di Primo Casalini
Las cinco de la tarde.
Nella caserma di Roma, alle cinque del pomeriggio, il sergente maggiore distribuiva la posta. Eravamo in venti, quasi tutti ingegneri. Cinque di noi erano romani, quindi niente posta per loro, salvo eccezioni.
Le lettere erano delle morose lontane: Milano, Torino, Padova, Mantova, Bologna, Firenze, Palermo. Ogni ragazza aveva una sua scelta di formato e di colore, e qualcuno già riconosceva la busta, qualcuno no, e gestiva l’ansia meglio che poteva.
Il mio personale metodo era semplice, molto da ingegnere: scrivevo io, la lettera arrivava a lei, mi scriveva, arrivava la lettera sua, riscrivevo io. Logico, ma non tutti facevano così, Donato, ad esempio, scriveva tutti i giorni, e ogni giorno riceveva, altri seguivano l’onda degli alti e bassi del rapporto, potevano arrivare due lettere di fila, potevano passare dieci giorni fra l’una e l’altra. Nei casi di puntiglio orgoglioso, dopo una licenza di quarantotto ore andata male, le lettere si incontravano a metà strada, sei, sette giorni dopo la litigata, credo si somigliassero anche nel contenuto, metà amore eterno metà risentimento indomito.
A Guido, che non aveva la morosa, cominciarono ad arrivare lettere, una, due, tre, fra la meraviglia di tutti. Al quarto giorno aprì la busta e mostrò la lettera, un foglio bianco. Se le era spedite da solo per sfotterci, ed aveva ragione lui: competition is competition, anche nella quantità di lettere.
Le calligrafie delle ragazze erano quasi tutte tondeggianti, gli accenti volavano. Dopo la distribuzione restavamo in cortile e ognuno, in una sua area di rispetto, apriva la lettera e se la leggeva.
Le ragazze usavano la stilografica, le lettere di molte erano lievemente profumate, un di più sull’odore d’inchiostro, già gradevole di suo.
Era l’estremo opposto rispetto alla grevità odorosa degli scostumati calendarietti da barbiere, che oggi parrebbero casti. Dimenticavamo il prevalente odoraccio delle uniformi, generatrici indefesse di pruriti di ogni tipo, e il berretto, appiccicoso di sudore e di forfora.
La lettura della lettera era come lo struscio nel corso, mano nella mano, ognuno nella sua città.
La sera, alcuni di noi rinunciavano alla libera uscita e si appartavano su un tavolinuccio poco illuminato, per rispondere all’amata, l’unico rumore era quello del pennino della stilografica sulla carta, a odore d’inchiostro freschissimo.
Quelle lettere le ho conservate. Anni fa, in un raptus tecnologico, le ho inserite nelle cartelline trasparenti di un raccoglitore, mischiate nella giusta sequenza di date.
Non le leggo mai, so dove stanno.
P.S. E' la Novelletta degli Odori numero 9 delle 54 che ho scritto.
4 commenti:
Straordinario lo stratagemma di Guido, quello senza morosa! E l'odore dell'inchiostro... che bel ricordo, alle elementari, quando ancora usavamo cannetta e pennino...
Conoscevo già la tua novelletta, Primo, ma non importa: è sempre un bel leggere!
Roby
Sarebbe un bel rileggere anche le altre 53.
Le avevo tutte, le novellette degli odori, nella bella confezione regalo che Solimano aveva fatto per i suoi amici. Ma sono rimate sepolte, insieme a tutto il resto, sotto le ceneri del mio defunto hard disk. Dramma recente dal quale non mi sono ancora ripresa, sia dal punto di vista operativo che da quello psicologico.
Besos
H.
Roby, Guido è vivo e lotta con noi. Siamo ancora amici, dopo tanti anni. Ci ritoviamo ogni tanto in otto a cena. Quattro coppie, di cui due sorte a Roma in quel periodo. La storia del fidanzamento e del matrimonio di Guido non la posso raccontare qui, ma nei momenti di bassa, basta che me la ricordi che mi viene da sorridere. La vita non è sempre brutta.
Habanera, sapevo della tua sciagura informatica. Non sapevo che anche le mie Novellette fossero state coinvolte. Quando sarai di nuovo a posto, avvertimi, che ti rispedirò vie e-mail le due edizioni delle Novellette degli Odori, quella tascabile e quella tipo strenna, con le immagini. Fa bene Giuliano ad essere avveduto ed a salvarsi tutto su CDrom, a parte che adesso ci sono quei pippolini che contengono molto di più e che non mi ricordo come si chiamano.
saludos y besos
Solimano
Mi piace la descrizione con cui descrivi, quasi come un grafo, le lettere che s'accavallano e incrociano, rimbalzano, vengono spedite bianche da sè a sè (nei grafi anche questa eventualità è prevista).
Màz
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