mercoledì 9 aprile 2008

Parigi non finisce mai


La pointe de la Cité


Parigi non finisce mai - Enrique Vila-Matas

di Gabriella Alù


Cominciamo dal titolo, che è una citazione da "Festa mobile" di Hemingway: "Parigi non finisce mai e i ricordi di chi ci ha vissuto differiscono tutti gli uni dagli altri [...]. Parigi ne valeva sempre la pena e qualunque dono tu le portassi ricevevi sempre qualcosa in cambio. Ma questa era la Parigi dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici"

L'ultimo libro di Enrique Vila-Matas, autore di una vasta opera narrativa, vuole essere infatti "una revisione ironica dei due anni trascorsi in quella città quando ero giovane e durante i quali, a differenza di Hemingway, che lì era stato "molto povero e molto felice", ero stato molto povero e molto infelice"


Le Pont des Arts

La Parigi che emerge da queste pagine è insieme concreta e mitica, paesaggio dell'anima e luogo di apprendistato letterario. E' popolata da decine di altri autori del presente e del passato tra cui Perec, Barthes, Borges, Malraux, Joyce, Gertrude Stein, Scott Fitzgerald e naturalmente da lui, il leggendario Hemingway, idolatrato da Vila-Matas al punto da volergli somigliare anche fisicamente e da Marguerite Duras, sua padrona di casa e bizzarra consigliera di scrittura.

In un racconto a tratti esilarante, denso di rimandi metaletterari, giochi di specchi e continui balzi temporali, Vila-Matas ripercorre le tappe della progettazione e della stesura del suo primo romanzo "L'assassina letterata". Rievoca i giorni in cui si chiedeva se fosse meglio, per un aspirante scrittore spagnolo, autoesiliatosi dalla Spagna franchista e in cerca di immagine e di identità nel mondo intellettuale parigino porsi come situazionista o patafisico o esistenzialista o oulipiano. Ci rende partecipi dei suoi dubbi sul come si fa a diventare scrittori, sull'esistenza o meno di regole, sull'individuazione di un metodo creativo.

Vue sur la Madeleine

Perchè "Parigi non finisce mai" è (anche) un libro sulla scrittura, sulle difficoltà e le angosce di chi è certo del proprio desiderio ma non delle proprie capacità e perciò si porta sempre appresso il foglietto-feticcio in cui Marguerite Duras, forse per levarselo di torno con tutte quelle domande sulla scrittura, gli ha frettolosamente scarabocchiato alcune regole per diventare "un bravo scrittore". Ancora ignorava, il giovane Vila-Matas, (lo apprenderà tanti anni dopo dalla stessa Duras) che "dubitare è scrivere" e che "come diceva già Hemingway [...] le cose più importanti non si raccontano mai"

Forse per questo l'ironia è la nota dominante e il leit motivdi tutto il libro perchè l'ironia è "la più alta forma di sincerità" ma anche "un modo per assentarsi" ed è proprio l'ironia "che ci consente di eludere le delusioni per il semplice motivo che si rifiuta di farsi illusioni".


La Gare d'Orléans au quai d'Orsay

Come recita il risvolto di copertina, la scrittura di Vila-Matas è allo stesso tempo "intimista e sperimentale, elegante e sfrontata." Dietro l'apparente leggerezza di pagine di piacevolissima e scorrevole lettura si coglie una sorta di malinconica rassegnazione al proprio destino di scrittore.

"Lei scriva, non faccia nient'altro, nella vita" era il consiglio ("il criminale consiglio") che Raymond Quenau aveva dato anni prima a Marguerite Duras e che lei a sua volta trasmette al suo inquilino-apprendista scrittore.

Così facendo, scrive Vila-Matas, Marguerite Duras "condannò anche me alla stessa sorte [...]. Credo di poter dire di essere andato a Parigi solo per imparare a scrivere a macchina e ricevere il consiglio criminale di Quenau."


(26/06/2006)

La gare St-Lazare

Da NonSoloProust

7 commenti:

gabrilu ha detto...

Uellah, ma che belline le immaginette! Grazie, Habanera :-)

Solimano ha detto...

