martedì 1 gennaio 2008

Pour de nouvelles aventures




Pour de nouvelles aventures
(Livre mon ami 13)

di Solimano



Non è del tutto vero che i tascabili della prima BUR li comprassi tutti. Ogni tanto alcuni li saltavo perché avevo preso qualche fregatura -lasciamo stare i nomi- e mi toccava stare cauto con la paghetta. Però in genere li prendevo quasi tutti per due motivi: perché mi piaceva che qualcuno decidesse al mio posto che cosa leggere e perché non conoscevo l’uso delle biblioteche, allora poche e scomode da casa. Ma quel libro con l’autore dal nome strano, Alain-Fournier, non lo presi perché non mi piacque il titolo: “Il Grande Meaulnes”.
Così lessi Alain-Fournier non nell’adolescenza ma ben oltre i trent’anni. Paradossalmente forse fu un bene e vedrò di spiegarne i motivi, ma ciò che ho detto può sembrare strano a persone di un’altra fascia d’età.
Nelle case, non solo proletarie ma anche piccolo borghesi, non c’era la libreria, proprio come mobile. Gli unici libri che entravano erano quelli scolastici, ma per la maggioranza dei ragazzi già la quinta elementare era l’obiettivo massimo: c’era l’avviamento, è vero, ma era una specie di stanza in attesa dei quattordici anni in cui si sarebbe andati a lavorare. Difatti in quinta elementare il maestro dava lezioni a pagamento a quei pochi scolari che avrebbero sostenuto l’esame d’ammissione per andare alle medie, ed eravamo in sei su quasi trenta. Un sistema che ai tanti difetti evidenti univa un grande pregio, per quei pochi che più per fortuna o caso che per voglia ci si ritrovavano: leggere l’autore direttamente, senza nessuna intermediazione. Non sostengo questo sistema, è meglio adesso, però provate ad immaginare che cosa sia leggere Tacito o Ariosto o Cechov così, addirittura non leggendo le poche pagine in corsivo che precedevano i testi della BUR. A forza di discettare, distinguere, raccordare rischiamo di dimenticare l’esperienza primaria: leggere è bellissimo, punto e basta. Il resto è importante, sì, ma segue, come l’intendenza.
Perché dico che fu un bene non leggere Alain-Fournier a quindici anni? Perché ero fatto in un certo modo, mi sarebbe certamente piaciuto, ma mi avrebbe portato fuori strada, come credo succeda ad alcuni degli amatori di Alain-Fournier che in lui trovano la conferma di far bene a starsene fuori, dal treno della vita.
Il simbolismo di Alain Fournier non si nasconde nelle cose in cui si dovrebbe scoprirlo, è inerente alle cose stesse: un tavolo, un cavallo, un albero, una piazza, una persona. Detta così, sembra una genericità, ma basta riflettere sulla esperienza della musica, che tutti abbiamo dentro, anche se stentiamo a parlarne. Non serve mettersi a strologare significati a destra e a manca, il significato è lì già scritto in lingua chiarissima, quella della musica mentre si fa e si ascolta. Non sto dicendo che non occorre la competenza, il confronto, l’approfondimento di ogni tipo, ma serve a portare ad un raggiungimento più alto del significato che è già lì, mentre ascoltiamo od eseguiamo musica.
Quindi è importante conoscere tante notizie riguardo Alain-Fournier, ma non facciamoci fuorviare dal culto per l’artista morto giovane, non è lì il punto, è successo anche ad altri: Lermontov e Schubert ad esempio. La concretezza si unisce alla fiaba, anzi, la fiaba è nella concretezza. Aveva ragione Calvino, per motivi diversi, quando diceva che “le fiabe sono vere”, ma quello che colpisce è che questo in Alain-Fournier succede con naturalezza, come se fosse in stato di grazia mentre scriveva, e forse alla grazia lui credeva.
La lettura de “Le Grand Meaulnes” è ragion sufficiente per imparare il francese, e d’altra parte ho l’edizione della Medusa Mondadori, quella verde, in cui “Il Grande Meaulnes” fu il numero 1 nel marzo 1933 (la mia è la sesta edizione del novembre 1967), ma leggo il lievemente sbrindellato Livre de Poche del 1971, che ha fra l’altro un préface e dei commentaires scritti da Daniel Leuwers che non so neanche chi sia, ma dà notizie utilissime con lucida passione, a differenza dell’esimia traduttrice della Medusa, che scrive una prefazione ricca di intelligenza, di confronti appropriati, di sottili aggettivazioni, ma che dire, è una prefazione freddina di una che tiene le distanze. Chissà, forse faceva bene, alle magìe (o malìe?) è bene sottrarsi. Ma quella di Alain Fournier è una malìa ben diversa dai consueti incantamenti provvisori (più nei film che nei libri, va detto) che il giorno successivo non ci pensi più. Ha durata nel tempo. Proprio come una grande musica che sopravvive persino ai tormentoni pubblicitari.
A valle di tutto questo c’è il resto, come no: Yvonne, Valentine, Augustin, Frantz, François, le domaine mysterieux e la tragedia, perché è anche un libro tragico, non va rimosso questo aspetto, sarebbe un segno di estetismo a basso conio, ma questi sono aspetti che troviamo anche in altri libri. E' ancora come per la musica: possiamo ascoltare il Carnaval di Schumann o gli Improvvisi di Schubert non avvertendone l’unicità?
Nella Sologne non sono mai stato né andrò. Ma se ci fossi, mi piacerebbe mettermi un paio di scarpacce robuste ed uscire un mattino d'autunno camminando fra boschi e stagni fino al punto di desiderare di tornare per stanchezza. Tornerei con le scarpe piene di fango (pesano, per chi non l’ha mai provato) e non me le toglierei, arrivato a casa, ma mi metterei di fronte al camino con le scarpe appoggiate sul bordo, adocchiando ogni tanto come il fango sulle scarpe si asciuga, e cambia bellamente colore momento per momento.
Accorgersi senza sforzo delle cose che ci stanno davanti, e che dietro maya si nasconde maya, e lo fa benissimo. A volte capita e tutto va a posto, magari succede anche senza andare in Sologne, che è un po’ fuori mano.

"Et déjà je l’imaginais, la nuit, enveloppant sa fille dans un manteau, et partant avec elle pour de nouvelles aventures".


"Le Grand Meaulnes", film di Jean-Daniel Verhaeghe (2006)

3 commenti:

Habanera ha detto...

E' bello iniziare l'anno con la lettura di questo post.
Grazie, Solimano, per questo dono che hai voluto fare ai lettori del nostro blog.
Penso che non ci sia modo migliore per augurare a tutti un nuovo anno pieno di serenità e di letture appassionanti.

Buon 2008 e un abbraccio
H.

Solimano ha detto...

Habanera, mi sembra che l'anno sia cominciato bene. Ci ho faticato, per questo post, anche perché il PC fa le bizze. Ma volevo e dovevo scrivere, perché questo libro è stato, e non una sola volta, una delle più belle esperienze di lettura della mia vita. Mi sono anche un po' commosso, nello scriverne, e non me ne vergogno.

saludos y besos
Solimano

Laura ha detto...

Bel post, Solimano. Davvero.
Ma ancor più bello è leggere che ti sei commosso scrivendolo, perché questa è la vera testimonianza del fatto che certe letture radicano tenacemente dentro di noi.

Un caro saluto
Laura