venerdì 28 marzo 2008

Giardino di novembre


Henri Fantin-Latour: Fiori d'autunno


Giardino di novembre
(Confessioni di un poeta finto - 2)

di Solimano



Un giorno di maggio, dopo un giustificato NO! nei denti, toccai il minimo, sentite un po’ che roba:

Giardino di novembre
Sotto la pioggia
E’ il mio cuore
Che ride
Calpestato.

Il sole non brilla
Ma brillano dolci
Le lacrime
Sui fiori
Avvizziti.

“Era il maggio odoroso: e tu solevi / così menare il giorno”, disse eternamente Giacomo. Io, il mio maggio, me lo figuravo un novembre cimiteriale, e ne ero pure fiero, me meschino, fra gli effluvi di rose e tigli, a cui non badavo, malgrado il mio naso li sentisse, detti effluvi. A volte, nel peggio, esciva qualcosa di meglio:

Desidera ancora cantare
La luce del sole
La sera.

Cantare melodiosamente
La morte sottile
Dei colori,
Il silenzioso brivido
Del vento
Occidentale,
La gioia solitaria
Della prima stella.

Meglio, nel senso che la morte sottile dei colori non è male, difatti apprezzai subito Monet, quando venne il tempo suo, però cheddé ‘sto vento occidentale? Libeccio o Scirocco? Garbino o Tramontana o Grecale? E chi lo sa, la rosa dei venti io non sapea che fosse, occidentale mi sonava meglio che orientale, e ce lo misi. E la prima stella, stella non era - ignorante pure in astronomia - ma pianeta, non so se Venere o Marte. Il mio primo periodo, quello che ho definitivamente nomato “Dolcezza cogliona” , si chiuse con quattro versi, non di più. Eccoli:

Scendevo solitario per le strade
All’ombra dei palazzi inanimati
Un cuore solo sulla terra, il mio
Scandiva in petto l’ultimo dolore.

A me tuttora l’endecasillabo esce pure al telefono. Tutta colpa di Ugo Foscolo (1778-1827), poeta di cui vi risparmio le traversìe, ed è un peccato, perché era un bel formicolone, altro che dolcezza cogliona. Il suo Carme dei Sepolcri, letto a voce altissima diverse decine di volte, mi infettò in saecula saeculorum. I medici assicurano che non è grave, si può vivere a lungo, ma è imbarazzante rispondere con un endecasillabo alla farmacista che chiede cosa vuoi. Finisce che ti dà un rimario, invece dell’Imidazil o del Fluimucil. Vedete come sono irrecuperabile? Persino i nomi dei farmaci mi sono esciti pronti per essere inseriti in endecasillabi, potevo dire Xanax o Rinogut, invece no. Nei quattro soprastanti versi si esprime una disperazione tanto universale quanto del tutto ingiustificata. Va detto che in quei giorni mi dolevano i piedi per due calli mignoleschi dovuti al fatto che portavo il numero 44 di scarpe. Un giorno decisi che il numero 45 era meglio, anche se mi ballava un po’ il piede, e i calli pian piano si estinsero. Con essi anche la disperazione. Mbah!

Henri Fantin-Latour: Fiori d'estate

7 commenti:

Habanera ha detto...

Il Poeta è ancora un po' acerbo, oltre ad essere affetto da dolcezza cogliona. Ma non sarei così severa nel giudicarlo, come invece fa con se stesso.
L'inizio a me sembra promettente, aspettiamo il seguito...
H.

Solimano ha detto...

Habanera, so che questa serie rischia di essere fraintesa. Da una parte, i post possono sembrare affetti da un ingiustificato narcisismo, visto che si tratta inizialmente di scritti adolescenziali. Ma la definizione di dolcezza cogliona è non solo ironica, ma serissima, e su quella base, ci si può accorgere di come l'andare a capo spesso (alias poesia) sia un alibi piuttosto comodo, che io ho praticato, difatti mi dichiaro poeta finto, ma non credo proprio di essere il solo eh... eh...
Mi affido comunque alla clemenza della corte, i cui componenti hanno sicuramente attraversato una fase di dolce coglioneria, spero proprio ne siano usciti, perché la coglioneria può essere anche cronica.

saludos y besos
Solimano

Giuliano ha detto...

Gli endecasillabi sono pericolosi, quando cominci a farci caso ormai è tardi... A me vengono spesso versi da dodici o da tredici, non so se sia un francesismo, chissà.
La tua d.c. è stata una bella invenzione, molto meglio di quella con lo scudo.
saludos y besos (no, i besos no: i besos sono tutti per Habanera)

Roby ha detto...

A me, francamente, quei quattro endecasillabi lapidari sono piaciuti, checchè ne pensi l'ordine dei farmacisti....
La soluzione del numero di scarpa in più l'ho adottata anch'io, da tempo, ed in effetti i miei calli e il mio umore ne hanno tratto sommo giovamento.
Son qui che aspetto con ansia altri esempi di "dolcezza cogliona".

Besos a tutti-tutti

Roby

Solimano ha detto...

Roby, a questa mia serie di post sono personalmente affezionato, perché sono al tempo stesso serissimi e scherzosi, credo anche molto autoironici (e non di autoironia falsa, che è molto diffusa). Bisogna avere un forte diffidenza verso i poeti e la poesia in generale. Non sto a dirne i motivi, ma è l'unico modo di accorgersi dei valori veri, trascurando certi sberluccicamenti di ogni tipo che si mascherano da valori.
Quei quattro endecasillabi sono tecnicamente, musicalmente e verbalmente molto buoni, lo dico tranquillo, è passato tanto tempo, ma non basta, ci vuole altro, e nei post successivi qualche cosa dirò, sempre serio e scherzoso, perché è necessario. Generalmente, mi fido più dei prosatori che dei poeti, proprio perchè credo alla grandezza della poesia.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Caro Solimano, mi sa che non la conti giusti con questa storia del numero 44, che però è divertente.
(diciamo che siamo dalle parti dell'Onegin?)

Solimano ha detto...

E' verissima, purtroppo. Dico purtroppo perché ci misi anni a rendermi conto. La mia misura sarebbe il 44 e mezzo, ma se vai a comprarti un paio di scarpe, noti subito se il piede ti balla nella scarpa, e allora prendi il numero inferiore. I calli sono forieri di disperazione esistenziale, altro che storie, anche se cerchi di trovare ragioni più alte per la tua disperazione. I venditori di scarpe dovrebbero avvertire i clienti del rischio che corrono, a prendere le scarpe strette.

saludos
Solimano