lunedì 24 marzo 2008

IO MENTO


Labirinto del "Forse che sì forse che no" Secolo XVI
Palazzo Ducale, Mantova



IO MENTO

di Nicola
(Mazapegul)





Alcune frasi del linguaggio umano hanno la proprietà di essere vere o false. Tra queste, per esempio, rientra: (1) “Napoleone tentò invano di conquistare l’Alaska” (falsa). Oppure: (2) “questa frase contiene trentasette lettere”[La frase è vera. Esercizio: provate a fare una frase vera che dichiara il proprio numero di lettere, ma che non ne contenga trentasette.] Altre frasi non sono né vere, né false, per tutta una serie di motivi: (3) “Le stelle dell’Orsa non sono poi così vaghe” (troppo vago il concetto espresso), (4) “Vammi a mettere su un caffè” (gli ordini non hanno valore di verità). Altre frasi sono vere per motivi strani: (5) “la seduta del consiglio comunale è aperta” è vera perché la seduta si apre, per l’appunto, nel momento in cui tale frase viene pronunciata e messa a verbale.

Escludendo le frasi capaci di alterare la realtà, come (5), abbiamo che comunque le frasi che possono essere vere o false possono essere assai diverse tra loro. La frase (1) ha a che fare con un’affermazione il cui contenuto può essere verificato indipendentemente dalla frase in sé; la frase (2) esprime una proprietà della frase stessa. Sono queste ultime le frasi che più spesso producono paradossi e vorrei qui intrattenere il lettore curioso con una piccola serie di esempi, più e meno classici.
Per paradosso intendo: una frase che in apparenza è vera O falsa, ma che, a un’ indagine più accurata, attribuire ad essa un valore di verità porta a una contraddizione.

(6) “Questa frase è falsa.”
Ora, se (6) è vera, è falsa. Se è falsa, tertium non datur, dev’ essere vera. Insomma, è vera E falsa allo stesso tempo (vera in quanto falsa, falsa in quanto vera!). Su questo esempio si scervellarono già i greci.

(7) Lamenta un filosofo di Creta: “Tutti i cretesi mentono, sempre.”
Questa si trova in una lettera di S. Paolo. Purtroppo, se il filosofo dice la verità, allora sta mentendo. Se sta mentendo, allora qualche cretese, qualche volta (ma non lui questa volta) dice la verità.
Qui non c’è un paradosso vero e proprio, in apparenza: c’è sempre la possibilità che una situazione reale permetta alla frase di non produrre contraddizioni. Il problema è che pare difficile dedurre una qualche verità dal fatto che, se la negassimo, allora una frase sarebbe paradossale. Per esempio, voi passereste su un ponte di corde al cui ingresso sta un cartello come quello che segue?

(8) “Queste due frasi sono false.
Il ponte di corde è sicuro.”
Ora, se la prima frase è vera, allora è falsa. Quindi, una delle due è vera; ma non si tratta della prima. Insomma, il ponte è davvero sicuro. Eppure, l’istinto ci dice che non si rende un ponte sicuro semplicemente affermando che, se non lo fosse, avremmo una contraddizione logica, soprattutto se vediamo delle corde marce a reggere le assi.

La frase (6) e le varianti che seguno potrebbero forse essere indice del fatto che la nostra logica è troppo restrittiva? La soluzione sta in una logica più “vaga”: vero, falso, né vero né falso? (Dopotutto, abbiamo usato diverse volte la proprietà che una frase dev’essere vera o falsa, senza terze possibilità).

(9) “Questa frase non è vera.”
Se (9) è vera, allora non è vera. Se è falsa, allora non è vera, quindi è vera. Se non è vera, né falsa, allora è vera, allora non è vera. In ogni caso, abbiamo raggiunto una contraddizione.

La conclusione è che, se vogliamo far rientrare queste frasi in quelle accettabili dalla ragione, non basta rinunciare al principio del terzo escluso (una frase è vera o falsa, nessuna terza possibilità), ma dovremmo rinunciare al principio di non contraddizione (una frase non può essere contemporaneamente vera e falsa): un sacrificio assai gravoso per il pensiero occidentale.

