giovedì 6 marzo 2008

L'Orto Botanico di Bologna


Giardino anteriore (ingresso)


L'Orto Botanico di Bologna

di Nicola Arcozzi



Ci sono tanti luoghi dove iniziare o finire una visita di Bologna, ma pochi in cui fermarsi a tirare il fiato, sedersi e rimettere mentalmente ordine alle cose già viste e a quelle ancora da vedere. Uno di questi rari luoghi, interessante in sé, è l'Orto Botanico, situato lungo un tratto ancora integro delle mura appena a Ovest di Porta San Donato. L'orto botanico bolognese, uno dei primi d'Europa, sta all'incrocio di diverse storie. Sta al confine tra il mondo protoscientifico, ma pieno di curiosità e apertura del rinascimento, e la rivoluzione scientifica barocca. Sta nel punto medio accademico tra Padova e Pisa, che precedettero Bologna nel dotarsi di orti botanici. Si situa tra botanica e farmacologia, all'incrocio tra la farmacopea colta e accademica e l'uso medico delle erbe nelle famiglie contadine.

Specialità medicinali e aromatiche


Il pezzo di città chiuso tra Porta San Donato, Porta Mascarella e la moderna Via Irnerio fu sino a tempi abbastanza recenti parte del terreno tenuto a campagna entro le mura cittadine, la "cercla" del XIII secolo.
Le uniche sopravvivenze degli "orti bolognesi" sono costituite, appunto, dall'Orto Botanico e dall'adiacente prato che circonda la bella palazzina della Viola, costruita nel 1497 per il riposo e le delizie di Annibale Bentivoglio, ultimo e tenace esponente della breve signoria bolognese, e ora utilizzato dall'università.
La palazzina della Viola, pianta quadrata e tetto poco spiovente a quattro acque, ha un aspetto decisamente emiliano, ma, rispetto alla gran parte degli edifici bolognesi, contiene elementi di leggerezza toscana abbastanza peculiari qui a Bologna, dove l'architettura ha quasi sempre un che di "grosso". Le colonne del portico sono sottili e gli archi, tranne i due ai lati dell'edificio, sono perfetti semicerchi.

La palazzina della Viola


A Bologna, in genere, i portici sono retti da pesanti colonne in mattone, dall'aspetto poco proporzionato, e le uniche eccezioni che mi vengono in mente sono l'elegante portico di S. Giacomo Maggiore (altro luogo importante della Bologna bentivolesca) e, soprattutto, quello di S. Maria dei Servi. Al primo piano della palazzina, ora chiuso da vetrate, c'è un altro portico, simile in spirito a quello che, in contesto architettonico più bolognese, ma raffinatissimo, si trova nel cortile del Palazzo Bentivoglio in Via Belle Arti. (Non si tratta del palazzo del ramo governante della famiglia, che fu demolito nel 1507, un anno dopo la conquista di Bologna da parte di Giulio II, papa e comandante militare, le cui macerie formano una collinetta, oggi adibita a parco, in una traversa di Via Belle Arti significativamente chiamata Via del Guasto).

Giardino posteriore


La prima idea di realizzare un orto botanico per l'ateneo bolognese fu di Luca Ghini, imolese di nascita e professore di "Lectura simplicium" (i "semplici" erano le piante medicinali, opposte alle preparazioni complesse in cui più elementi attivi venivano trattati e miscelati), ma l'università tirò per le lunghe, così Ghini si trasferì a Pisa dove, nel 1544, fondò il primo orto botanico universitario d'Europa. Allo stesso tempo si mosse Padova, mentre la Bologna papale, più sonnacchiosa delle università dei Medici e della Serenissima, attese ancora vent'anni prima di affidare a Ulisse Aldrovandi la realizzazione di un Orto dei Semplici. Aldrovandi era un naturalista dagli interessi onnivori e un collezionista di tutto ciò che avesse a che fare con la natura. La sua collezione più importante era un erbario con migliaia di piante essiccate secondo procedure d'avanguardia, che furono a lungo motivo di pellegrinaggio a Bologna per i naturalisti di tutta Europa. Nel 1568 poté realizzare il suo orto dei semplici, suo malgrado nella sede angusta di un cortile del Palazzo Pubblico di Piazza Maggiore. L'orto aveva scopi di insegnamento e ricerca, e doveva insegnare ai medici a riconoscere le piante medicinali "autentiche", poiché all'epoca molti fornitori approfittavano dell'ignoranza dei dottori per vender loro erbacce comuni invece di "semplici".

