venerdì 7 settembre 2007

Lofoten, giugno 1998



Lofoten, giugno 1998

di Clelia Mazzini



Percorremmo in lungo e in largo il silenzio.
Nel cielo sempre chiaro alle Lofoten vedemmo il giorno che non finisce mai.
Rompesti l'orologio, mi dicesti "basta".
Del resto che senso avevano le ore dove non c'era Tempo, dove la notte non arrivava mai?

L'estate perpetuava la sua agonia mentre noi, seduti sulle valigie contenenti i nostri cuori, tracciavamo segni in aria come maghi verso un rito perduto. Per chi non capiva, per chi assentiva senza ascoltarci, per chi chiudeva gli occhi inspirando l'aria che sapeva di rocce e mare.
Nasconditi, nasconditi, nasconditi...
Che importa, chi mai potrà cercarci qui? In questa notte fatta di eterno giorno...

Le occasioni mancate ci diedero coraggio, partimmo per l'interno, volevi arrivare presto a Vestresand nonostante Steinar ci consigliasse di fermarci a Borge ("...che importa arrivare in capo al mondo se poi ti tocca ritornare indietro? Tanto vale fermarsi un poco prima, rimandare al futuro l'idea di scomparire...").
Ma alzasti il bavero della camicia proprio mentre un rovescio di vento ci veniva incontro (ci voltammo tutti, quasi fosse una presenza). Partimmo ugualmente, lasciando l'amico a raccogliere i cocci del tuo orologio e del suo orgoglio.

...usque ad mortem.

Di certo non ci tornerò mai più. Se penso a quel giorno non potrò che rimpiangere l'idea di aver insistito con te per fermarci a Borge, per dare retta a Steinar. Vidi sul tuo viso un sorriso sconfinato, triste quanto perduto. Ti abbandonasti al silenzio e alla sconfitta mentre il pescatore, con gesti rapidi, ci offriva cibo e casa per la notte.
Notte di giorno chiaro, notte che non perdona.

Vestresand mi aspetta ancora.
Ma che senso ha andarci, se poi dovrò tornare?
Che senso ha partire per il capo del mondo se il mio cuore, ancora una volta, dovrà fermarsi a Borge?
13/11/2004

Da Aletheia
Akatalepsia

2 commenti:

Solimano ha detto...

Lo so, Habanera, che sei affezionata a Clelia, e qui la porti spesso. A me fa piacere, non solo per il valore delle parole e delle cose, di cui dirò dopo, ma anzitutto per un motivo: posso simulare una conversazione che non c'è. Infatti, il modo comunicativo di Clelia è diverso dal mio, che non sono disposto a cambiare, forse cocciuto quasi come lei. Quindi, nel suo blog non scrivo più, pur leggendola ogni giorno.
Vengo alle parole ed alle cose.
Non dico che Clelia scrive benissimo, questo si sa. Dico che scrive con una eleganza disturbante, per alcuni motivi.
Il primo è che si mette in gioco come persona, cosa rarissima, ancor più in rete che nella vita reale. Molti fingono di mettersi in gioco, in realtà giocano a mettersi. Dentro lo sanno, e che si faccia diversamente gli secca.
Il secondo è che le sue parole sanno di cose, qui l'orologio, le giornate del nord che non finiscono, il colpo di vento, ma succede quasi in ogni riga. Anche questo disturba, perché la genericità parolaia è comoda, permette di mentire a basso prezzo (mentire non è sinonimo di fingere).
In una cosa credo che Clelia sia fuori strada (però felicemente): fatica ad accettare che esista la banalità, che invece esiste ed è generalmente trionfante, pittata in millanta tinte. In questo modo offre (forse volutamente) il fianco a chi investe nella propria vita molto meno di quello che fa lei con la sua. E' un errore felice perché la delusione che ne consegue è maestra di vita, se però si vuole ascoltarla fine in fondo, la voce della delusione.

grazie Habanera
Solimano

Habanera ha detto...

Solimano, perchè mai dovremmo chiedere a Clelia di conversare se lei in questo momento non ha voglia di farlo? Io non sento il bisogno di scambiare parole con lei. Basta leggere quello che scrive e Clelia è qui, più reale e vicina di quanto potrebbe essere se fosse ad un solo passo da noi.
H.