetti ai lavori, i biglietti costano molto perché mantenere una compagnia di teatro è molto costoso: e allora chi te lo fa fare? Bisogna trovare uno sponsor, e chi c'è di meglio del politico o dell'industriale col figlio o la figlia desiderosa di realizzarsi facendo l'attrice o l'attore?
Per quanto mi riguarda, e tornando a quello che diceva Barthes, il mio punto di non ritorno è stato Tadeusz Kantor. Un evento irripetibile, e non raccontabile. Straordinario e straziante, la cosa più bella e più terribile che mi sia capitato di vedere a teatro, e soprattutto non raccontabile. Come si fa ad andare ancora a teatro dopo aver visto Kantor?
Es ist vollbracht, tutto è compiuto...
(continua)

5 dicembre 2004


Kantor imita Velasquez


3 commenti:

Habanera ha detto...

Non sapevo che Tadeusz Kantor fosse anche pittore e scultore oltre che drammaturgo, scenografo e regista teatrale. L'ho scoperto cercando le immagini da affiancare a questo post ed ho trovato delle opere molto singolari. Ne avevo inserita solo una, ora ho aggiunto anche una sua scultura, ma ci sarebbe quasi da farci un post a parte se le immagini che si trovano in rete fossero più grandi e di qualità migliore. Purtroppo non è così e ho dovuto accontentarmi di quel che passa il convento.

Ciao, Giuliano, e grazie.
H.

Solimano ha detto...

Dovrò trovare una scusa buona per portare la scultura di Kantor in Abbracci e pop corn, perché, sullo sfondo bianco del blog, una immagine già di suo a fondo bianco viene benissimo, a parte che l'immagine è assai bella.
Non credo che il teatro sia finito, ma che sia un malato grave sì. La colpa è anche di certi allestimenti faraonici, di tutto e di più. I prezzi dei biglietti sono elevati, e nessuno andrebbe più ad ascoltare uno spartano allestimento di Shakespeare. Non apprezzo un certo tipo di gigantismo neppure nell'opera lirica, che sta in piedi solo perché i soldi arrivano (secondo me tanti, troppi). Così non c'è più un sano rapporto costi/benefici perché gli sprechi di ogni genere sono la regola. Il perfettismo è nemico del teatro, a meno che non si voglia farlo solo per pochi privilegiati. A quel punto, fatalmente, tutto si affloscia, compresi i valori d'arte. Meglio la strada o il caffé!

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Se non ricordo male, Kantor cominciò a fare teatro come scenografo. Ma su di lui c'è rimasto poco, in rete: esistono dei documentari ma "i Possessori Dei Diritti" se li tengono stretti e vietano di vederli a chicchessia.
Però va detto che il teatro è per sua natura fragile, vive solo nella memoria. Anche le riprese filmate degli spettacoli sono solo un vago fantasma, come quelli dell'Invenzione di Morel - e come la nostra vita, a dirla tutta