Non so se il consiglio della Duras fosse allora giusto o sbagliato, secondo me oggi sarebbe assolutamente sbagliato. Credo che Gozzano, col suo "Io mi vergogno di essere un poeta" ironizzasse solo fino a un certo punto. Questo concetto dell'artista totale, che non deve fare altro che scrivere, si presta a due tipi di critiche.
La prima, ovvia, che nel 99% dei casi uno non campa a meno che non viva di rendita (come succedeva a molti illustri scrittori come Baudelaire e Proust e Verga) o che faccia attività in qualche modo contigue (giornalista, critico, professore etc). Ed è qui il paradosso mefitico, che è la seconda critica: perché, ad essere così, le cose che si scrivono non sanno di vita ma di meta-vita. Nell'avanguardista più sciolto fa sempre capolino il professorino gné-gné. E se facessero un buon lavoro manuale: l'idraulico o il tapparellista, non sarebbe meglio? Guadagnerebbero di più e avrebbero più tempo per guardarsi attorno e pensare (le mani, intelligentemente, vanno avanti da sole). Non sto scherzando, per lo meno al 99%.
Sulla vita a Parigi in quegli anni pagine meravigliose ci sono nella prima parte de "La versione di Barney" di Richler.

grazie, Habanera e Gabrilu e saludos
Solimano

gabrilu ha detto...

Solimano sulla vita a Parigi della prima metà del Novecento, di pagine molto belle ce ne sono tantissime. Quelle di Klaus Mann e la colonia dei fuoriusciti tedeschi che scappavano dalla Germania di Hitler, per esempio. O quelle di Nina Berberova sulla colonia dei russi fuggiti dalla rivoluzione d'ottobre, le pagine dell'autobiografia di Sandor Marai esule dll'Ungheria, il bellissimo libro (su cui ho scritto anche un post sul mio blog) del francese Dan Franck "Montmartre e Montparnasse, La favolosa Parigi di inizio secolo". L'elenco bibliografico sarebbe molto lungo.
Proprio vero: Parigi non finisce mai.

Habanera ha detto...

Gabrilu, la parola "immaginette" mi fa fatto venire in mente i Santini e, considerando il mio amore per Parigi, simbolicamente la cosa ci può anche stare.
Ero partita alla ricerca di immagini più fedeli al periodo ed ai personaggi citati ma in rete non ho trovato nulla di soddisfacente. Così ho deciso di concentrarmi su Parigi, utilizzando queste vecchie stampe che in effetti non sono niente male.

Ciao e grazie,
H.

Solimano ha detto...

Altro che "immaginette" o "santini", queste sono proprio belle, al di là che io prediliga le fotografie seppia dette anche "albumen print", credo per le modalità esecutive.
Vorrei partire subito per Parigi in buona compagnia, ma non si può.

saludos
Solimano

Habanera ha detto...

Solimano, se le avessi viste come erano in origine, queste vecchie foto di Parigi, non credo che ti sarebbero piaciute. Il color seppia, che le ha così ravvivate e ingentilite, è merito del mio programma fotografico. Erano veramente bruttine, tetre, grigiastre, malandate; ma Parigi è sempre Parigi, non ci vuole molto per riportarla di nuovo al suo splendore.

Saludos y besos
H.

gabrilu ha detto...

Non avevo adoperato la parola "immaginette" a caso, ma proprio pensando ai "santini", cara Habanera, ed in senso affettuoso e compiaciuto. Ci sono alcuni luoghi (e foto) di Parigi che ormai sono vere e proprie icone. Queste sono bellissime, il tuo lifting poi ha fatto... miracoli ^__*
Solimano a Parigi ci sono stata l'ultima volta in ottobre e sono già in crisi di astinenza. Credo proprio che uno di questi giorni acchiappo un aereo e via.
Tra l'altro, per ora ci sono anche due bellissime mostre temporanee: una al Petit Palais di incisioni di Goya e una mega-mostra al Grand Palais su Marie Antoinette (e già m'immagino le meraviglie).
Bisous a tout le monde ;-)