Per finire un indovinello.
Nel caffè “Non Contraddizione” diverse persone, tutti perenni mentitori o perenni veritieri, stanno urlando, ciascuna a ogni altra, “Tu menti!”
Quante persone ci sono nel caffè?


P.S. L'immagine sulla destra del testo è tratta da Le livre de portraiture di Villard de Honnecourt, fra il 1225 ed il 1250, conservato presso la Biblothèque Nationale de France, Parigi.

Labirinto con siepi di bosso
Giardino di Palazzo Giusti, Verona

10 commenti:

Solimano ha detto...

Ho due osservazioni.
La prima riguarda la stessa costruzione delle frasi. Sono serpenti che si mordono la coda, ma sono serpenti-frasi che mordono code-frasi, mentre i serpenti reali, seguiti dalle loro lunghe code reali, strisciano tranquilli in cerca di rane reali. In fondo, che cosa era la prova ontologica della esistenza di Dio se non una traslazione indebita da pensiero a realtà? Eppure intrigò teologi e filosofi per secoli, anche se Tommaso d'Aquino non ci credeva.
Seconda osservazione.
Il pericolo per la sanità, almeno mentale, è nelle ingiunzioni paradossali: "Sii spontaneo", "Devi amarmi", "Non essere timido" che prescrivono ciò che non è prescrivibile e che sono un mezzo astuto ed antico di controllo sociale, perché ingenerano complessi di colpa e soggezione a chi le subisce senza accorgersene.
Esempi mirabili sono il "Non desiderare la donna d'altri" e il "Non desiderare la roba d'altri", come se il desiderio fosse una decisione. Il desiderio o c'è o non c'è, puoi vietare l'azione, dire ad esempio: "Tu non tocchi la mia roba" o "Tu non mi porti via la mia donna" (su quel "mia" ci sarebbe comunque da discutere). Però, colpevolizzando il desiderio, che è privo di libero arbitrio, o c'è o non c'è, rendevano meno praticabili e più colpevoli le azioni, quelle che realmente temevano.
Ma ci sarebbe un'altra categoria, quella della paradossalità profetica: "Oggi ti vedo triste", e quel poveraccio, che se ne stava tranquillo per i fatti suoi, diventa veramente triste, invece di rispondere: "Ci vedi male, comprati gli occhiali".
Il meglio era Sturmtruppen di Bonvi, con i soldati schierati e il segente gridava: "Attenti!" e poi "Felici!"

grazie e saludos
Solimano

Roby ha detto...

Questo post è una specie di wunderkammer verbale, tanto per riprendere un tema a cui mi sono ormai appassionata. Finito di leggerlo, ancora stordita, mi chiedo dubbiosa: se affermo "MAZ, SEI LA FINE DEL MONDO!!!!" dico la verità, mento, oppure... tutt'e due insieme???

Roby

mazapegul ha detto...

Cari Roby e Solimano, la mia intenzione prima era di parlare del Teorema di Goedel sull'incompletezza dell'aritmetica, una pietra miliare del pensiero umano (una sorta di barriera anti-euclide, in qualche senso), conosciuto però attraverso metafore troppo imprecise per essere di qualche utilità. Il teorema di Goedel, però, non è condensabile in poche righe senza imbrogliare (c'è un libro appena uscito che lo illustra con pienezza di dettagli, premesse, spiegazioni: Tutti pazzi per Goedel, di Francesco Berto -filosofo). Sono partito così dagli antichi "serpenti" di cui parla giustamente Solimano (bella anche la citazione della prova ontologica: avrei dovuto aggiungere un paio di variazioni su quel tema). Il teorema di Goedel seguirà in un altro post.
Cara Roby, la logica e i suoi paradossi sono in effetti una Wunderkammer del pensiero, un labirinto (a chi devo la bellissima scelta delle immagini?), un castello di specchi... (Anche un repertorio di imbrogli per gli imbroglioni di professione, nonchè un utile manuale per chi dagli imbroglioni si voglia difendere; anche in campagna elettorale).

