La liberta Epicari
Col latino, mi trovavo bene.
Al ginnasio ebbi come professore un latinista noto, che aveva scritto un libro scolastico molto apprezzato. Siccome il latino piaceva a lui, finì che piacque anche a me, anche se ero già un po' bastiancontrario: lui era un ciceroniano, ma quando scopersi Sallustio e Cesare mi piacquero di più. Sallustio perché molto vivace, Cesare perché chiarissimo, non avevo bisogno di farmi aiutare dal testo a fronte. Ma ci si aggiunse che scrivevano di guerre, che mi interessavano di più delle arringhe dell'avvocato.
Al liceo non fu così. Mi trovai come professore uno coscienzioso ma non appassionato, e furono tre anni di regresso, come latino. Durante le ore di lezione, io e i due del banco dietro scrivemmo diversi brevi racconti, una riga a testa, il problema era passarsi il quaderno senza farsene accorgere. E' un gioco divertente ma non facilissimo: occorre che la riga successiva vada da un'altra parte rispetto alla riga precedente, ma che il tutto alla fine un senso ce l'abbia.
Ho provato alcune volte a rifare questo gioco, ma non ho trovato mai il tavolo giusto ed ho smesso. Credo che il problema fosse che si scriveva in due coppie e chissà perché era come guidare col freno a mano tirato. Sono ancora convinto che è un gran bel gioco, anche se mi distrasse dal latino.
Però, non a scuola, uno scrittore latino mi prese, leggendolo in italiano: Tacito.
Con parte dei soldi che guadagnavo d'estate allo zuccherificio (la parte maggiore la davo in casa), compravo tutti i mesi i libri della BUR (Biblioteca Universale Rizzoli), e andai avanti così per anni: non sceglievo un libro o l'altro, li compravo tutti, e li leggevo anche, rimanendo raramente deluso. Uno dei primissimi ad uscire fu proprio Tacito con gli Annali, e mi ci appassionai più che a Cesare ed a Sallustio (dei poeti racconterò fra un po' di tempo).
Tacito mi piace ancora, lo trovo parente di Shakespeare e di Sant-Simon, e con ciò faccio una delle consuete capriole culturali che indispettiscono gli addetti ai lavori. Era uno che a raccontare sapeva il fatto suo. Gli Annali sono costruiti in modo strettamente cronologico, e questo li poteva portare a rischio di noia. Ma in ogni paragrafo, e sono brevi, un singolo paragrafo stava largo nelle paginette della BUR, Tacito inserisce qualcosa, fosse anche di una riga e mezzo, che regge tutto: un episodio drammatico, com'era fatta quella persona, un giudizio breve e duro tipicamente suo. Così otteneva un risultato altrimenti difficile: quello di farsi leggere adagio, perché il voler sapere come va a finire non riguarda solo i romanzi, ma anche i libri di storia. E' una esperienza simile a quella dei libri gialli, che non ho mai letto: quel libro ti prende e tu non ce la fai a mollarlo, lo leggi per ore, ricordo che feci addirittura le tre di notte su La montagna incantata. Chissà perché poi, è un grande libro, ma la pulsione a leggerlo per ore ed ore di fila per un libro del genere oggi non ce l'avrei, e Thomas Mann ci guadagnerebbe.
Tacito fu l'eccezione: una decina di pagine al giorno, non di più. Lo stato d'animo quando finivo le dieci pagine era di forza seria, proprio quello di cui avevo bisogno.
Però Tacito rischiò, quando decisi di leggerlo in latino e scoprii che era incomprensibile ai comuni mortali a cui appartenevo. Anche col testo a fronte era una grande fatica.
Mi va di inserire una citazione di Tacito, e che sia in latino, che a leggerlo ora non sembra però così incomprensibile, comunque metto la traduzione sotto. Ho solo l'incertezza della scelta: l'ultimo giorno di vita di Petronio, Messalina che si aggira disperata per le vie di Roma, Tiberio che, dismesse le insegne del potere, va a cercare di convincere un suo amico e coetaneo a non lasciarsi morire, il drammatico processo alle centinaia di schiavi di un padrone che uno schiavo ha ucciso: la legge impone che tutti gli schiavi vengano uccisi e così avviene, e c'è chi ha pietà, vedendo la processione di uomini, donne, ragazzi verso il patibolo. Ma scelgo poche righe, che sono quelle che mi impressionarono di più, c'è dentro la pietà dura ed ammirata di un non cristiano, ma soprattutto c'è dentro lei, la liberta Epicari.
