Ho saputo riconoscerti nelle occhiate furtive, nei timidi sorrisi che nulla concedevano alla malinconia. Ho valicato con te le vette più impervie, misurato duna dopo duna quasi tutti i deserti della terra, soprattutto quelli umani, il che è tutto dire... So di non averti perso, so di poterti riconoscere ovunque, anche in mezzo ad una folla di persone che, di spalle, percorre un tragitto inverso al mio; potrei farlo anche senza girarmi, anche senza esibire quel buffo gladiolo viola che pretendevi donarmi da Paskowski l'ultima volta che venni a trovarti. "Buffo ometto" e giù a scherzare e a ridere sull'accostamento intravocalico... "farò la fine di de Molay, vedrai...".
Ma tu non sei tipo che guarda alla fine, tu sei quello dei proverbiali inizi. Come la tua arte, che sa prestare attenzione anche al minimo suono d'insetto che può fare un cuore quando si ferisce. Arte sensibile, legata all'anima da un filo sottile che sa di speranza (e quel giorno a Fiesole, sui gradini del teatro, ne ebbi prova tangibile, e io non dimentico, lo sai).
Tu che sai di Primavera mi ricordavi di sorridere, ogni tanto; e lo faccio ancora, senza che tu mi veda; lo faccio ancora, anche se il mio sguardo è rivolto verso altre coordinate.
So che tu ci sei, so che tu esisti, so che tu resisti.
Angela mi scrive di te, della tua pudica illusione (che poi è anche la sua); di come, sulle orme di Forster, siate tornati ancora là dove vi siete conosciuti; di come le tue mani (lunghe mani, belle mani, bianche mani) sappiano ancora cogliere i segreti inconfessabili di certe settime maggiori.
Firenze dev'essere sublime in questi giorni d'incerta Primavera, so che anche tu tornerai a pensarlo, riaprendo la finestra del tuo studio in Santa Croce (perché lo farai ancora, vedrai) per farvi entrare un caldo raggio di sole. Tu che hai attimi d'azzurro negli occhi e nei pensieri, mi lancerai un silenzio che io accoglierò discreta. E lo conserverò, per te, per la tua musica, per il tuo bene che è stato un vento tenero che mi ha fatto essere giovane, ragazza, amica del tuo spirito.
E' con orgoglio che parlo di te, qui, dove le parole si fanno confine e dove il tempo non è più lo stesso, ora che tutto sembra rinascere, là dove la luce torna a prendere finalmente il posto del sole nero della dimenticanza.
E' giusto che altri occhi ed altri cuori (di amici che non ho visto né vedo, ma che conosco nello spirito) possano sapere di te, della tua vita, del tuo semplice esistere; tu che sei stato pietra ed ora sei sabbia di fiume, tu che sei stato vento ed ora sei sospiro, tu che sei stato Sole ed ora sei fiammella tenue di lumino.
E ora qui, nella mia notte, quella tua debole luce tiene compagnia al mio silenzio che, unito al tuo, annulla ogni distanza. E ci dona attimi di coraggio.
9 maggio 2005
Da Aletheia
Akatalepsia
3 commenti:
Grazie, carissima, per l'assidua attenzione.
Ti lascio un saluto,
Clelia
Cara Clelia, ti racconto una cosa che mi è successa ieri. Avevo un problema con le etichette che non sempre corrispondono al numero reale dei post inseriti per ogni Autore. Così ho fatto un controllo dei tuoi perchè mi sembrava, come infatti è, che fossero nove e non otto. Volevo solo contarli, scorrendoli velocemente, ed invece mi sono ritrovata a rileggerli tutti, attentamente, con lo stesso interesse e lo stesso piacere che ho provato la prima volta. Un po' come con quei libri che continuiamo a rileggere, senza stancarci mai, perchè ci danno sempre nuove emozioni.
Un saluto affettuoso
Habanera
Beh, quello che scrivi ti "costringe" allora a "sopportare" ancora una volta la mia gratitudine.
C.
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