martedì 18 dicembre 2007

Ulisse




Ulisse

di Mazapegul


Ulisse viaggiava per tornare a casa, ma più viaggiava e più se ne allontanava, e finiva col visitare luoghi sempre più distanti e strani. Scriveva delle lettere per sua moglie Penelope e per suo figlio Telemaco, le metteva dentro un vaso, lo tappava ben bene che non entrasse l’acqua e lo faceva scivolare in mare, sperando che le onde lo portassero a Itaca, la sua isola.
Una volta aveva scritto: “Mi trovo nell’isola degli uomini-con-la-testa-di-cane”, ma la lettera, invece di arrivare a Telemaco, era finita all’isola degli uomini-con-la-testa-di-gatto, che la lessero e si spaventarono tantissimo. Affondarono le loro barche e giurarono che non avrebbero più navigato per il mare, non avesse voluto il destino che incontrassero qualche orrido uomo-con-la-testa-di-cane.

C’era un isola in cui tutte le correnti arrivavano e nessuna la lasciava. Tutta l’acqua veniva inghiottita da delle grotte scavate sulla scogliera e sprofondava sottoterra, nessuno sapeva bene dove. Ulisse cercava di spedire i vasi con le sue lettere, ma la corrente glieli faceva ritornare tutti indietro.

In compenso, gli arrivavano vasi da naviganti sperduti in ogni dove, con pergamene che dicevano: “Sono in un paese dove non c’è mai la notte e per questo le case non hanno la camera da letto,”
oppure “La mia nave s’è arenata in un posto dove c’è sempre notte e la gente tiene pipistrelli invece che canarini nelle gabbiette.”

Un giorno gli arrivò un vaso con scritto:
“Sono in un’isola dove non arriva nessuna corrente, ma tutte la lasciano. Al centro dell’isola c’è una grande sorgente d’acqua che viene da sottoterra, nessuno sa bene da dove, che forma dei grandi torrenti che scendono a mare facendo delle grandi onde che spingono via i vasi con le mie lettere, ma che impediscono alle lettere che mi vengono scritte di raggiungermi.”

Quando si trovava in mezzo al mare sulla sua nave, Ulisse gettava in acqua dei vasi con delle lettere dolcissime per Penelope. Non sapeva che le sirene li rubavano e li portavano in fondo al mare, per leggere le sue lettere d’amore e sospirare, riempiendo l’abisso di bollicine.

Domenica 7 ottobre 2007

Da Mazapegul

5 commenti:

Roby ha detto...

Deliziosa immagine, quella delle bollicine causate dalle sirene che sospirano. E poi, poveri uomini con le teste di gatto, che spaventosa prospettiva trovarsi di fronte quelli con la testa di cane!!!! Pipistrelli nelle gabbiette? Perchè no? Ho una coppia di amici che ne allevano uno in cantina (giuro!)...

M'inchino alla fantasia del sublime cantastorie MAZ, in attesa della prossima puntata.

Roby

Solimano ha detto...

Questa è una metafora precisa perché felicemente inconsapevole degli inconvenienti e dei malintesi della comunicazione, che è tanto più fuorviante quanto è più ansiosa. Ed è una metafora della rete, delle sue dispersioni e dei suoi inghiottitoi. Ma dopo aver fatto queste considerazioni improntate a profonda saggezza di tipo laudativo, a me che le sirene sospirino d'amore va benissimo, è ora che paghino un prezzo anche loro, dopo aver portato tanti uomini sugli scogli. Che il folletto campestre Mazapegul sia qui a me fa piacere, è ora che impari l'uso di mondo!

saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Messaggi d'amore alle sirene... e sono d'acoordo cobn Solimano, anche loro sospirino un po' e non facciano solo sospirare... Giulia

Habanera ha detto...

Condivido in pieno la lettura di Solimano tranne l'ultimo punto: il geniale folletto non ha alcun bisogno di imparare l'uso di mondo, semmai è lui che ci può insegnare qualcosa.

Besos
H.

mazapegul ha detto...

M'era sfuggito il punto di vista delle sirene (polisemia del segno!). Scrivendo la storiella pensavo al quanto dispettose fossero mettendosi di mezzo tra Ulisse e Penelope, impedendo alla corrispondenza di passare e rubando sospiri altrui.
Habanera: il richiamo di Solimano è un amichevole rimprovero, che come sempre coglie nel segno.
Ciao,
Màz