Ho ripercorso trent'anni vissuti pericolosamente dal nostro Paese, dal 1970 al 2000, attraverso una pregevolissima antologia di liriche curata da Franco Loi e Davide Rondoni dal suggestivo titolo leopardiano: Il pensiero dominante. Trent'anni che sono corsi quasi paralleli all'arco del mio esistere, dalla nascita a un periodo cruciale della mia vita, e che quindi ho gustato con ancora più soddisfazione.
A volte sembra che la Storia non c'entri nulla con la lirica, che quest'ultima - anzi - si libri su territori antistorici per eccellenza. E invece non è questa l'impressione che ho ricevuto da questo "alfabeto" di nomi che va da Antonella Anedda fino ad Edoardo Zuccato (157 sono i poeti antologizzati, per essere precisi). Non è così, perché da questo florilegio (dal sottotitolo temporalmente certo e inequivocabile: Poesia italiana 1970-2000) non emergono solo gli stili di vita tipici di tanta lirica nostrana, cioè quelli intimi, introspettivi, dedicati alla soluzione di enigmi tutti afferenti a un percorso che pare quasi del tutto privo di "relazioni". No, in queste pagine si addensano anche le nubi di quella "mutazione antropologica" che Pasolini teorizzò e documentò fin dall'inizi degli anni Settanta (appunto) e che poi si è drammaticamente manifestata a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, fino ad esplodere in tutta la sua imponente (e forse nefasta) dimensione sociologica proprio con il passaggio del secolo e del millennio.
Voglio essere chiara: non si tratta di poesie "civili", anzi qui non c'è nulla di quell'humus epico che ha contraddistinto certa poesia italiana del secondo novecento (basti pensare a Quasimodo su tutti), né tanto meno esistono istanze "politiche" alla Fortini, per intenderci. Eppure dallo "scialo dei triti fatti" quotidiani traspare (e spesso tracima) tutta l'inquietudine degli eventi che hanno fatto da contorno alla vita pubblica e privata dell'Italia di quel tempo, e chi legge percepisce chiaramente che, laddove ora c'è un deserto (di partecipazione civile, politica, morale) un tempo sbocciavano fiori e si raccoglievano frutti.
Sì, la Poesia può anche questo, se vuole: disarticolare i temi di un discorso che si crede univocamente storico e politico, e restituircelo integro nella sua più completa dimensione umana.
Il coraggio di Loi e Rondoni è poi ancor più palpabile laddove hanno scelto, per manifestare i termini ritenuti più alti del discorso poetico italiano, molti autori che non scrivono in lingua italiana ma in svariati idiomi dialettali. Quasi che con questa opzione si sia voluta testimoniare l'unità nella diversità, ma anche la triste scomparsa di un variegato mondo di tradizioni linguistiche destinato inesorabilmente a perdersi nell'omologante (e ineluttabile) destino di quel pensiero dominante che oggi sembra aver conquistato il mondo intero.
°
Non ala che sollevi
solo sentieri a farci pellegrini
e il capo chino a dire
d'un'arte ignota
miracoli leggeri...
Voglio morire nelle mie parole
fino a che posso
per liberarle vive dall'incanto
prima che divorino le rime
i versi il senso
lasciandomi più povera di adesso...
La mia conversazione con la vita
può solo somigliare alle parole
che tentano un momento di quietarla.
Silvia Re
da Le barricate misteriose
14 settembre 2007
Da Akatalepsia
giovedì 4 ottobre 2007
Attimi
Pubblicato da Habanera alle 01:05
Etichette: Appunti personali, Clelia Mazzini
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4 commenti:
"le barricate misteriose" è un brano per clavicembalo (ma anche per pianoforte) di François Couperin.
Consiglio a tutti di ascoltarlo, perché è una musica bella e misteriosa, di quelle che catturano e non si smette più di ascoltarle.
Oltretutto, dura meno di cinque minuti. (Angela Hewitt al pianoforte, per esempio)
Come sempre grazie per l'attenzione e la considerazione che, come sai, sono reciproche.
Clelia
Giuliano, non ho trovato la versione per pianoforte della Hewitt ma
"Le barricate misteriose" di Couperin le ho messe subito nel Player e ti ringrazio per avermele segnalate.
Cara Clelia, non ti avverto quando pubblico qualcosa di tuo perchè so che ci visitiamo reciprocamente ogni giorno.
Ti abbraccio
H.
Beh, Couperin quello vero è un'altra cosa. Difficile capire se non si conosce l'originale - comunque è una bella versione.
prova con Blandine Verlet, al cembalo.
(Oistrakh è un mostro di bravura!)
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