Roma, Galleria Borghese
La differenza a mio favore fu che i miei amici conoscevano solo La pioggia nel pineto e I pastori, io conoscevo anche La sera fiesolana. A scuola, si doveva pur fare l'imbarazzante D'Annunzio, con le due prime poesie ci si toglieva l'incombenza e si passava ad altro. Ma nell'antologia c'erano anche altre poesie, e lessi La sera fiesolana, incuriosito dal titolo.
Oggi posso dire che nell'Alcyone c'è di meglio, la stessa Pioggia nel pineto sta sopra (ahimè, le classifiche!), ma La sera fiesolana aveva in quel momento tre vantaggi: permetteva di uscire dal cliché, era di facile comprensione senza la noia delle note, ed aveva dentro una musica troppo facile al mio orecchio di oggi, ma dolcissima, per come ero allora.
Fu così che comprai l'Alcyone, nella edizione BMM Biblioteca Moderna Mondadori, con la copertina giallina e i caratteri dorati dell'autore e del titolo. Tuttora la posseggo, è una specie di cimelio che stento ad aprire, perché quasi ogni pagina ha divorziato dalla precedente e dalla successiva, potrei fare del volantinaggio (che non sarebbe poi una cattiva idea...). Posseggo edizioni più recenti che dicono tutto e di più, anche troppo.
Così cominciai una lotta con Gabriele D'Annunzio che durò circa due mesi, con una serie di sconfitte e di colpi di scena.
Sconfitte iniziali, perché il nominalismo e la pomposità esistono nell'Alcyone quasi in ogni pagina, e già allora questo tipo di retorica mi infastidiva, retorica di versi e di uomo-poeta-personaggio.
Colpi di scena, perché, proprio quando pensavo di smettere, inciampavo felicemente in La Tenzone, Bocca d'Arno, Stabat nuda Aestas. Va detto che smettere un libro era allora difficile (per certuni lo è anche adesso, lo vivono come una sconfitta personale). I libri costavano, in casa ce n'erano pochi, non pareva bello da nessun punto di vista.
La strategia con l'Alcyone fu quindi di capitalizzare sul già letto, rileggendo ad alta voce ciò che avevo apprezzato, e di annusare il resto, evitando le poesie troppo lunghe e con tante maiuscole.
Il più credetti di averlo fatto: quando uno scopre Versilia, Undulna, Meriggio, Il novilunio può fregarsi le mani, e le imparai quasi tutte a memoria senza volerlo, perché leggevo e rileggevo, ma D'Annunzio con me non aveva ancora smesso.
Sfogliavo le lungaggini, mi cadeva l'occhio su qualche bel verso e finì con l'acquisizione de La morte del cervo, L'oleandro, L'otre.
Il più era fatto, non restava che leggerlo dall'inizio alla fine, l'Alcyone, perché è la storia di una estate, da giugno a settembre. Tutto, compreso il Ditirambo IV, la storia di Icaro in 650 versi. Non mi facevo piacere tutto quello che leggevo, sapevo però di far bene a leggerlo perché aumentava la mia comprensione di un poeta nativamente grande. Poi, sull'uomo D'Annunzio si possono fare tanti discorsi (condivido i più cattivi, specie dopo la visita al Vittoriale), ma non è certo un motivo per rimuovere un tale poeta dalla nostra storia, non solo italiana, ma europea.
Cosa leggo oggi come prima cosa nell'Alcyone? L'oleandro, 482 versi per cui D'Annunzio spuntò 500 lire di allora dall'editore (voleva almeno una lira a verso, aveva di queste fisime, lo spendaccione). L'oleandro è "un'ecloga marina" con una musica che non è di un solo strumento, ma di tanti: archi, fiati, anche percussioni. Più una rapsodia che una sinfonia, una rapsodia cantata dalle tre donne Erigone, Aretusa, Berenice, ognuna con la sua voce individua. Lo so che si critica la parte del mito di Apollo e Dafne, ma D'Annunzio, da moderno Ovidio, con i miti è a suo agio, per questo metto come immagini Bernini e Tiepolo alle prese con lo stesso mito. Non è la sua poesia più perfetta, ma la più vasta e trascinante. Gabriele D'Annunzio, che compose gran parte de L'oleandro nella notte del 2 agosto 1900, scrisse in una lettera che la sua ecloga sarebbe piaciuta, perché "varia, ricca, fresca". Non poteva dire meglio.
...
Caldi soffiano i vènti al bianco mare,
calde passano e lente le riviere
in cuore alle terribili città,
passano e vanno per ignoti piani,
cingono ignoti boschi: i cervi a bere
scendono ansanti nella gran caldura;
lunghi bràmiti ascoltano lontani;
bevono: in qualche tacita radura
poi fino a morte si combatterà.
O Notte, o Notte, invano tu nascondi
ne' tuoi capelli il dolce tuo nemico!
Non sono i tuoi capelli sì profondi
che non veggasi dai nostri occhi umani
fiammeggiarvi per entro il tuo piacere.
...
3 commenti:
A me D'Annunzio fece impressione per il genio versificatorio, così me ne lessi più di quello che ci toccava in sorte a scuola. Però non capii mai, forse perchè non ci dedicai più di tanto, quanto ci fosse di autentico e quanto di pura intelligenza metrica, linguistica e anche visiva. Preferivo, e prfersico, alcuni epigoni dannunziani, come Gozzano, che è già altro (è già Montale).
Bella scelta di versi, che dànno bene l'idea del mito così come cercava di resuscitarlo, nella sua genuinità ancestrale, D'Annunzio (e non ci riusciva, ovviamente).
Ciao,
Màz
Nicola, l'intelligenza metrica, linguistica e visiva (soprattutto) non è piccola cosa, e Ovidio, di cui D'Annunzio è quasi una reincarnazione, non è poeta piccolo. Amo L'oleandro perché non sono un purista, ma se dovessi difendere D'Annunzio, porterei Undulna e Meriggio, e vediamo chi regge a quel livello in quel momento storico, anche fuori d'Italia. Forse solo Le cimitière marindi Valery ha la stessa intensità visiva e determinazione analoga. Però ,se dovessi scegliere fra Pascoli e D'Annunzio, sceglierei Gozzano, forse non per questione di merito, ma perché mi prende come fanno il Crivelli e il Parmigianino, in cui ogni pennellata ha un significato suo e un senso totale. I quadri di questi due li puoi esplorare centimetro per centimetro, come succede con i versi di Gozzano, a cui basta affiancare due parole, due di numero.
saludos
Solimano
ciao sono un ragazzo che sta affrontando gli esami di stato e per la mia tesina ho scelto di portare la musica e quindi parlare di D'Annunzio e Ovidio...sapreste aiutarmi a creare un parallelo efficace?grazie
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