Serra delle succulente


Ulisse Aldrovandi, di cui ricorrono quest'anno i quattro secoli dalla morte, fu uno dei più tipici esempi di scienziati rinascimentali, si interessò a tutto e pubblicò infiniti libri e saggi. Il suo spirito avventuroso (scappò di casa per la prima volta a dodici anni e andò a Roma) e il suo rinascimentale stupefacimento di fronte alle possibilità della libera ricerca lo portarono, come tanti altri filosofi del Cinquecento, a occuparsi della natura con rigore metodologico, alle volte, (l'orto botanico, l'erbario, le collezioni naturalistiche) e con apparente candore, delle altre (le sue ricerche sui "mostri", pubblicate postume col titolo Monstrorum Historia). Per gli i filosofi naturali del Cinquecento l'indagine scientifica era un'attività "totale", rivolta a tutta la natura (Aldrovandi era logico, medico, naturalista, oltreché grande organizzatore e creatore d'istituzioni), non, com'è d'uso oggi, a un suo aspetto particolarissimo. Ciò si riflette nel collezionismo Aldrovandiano, che mette insieme fossili, piante, rocce e rappresentazioni d'animali, analogamente alla maniera di collezionare oggetti dalle forme, origini e funzioni più diverse tenuto da molti pittori europei del Cinquecento e del Seicento, e dalle persone di gusto e possibilità sino alla fine dell'Ottocento almeno.

Nella serra delle succulente


Gli interessi medico-farmaceutici di Aldrovandi furono quelli che lo spinsero a realizzare l'orto botanico, ma anche quelli che lo inguaiarono. Adrovandi aveva infatti codificato composizione e procedura per fabbricare il farmaco universale dell'epoca, la "teriaca". Questo lo mise in urto con gli speziali bolognesi, che avevano per la teriaca diverse ricette. Alla fine di alterne vicende, gli speziali ottennero nel 1575 la sospensione del naturalista dalla professione di medico e dai suoi incarichi universitari, e vi fu reintegrato solo due anni dopo da Gregorio XIII, suo parente e papa. Non so se la teriaca, nella versione aldrovandiana o in qualche altra, avesse dei benefici per la salute. Nel Cinquecento ci fu un'esplosione di pubblicazioni e teorie sulla salute e le erbe. Si scrissero persino dei trattati sulla perfetta composizione dell'insalata e, soprattutto, si teorizzò lungamente su come nutrire gli affamati che carestie, guerre e soprattutto la squilibrata distribuzione del reddito gettavano a torme sulle vie delle città e nelle campagne: semi di papavero, corteccia d'albero, gramigna, con un occhio invidioso persino alla cocaina che manteneva gli indios attivi e produttivi anche se sottonutriti. Tutto venne in mente ai professori bolognesi, tranne che dare ai poveri del pane di frumento.

Serra tropicale


Le cose botaniche, al contrario dei palazzi, cambiano con i mesi e gli anni. L'orto botanico di Bologna, in più, ha cambiato anche sede più volte nel corso della sua storia, al contrario del più anziano cugino padovano che ancora sta nella bella architettura simmetrica e quasi cosmogonica in cui lo vollero i fondatori. Quello di Bologna fu trasefrito, ancora all'epoca di Aldrovandi, in zona Santo Stefano, ma i "semplici" tornarono poi in Piazza Maggiore, all'Archiginnasio. Nel 1803 ebbe la sistemazione attuale, come parte del generale riassetto urbanistico e universitario a cui diede impulso l'amministrazione napoleonica di Bologna, raro momento di fervore entro i pigri secoli del dominio papalino.
Un interessante omaggio ad Aldrovandi nell'Orto Botanico è costuito dalla ricostruzione del suo "orto dei semplici", diviso in aiuole a seconda dell'utilizzo delle varie erbe. L'orto ha una parte più classica, pianeggiante, con interessanti serre e alberi provenienti da diverse parti del mondo. Nella stagione fredda la serra delle piante succulente offre un riparo caldo e, al tempo stesso, una collezione molto ampia di piante succulente: cactus americani e piante del deserto africano.
Non manca, come in ogni giardino botanico che si rispetti, una collezione di piante carnivore, anche se non mi sembra ricca come quella padovana. C'è poi un bello stagno con piante acquatiche dell'Emilia-Romagna (alcune in via di sparizione dopo le grandi bonifiche del Novecento) e una scarpata che si arrampica fino in cima alle mura con varia vegetazione appenninica, di bassa collina e di montagna.
Sorprendentemente, in questo angolo tra alcune delle più intasate strade bolognesi il rumore del traffico giunge attutito e passeggiare sulla scarpata è un po' come attraversare un microcosmo selvaggio, preromanticamente segnato dalla vista degli elementi delle mura medioevali, alla maniera in cui il "teatro della natura" di Aldrovandi voleva essere il microcosmo di tutto il creato.