Liber XV, 57
Atque interim Nero recordatus Volusii Proculi indicio Epicharin attineri ratusque muliebre corpus impar dolori tormentis dilacemri iubet. At illam non verbera, non ignes, non ira eo acrius torquentium ne a femina spemerentur, pervicere quin obiecta denegaret. Sic primus quaestionis dies contemptus. Postero cum ad eosdem cruciatus retraheretur gestamine sellae (nam dissolutis membris insistere nequibat), vinclo fasciae, quam pectori detraxerat, in modum laquei ad arcum sellae restricto indidit cervicem et corporis pondere conisa tenuem iam spiritum expressit, clariore exemplo libertina mulier in tanta necessitate alienos ac prope ignotos protegendo, cum ingenui et viri et equites Romani senatoresque intacti tormentis carissima suorum quisque pignorum proderent.
E nel frattempo Nerone, quando si ricordò che Epicari veniva tenuta in prigione per l'accusa di Valerio Proculo e pensò che il corpo di una donna non sapesse sopportare bene il dolore, ordinò di torturarla. Ma nè le percosse, nè i ferri roventi, nè l'ira dei torturatori, che incrudelivano ancor di più, per non essere disprezzati da una donna, riuscirono a convincerla a smettere di negare le accuse che le venivano rivolte. Così il primo giorno di interrogatorio passò senza risultati. Il giorno dopo, mentre veniva portata su una portantina - infatti non era in grado di reggersi in piedi, con gli arti spezzati - alle solite torture, mise il collo dentro il cerchio della fascia che si era levata dal petto, dopo averlo stretto come un laccio alla spalliera della sedia e, sforzandosi col peso del corpo con quel poco di vita che le rimaneva, morì, proteggendo, lei, donna schiava affrancata, con un esempio davvero illustre in una situazione così importante, uomini estranei e pressochè sconosciuti, mentre uomini liberi, cavalieri e senatori romani, che non erano ancora stati torturati, tradivano ciascuno i propri parenti più cari.
P.S. Ci ho ripreso gusto, col Livre mon ami. I nove precedenti li ho scritti diverso tempo fa, questo l'ho scritto oggi, e credo che ne scriverò degli altri. (s)
4 commenti:
Da una latinista un po' arrugginita, un pensiero speciale per Epicari, infelice ma immensa, ed un altro per i minuscoli "viri et equites" alle sue spalle.
E poi, ferma restando la grandezza di Tacito, un piccolissimo suggerimento: Svetonio, che nelle sue "Vite dei dodici cesari" ha dato alcuni esempi ante litteram di quello che oggi è comunemente definito "gossip".
Ave&vale (come sempre)
Roby
Roby, Sveronio l'ho letto (naturalmente in italiano) con molto divertimento, lo trovo proprio un gossiparo di prima forza un po' come dopo fu Procopio per le storie di Bisanzio riguardo Teodora, Belisario etc etc
C'è da dire che Tacito ha un'altra unicità: le figure femminili in primo piano, cosa che non ricordo in altri, perché Tito Livio faceva dei santini tipo Cornelia la madre dei Gracchi.
Invece, sia l'Agrippina maggiore (la moglie di Germanico) che l'Agrippina minore (la figlia della maggiore, quella che fu la madre di Nerone) sono figure molto notevoli, che non fanno discorsi ed azioni da donne, come anche Poppea Sabina e Messalina.
Anche Atte, una liberta che era l'amante di Nerone.
Verrebbe voglia di riprendere a leggere in latino... specie i poeti... dovremo fissarci delle priorità!
good night
Solimano
Forse una lontana eco di Epicari sta nel suicidio di Zeno dell'Opera al Nero? Non solo eco del fatto in sè, quanto della corporeità e della tensione morale nella trascrizione letteraria.
E' probabile quello che dici, Nicola, vista la competenza della Yourcenar sui tempi di Tacito, operante fra Traiano e Adriano, per questo ho messo la Colonna Traiana, che è un capolavoro poco conosciuto, anrebbe benissimo nella serie dei Fumetti d'Agosto, è proprio una striscia come i fumetti.
E comunque, stranamente, di quelle righe straordinarie su Epicari si parla poco, non ho trovato molti riferimenti in rete.
saludos
Solimano
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