Abbracci&peanuts,
Màz

Habanera ha detto...

Esimio professor Nicola (alias folletto Maz), innanzi tutto benvenuto tra noi. Non è il tuo primo pezzo pubblicato qui ma è il primo in qualità di collaboratore quindi merita un saluto particolare.
Sul teorema di Goedel non mi pronuncio perchè (lo dico solo a te in un orecchio) non lo conosco neppure vagamente.
Dal momento che il suddetto teorema è considerato una pietra miliare del pensiero umano la cosa un po' mi preoccupa: cosa c'è che non va in me? Manco di pensiero o di umanità?

Le immagini del post sono opera di Solimano il Magnifico ed Immaginifico. Io mi sono limitata ad inserire il tuo post in bacheca ma già dalla prossima volta potrai farlo direttamente tu.

Ciao e grazie
H.

mazapegul ha detto...

Sì, cara Haba, forse mi sono lasciato trascinare l'enfasi dall'entusiasmo.

Solimano ha detto...

Giusta l'osservazione di Habanera, giusta la risposta del Maz.
E mo' una zaffata di cultura sulle immagini.
Quella sopra al post è il labirinto nel soffitto della stanza appunto "del labirinto" del Palazzo Ducale di Mantova. C'è scritta molte volte una frase in piccolo, "forse che sì forse che no", tratta da una canzone chiamata frottola (gran bel nome!) dell'inizio del Cinquecento: è un sì/no di tipo amoroso. La frase attorno al labirinto parla dei Gonzaga; per vedere i "forse che sì forse che no" occorrerebbe una immagine più grande che non ho.
Ci si ispirò D'Annunzio per il titolo e la trama del suo ultimo romanzo, appunto "Forse che sì forse che no".
La seconda immagine, quella a fianco, è una pagina dello sbalorditivo taccuino di Villard de Honnecourt, architetto (ma la parola giusta è capomastro) della metà del Duecento. Esistono dei siti con tutte le pagine, prima o poi ci scriverò un post. Qui c'è riprodotto il labirinto molto grnde sul pavimento della cattedrale di Chartres. Notate il gatto in basso a sinistra, che si conforma a cerchio e con la coda inizia a generare un altro cerchio tangente al primo.
L'immagine in fondo è di un labirinto vegetale nato nel Cinquecento, che un tempo era con siepi più alte degli uomini, adesso è un gioco simpatico. Però la pianta è quella antica.
Il Palazzo Giusti ed il Giardino sono a duecento metri dalla Chiesa di Santa Maria in Organo dove ci sono le tarsie di Giovanni da Verona, un capolavoro assoluto (e non di arte minore). Il tutto sta nel quartiere di Verona detto Veronetta che sta di là dall'Adige: vale un viaggio apposta a Verona, prima o poi fatelo.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Caro Nicola, preparati che sto per mettere il Kaspar Hauser sul nostro sito. Saranno due puntate, più una per la musica, più una quarta tutta per te (le foto ce le metto io).

Solimano ha detto...

Spero che Maz ci illumini su Godel di cui credo di aver capito qualcosa leggendo Godel, Escher, Bach ed anche un simpatico libretto divulgativo di Roberto Vacca.
A parte l'importanza matematica, quello che colpisce è l'applicabilità del risultato di Godel al di fuori della matematicam e faccio una osservazione strana probabilmente non condivisibile: la formica può capire il formicaio? La risposta è no.
E l'uomo, può capire l'umanaio? La risposta probabilmente è sì, lo può capire, ma in modo coerente se l'umanaio è incompleto, ma se l'umanaio fosse completo la comprensione diverrebbe incoerente. Attendo lumi da Maz anche su questa picciola osservazione.

saludos
Solimano

mazapegul ha detto...

Vorrei tornare sul teorema di Goedel, dopo aver fatto un detour attraverso alcune sottili distinzioni con cui la nostra mente ha spesso a che fare (e il Papa anche): per esempio, ciò che è vero, è anche dimostrabile? (In GEB c'è anche una figura, mi par di ricordare, che illustra questo concetto).

Anonimo ha detto...

"tre parole" sono due parole