Le immagini sono tratte dal bel sito dell' Orto Botanico di Bologna

Lo stagno artificiale

Anche su Arengario: I bei momenti

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Bello, bello, bello! Par de vess in Brianza! :o)

Solimano ha detto...

Nicola, mi ricordo bene come mi sono divertito quando ho inserito questo tuo brano nei Bei Momenti. Divertito anche a cercare di capire bene le varie immagini che trovai nel sito dell'Orto Botanico di Bologna, perché danno per scontato che gli ignoranti come me sappiano riconoscere le piante.
Ma tu, tiesci ancora ad andare lì a mangiare un panino fra una lezione e l'altra. Tanto è comodissimo, ci saranno trecento metri!

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Bei tempi, quando si facevano gli Orti Botanici...A giudicare da quel che succede qui in Lombardia (ma non solo) tra un po' arriverà una legge che proibirà i giardini e gli orti con le verze, o magari gli basterà una tassa consistente.
Una triste considerazione per un articolo magnifico, caro Professore.

Roby ha detto...

Ma guarda!!! Ho vissuto 10 anni a Bologna, da bambina, e nessuno mi ha mai portato a visitare l'Orto Botanico!!!!! Che rabbia! Ci tornerò apposta solo per visitarlo...

...at'salut!!!!

Roby

mazapegul ha detto...

Ebbene sì, Solimano ha scoperto il mio segreto: abbastanza spesso vado all'orto bitanico a mangiare il mio panino Conad con la mortadella e mi faccio una passeggiata nel solitamente poco frequentato prato.
Nel tempo, partendo praticamente da zero, ho anche imparato il nome di qualche pianta. Gli arbusti, soprattutto: gli alberi mi sembrano ancora tutti uguali.

Giuliano: se fossi un Professore con la maiuscola non mi sarei lasciato sfuggire un "potette": passato remoto di "ignorare le coniugazioni".

Roby, quando passi fai un fischio: prendo la mortadella anche per te.

Solimano ha detto...

Allora è meglio correggere il potette e mettere possù, come è giusto.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Dear Friends, tra potette e possù potremmo aprire un bel corso di psicoanalisi. (ma tra parentesi, che con l'Orto Botanico non c'entra).
Per parte mia, aggiungo: Pobbe. (ma non nel senso della cantante)

Roby ha detto...

Noi a Firenze si direbbe POTIEDE (sul modello di ANDIEDE). E già che ci sono vi regalo un participio passato toscano DOC: VORSUTO (da VOLERE)... Bello, no????

Roby

PS: Maz, ok per la mortadella, ma senza pistacchio e tagliata moooolto fine!!!!

Habanera ha detto...

Roby, mi hai fatto ricordare il Funari di Corrado Guzzanti: " a me la mortadella me piace tagliata fina fina fina..."

Ricordi che spasso?
Grande, grandissimo Corrado!
H.

Habanera ha detto...

Solimano, avrai certamente notato che le immagini di questo post sono in parte diverse da quelle che avevi inserito nel lontano marzo 2005 su Arengario. Questo perchè nel frattempo il sito dell'Orto Botanico si è rinnovato ed io, nella mia sconfinata pignoleria, mi sono adeguata: ho aggiornato il link e le immagini. Ho anche avuto l'ardire di aggiungere la Palazzina della Viola che non fa parte delle immagini reperibili nel sito ma che, a mio parere, ci sta proprio a fagiolo.

Besos
H.

mazapegul ha detto...

Grazie Haba, per il tuo opportunissimo ardimento. Màz