mercoledì 17 ottobre 2007

2 euro


Chateau d’ Epoisses


2 euro

di Roby



Vigilia di Ferragosto, primo pomeriggio.
Siamo in Francia, nella regione della Borgogna, a goderci gli ultimi scampoli di un magnifico viaggio che ci ha portato dal centro al nord-ovest del paese, in un susseguirsi di panorami, colori, suggestioni e profumi assolutamente indimenticabili.
Il cartello indicatore dice “Chateau d’ Epoisses”, e seguendo la freccia troviamo appunto un dignitoso maniero settecentesco, fornito di un bel giardino circondato dal suo bravo fossato, con tanto di anatre che sguazzano felici nell’acqua, all’ombra della sobria cappella nobiliare e delle torrette di guardia regolamentari ai quattro angoli del perimetro.
Spulciando la guida, veniamo a sapere che il luogo è visitabile (2 euro per vedere il giardino, 4 per gli appartamenti), quindi parcheggiamo e scendiamo, avviandoci all’entrata.
Federica ci precede, con lo slancio dei suoi 18 anni appena compiuti, ma le basta un’occhiata al cartello d’ingresso per sbuffare: “Niente da fare: è chiuso. Riapre alle 3 per le visite, e adesso è l’una e mezza…”.
Ci stringiamo nelle spalle: peccato! Certo, di costruzioni storiche come questa ne abbiamo viste già tante, ma qui c’è qualcosa in più che ci attira: forse l’aria gentile… forse la brezza leggera… forse la tranquillità stessa del posto, frequentato da pochissimi visitatori, che hanno tutta l’aria di essere gente del luogo: due o tre ragazzine che chiacchierano fitto fitto, sotto la quercia là in fondo, un signore anziano assorto nella lettura di un libro e poi qui, a pochi passi da noi, una nonna con passeggino e nipotina piagnucolante.
Che buffo – penso, divertita - persino il piagnucolìo ha l’accento francese! “Allora” insiste Fede, spazientita “che facciamo? Andiamo via?”. Però, è strano: la porta della biglietteria è chiusa, ma il cancello del parco è aperto, e non si vedono guardiani in giro. Mi avvicino, incuriosita, frugando in borsa per trovare gli occhiali, indispensabili a decifrare i numerosi avvisi attaccati all’uscio di legno. Li trovo, li inforco, leggo e… stupisco! Stupisco a tal punto che ordino immediatamente al fotografo di famiglia – mio consorte - di immortalare con la sua Nikon l’immagine che qui allego. Davanti alla quale, se avete una minima nozione di francese, potrete anche voi restare basìti.
In caso contrario, non senza notevole sforzo, posso tradurvi io la dicitura principale, quella che recita “VISITA del PARCO: 2 euro” e subito a sinistra “METTETE 2 euro QUI”, con freccia indicante apposita feritoia. Nella quale – c’è bisogno di dirlo? - io, marito e figlia abbiamo religiosamente inserito il totale di 6 euro in moneta spicciola, avvolti in un pezzetto di carta su cui ho sentito il dovere di scrivere, nel mio miglior francese “Con i più sinceri complimenti”. Complimenti per la fiducia, ovvio.
E aggirandoci per il quieto, accogliente, rilassante giardino un pensiero continuava a ronzarci in testa, beffardo: ma di qua dalle Alpi, a casa nostra, potrebbe mai nessuno concepire un simile sistema di riscossione dei biglietti d’ingresso, senza essere immediatamente sospettato d’infermità mentale???
(9 settembre 2007)




2 commenti:

Solimano ha detto...

Roby, ho girato abbastanza, e condivido quello che dici e quello che fai capire. Però, in posti come quello di cui scrivi, non ci sarebbero problemi anche in Italia, perchè sono posti in cui vanno solo i veramente appassionati, che si vergognerebbero con sé stessi a non lasciare i due euro. Il problema grosso è che in Italia gli appassionati erano molto pochi (da qualche anno le cose stanno migliorando). L'ho notato spesso andando a convention aziendali nelle principali città europee: quelli che vedevi ai musei o ai concerti erano veramente pochi, e sì che l'IBM era una azienda a scolarità alta. Stessa cosa con gli abbonamenti tramite il club aziendale: l'80% al Manzoni (che a Milano significa teatro leggero) il 10% al Piccolo Teatro e solo il 5% al Conservatorio per la musica da camera. Poi, altri piccoli rivoli.
La colpa è della scuola, ma soprattutto dei cosiddetti operatori culturali, che se la raccontano fra di loro, ma non fanno quasi nulla riguardo quello che dovrebbe essere il loro compito primario: fare della buona e seria divulgazione, come fanno in tutti i paesi civili. Ma per il presente e il futuro tendo all'ottimismo.

un caro saluto a te e ad Habanera
Solimano

Habanera ha detto...

Caro Solimano, mi piace sentire che per il presente, e per il futuro, tendi all'ottimismo. Io sono ottimista di natura e quindi non amo il disfattismo nè il "Si stava meglio quando si stava peggio". Eppure faccio fatica, oggi, ad essere ottimista pur continuando a volerlo essere con tutte le mie forze.

Ricambio il saluto affettuoso.
H.