giovedì 16 agosto 2007

Location 4, 5, 6, 7



Location 4, 5, 6, 7

di mazapegul



Location 4
Finita la mezza nottata di studio, Alberto e io eravamo andati a fare una passeggiata sul sentiero che portava alla scarpata della ferrovia. C'eravamo rintanati nella sua casa di Vipiteno per preparare algebra, ma una buona metà del tempo passava nella discussione che eravamo andati facendo dai primi anni del liceo: i miti e la realtà da essi celata, il corpo e la mente, la possibilità che un paradosso logico avesse la possibilità di scardinare il mondo fisico...

Sdraiati nell'erba sotto la luna piena, ci andavamo suggestionando da ore con ipotesi e fantasie sempre più distanti e impalpabili, che però -rinforzate da quel tipo di consenso vicendevole che, se non le montagne, smuove quantomeno l'angolo da cui le osserviamo- ci parevano avvicinarsi più e più a una qualche verità ultima, o almeno ulteriore. Ed eravamo proprio sul limitare di una piccola, ma importante illuminazione, quando sentimmo uno sferragliare stridulo venire dalla curva del binario e, pochi secondi dopo, vedemmo passare davanti ai nostri occhi semicreduli un treno merci in fiamme.


Location 5
Avevamo preso la strada che dalla periferia aveva sino a qualche mese prima condotto al centro del paese. Ci accompagnava un uomo forte e montanaro, con una barba nera ingrigita e occhi intelligenti e profondi. Mi ricordai d'averlo intravisto durante il mio primo turno di volontario, qualche settimana dopo il terremoto, a capo d'un gruppo di paesani inferociti per la scarsa qualità dei piatti che cucinavamo nella nostra mensa. Al momento non ero riuscito a capire la frustrazione di quelli che avevano perso casa e gente di famiglia, dormivano alla meglio sotto neve e pioggia e dovevano sorbirsi pure la cucina improvvisata da una banda di ragazzine e ragazzini tra i sedici e i vent'anni.

Vedevo solo il nostro lavoro di diciotto ore al giorno, che tiravamo avanti ormai come in trance -e sempre con la sbornia notturna da smaltire- e quella protesta che stava per sfociare in rissa m'aveva indispettito come un'imperdonabile ingratitudine. Anche se, ripensandoci, il tutto era finito con l'arruolamento di un vero cuoco del posto, che ci aveva messo in riga e aveva migliorato la vita di tutti i nostri convitati, dei residenti come dei volontari.

Durante quel primo turno non avevo visto il paese. Il pullman ci aveva scaricato direttamente di fronte alla mensa prefabbricata, probabilmente un tendone delle feste dell'Unità, e due settimane dopo da lì m'ero imbarcato febbricitante sul cassone d'un camion militare diretto alla stazione di Battipaglia. La mattina della partenza m'ero addormentato in una pozzanghera e, svegliandomi, avevo deciso che il mio turno, già raddoppiato, finiva lì. Qualche mese dopo ero tornato, ma non c'era quasi più niente che dei forestieri potessero fare.

Il montanaro era un leader paesano, un socialista. Accompagnava me e l'altra milanese dicendoci dove erano state le vie e raccontandoci con bel sorriso delle storie di gente del posto. Aveva, come diversi leader di paese che ho conosciuto, una combinazione quasi aristocratica di autorevolezza e giovialità; si vedeva, poi, che quella ragazza di carattere gli piaceva e ci faceva da guida volentieri. Incontrammo file di case illese e altre di cui era crollata la facciata. Quà e là le cantine scavate nella roccia sotto le abitazioni erano riemerse alla luce, con le loro belle volte a botte squarciate e le collane di fichi secchi ancora appese alle travi. Arrivammo infine al centro del paese, inerpicato su una piccola altura. La chiesa e le case sulla cima erano rovinate su quelle più sotto, e quelle su altre inferiori in un terribile domino.

L'uomo c'indicò un parallelepipedo grigio tra le macerie. La sua voce si fece appena più profonda mentre ci raccontava oggettivamente come, allo sbriciolarsi del vecchio campanile, la moderna cella campanaria in cemento fosse precipitata in un blocco unico su quella casa adiacente alla chiesa dove, in quel momento, stavano sua moglie e sua figlia, schiacciandole.


Location 6 - Un palmo di naso
La stradina in terra battuta lungo cui stavo camminando era quella modestamente panoramica tra un gruppo di palazzoni e un prato di controversa urbanizzazione in mezzo al paese. Uno spesso strato di nuvole blu e grigie s'era andato accumulando nell'ultima mezz'ora, mentre io affrettavo il passo per evitare l'incipiente acquazzone. Tutto all'improvviso un vento forte e fresco sollevò un turbine di polvere dal sentiero, le prime gocce grosse e rade di pioggia presero a sciocchettare sui sambuchi e il vento cessò di colpo così com'era arrivato.

Salì dal sentiero, bruciandomi le narici, un'onda densa e acre d'odore di terra bagnata, sgradevole e stordente; quell'odore che dura i pochi istanti in cui il primo gocciolare non è ancora pioggia vera e propria. Mi fermai a respirarlo, provando una rara sensazione di corporeità e di partecipazione corporea alle povere cose organiche e inorganiche che stavano lì attorno: erba, arbusti, argilla, aria fredda, acqua. Magri e altissimi, i caffetani bianchi svolazzanti, due africani mi passarono di fianco e s'allontanarono, tutti presi nei loro sorridenti conversari.


Location 7
Il massimo piacere del rugby consiste in quel placcaggio tramite cui, con sforzo e danno minimi per sè, incernierate al suolo le caviglie dell'avversario in corsa, tutta l'energia cinetica di questi viene istantaneamente convertita da moto rettilineo a moto circolare discendente, per poi degenerare in: tonfo sordo, sollevamento di una nuvoletta di polvere, gelatinosa vibrazione dei muscoli all'impatto.


P.S. L'immagine in alto è di un quadro di Ercole de' Roberti : Miracolo di San Vincenzo Ferreri, l'incendio. E' nella Pinacoteca Vaticana.
Quella in basso è la lotta fra Giacobbe e l'Angelo di Eugène Delacroix, nella chiesa di Saint-Sulpice a Parigi.



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