sabato 30 giugno 2007

Via Col di Lana 12


Daumier: Interno di vagone di terza classe


Via Col di Lana 12

di Primo Casalini


Le alternative erano tre: o andare in macchina, o andare con i mezzi pubblici, o un mix delle prime due alternative. Ho scelto la quarta: andare in bicicletta alla stazione di Monza e poi con mezzi pubblici fino alla meta. In realtà ho praticato una quinta alternativa, come vedrete, ma ogni cosa a suo tempo. La ragione vera della scelta dei mezzi pubblici è stata la possibilità di leggere, nel lungo viaggio in metrò, ben due quotidiani: la Repubblica e l'Unità.
Sono uscito di casa alle ore 11,41 AM - come dite voi, che avete uso di mondo. Avevo dismesso i comodissimi Birkenstock per un paio di Reebock bianche da jogging. I giornali erano contenuti in una busta di similpelle che a dieci metri di distanza sembrava quasi bella. La busta era appoggiata sul portapacchi personalizzato realizzato, su mio disegno, dal ciclista (così a Monza chiamano il meccanico delle bici). Il mio portapacchi ha solo un inconveniente: per salire sulla bicicletta occorre che la gamba destra faccia un girotondo molto ampio, altrimenti ci si sfracella il ginocchio, destro pure lui, contro il portapacchi. L'alta statura mi facilita in tale bisogna. Montato in sella, si tratta di percorrere i due chilometri che separano (o congiungono?) casa mia dalla stazione. E' un tratto insidioso, in quanto solo 173 metri sono di pista ciclabile; il resto è on the road peggio di Kerouac. E' andata bene, infatti sono qui a raccontarvela.
Nei pressi della stazione, dopo essere sceso dalla bici previo il solito ampio girotondo, ho chiuso la catena antifurto che protegge il velocipede dai malintenzionati, notando che si stanno diffondendo catene sempre più massicce e pesanti: fra un po' i brianzoli giungeranno alle trappole per lupi. Tramite la catena, la bici è stata abbinata ad un palo in ferro di un cartellone stradale adibito a messaggi pubblicitari: c'era una scritta SHIATSU nera su fondo verdolino, ma vado di fretta e vi risparmio i dettagli. Sono entrato nell'atrio della stazione, ho guardato il video con i treni in partenza, e tramite sottopassaggio, sono giunto alla pensilina del binario 6, non dimenticando di convalidare il biglietto con la macchina obliteratrice. Nelle tasche dei calzoni, infatti, oltre alle chiavi di casa ed ad un fazzoletto fresco di bucato, c'erano biglietti per treni e per metrò a volontà. Ah, dimenticavo: indossavo calzoni di tela blu: avevo scelto la configurazione da ingegnere-operaio, da magut, insomma, come dicono qui. Pochi minuti dopo è arrivata la littorina (da Littoria, termine pre-resistenziale), sono salito, mi sono seduto. E la littorina è partita verso il Sud. Ho dimenticato una cosa: appena salito sulla littorina, prima di sedermi, ho fatto la consueta verifica, mi sono cioè rivolto ad una giovane donna dicendo: "Mi scusi, va a Milano questo treno?". Lo faccio sempre da quella volta che sono sceso a Bergamo, mentre credevo di essere a Novara. Eppoi... è piacevole avvertire quel frisson di terrore nella giovine interpellata ex abrupto, frisson che si placa appena il suo sguardo incontra il mio, abarthizzato per l'occasione.
La partenza della littorina è avvenuta alle 12,23 AM (o PM... boh... quand'è che si cambia?). Dopo pochi minuti, ero a Sesto FS, senza aver potuto dare neppure una scorsa ai due quotidiani custoditi nella busta in similpelle etc etc. Un magut con la busta... in genere pensano che io sia un odontotecnico, per questo sorridono. Sono quindi disceso negli anfratti del metrò, disinteressandomi delle edicole ricche di videocassette suddivise in due tipi: cartoni animati e video porno; sta sorgendo una terza categoria che è la miscela delle prime due. Pochi, a quell'ora, 12,31 AM, i venditori di articoli con autentica falsa griffe del vero produttore che usa la sua griffe vera come fosse falsa.
Linea 1 del metrò da Sesto FS a Cadorna: venti stazioni in mezzo. Mi sono spazzolato la Repubblica da Massimo Bucchi a Michele Serra. Ho detto di no alla zingarella sollecitatrice che il padre (?) conduce a Milano dalle montagne dell'Erzegovina. Il mio no tranquillo a simili questue non è deprecato dal popolo zingaro: sembra quasi che spregino chi li soccorre. Il metrò è un ambiente culturalmente elevato: per le tratte lunghe in ogni carrozza ci sono almeno cinque o sei persone che leggono libri non banali, filosofia e poesia in primis, ma anche musica. Edizioni Einaudi ed Adelphi prevalenti. Anche Feltrinelli, per qualche ragazza con le trecce.
Avevo appena iniziato a scorrere i titoli dell'Unità quando siamo giunti a Cadorna. Lì occorreva scendere e passare alla linea 2, sino alla stazione di Porta Genova. Questa è la quarta e penultima tratta del mio viaggio: la più breve, solo tre stazioni del metrò, verso una zona di Milano per me quasi sconosciuta, anche se contigua alla zona dei Navigli, nota a tutti. Ma di ciò poi.
A Porta Genova sono uscito da anfratti e meandri del metrò alla luce abbagliante del sole. Milano si avvia a diventare una città tropicale, come Giacarta o Bombay. Il giorno prima era piovuto tantissimo: ho ormai raccolto acqua piovana bastevole per i gerani di tutto il condominio; addirittura prima di partire per il viaggio ero incerto se prendere con me un golf di cotone, da indossare sulla camiciola, ovviamente da magut, azzurro stoviglia. E invece, in piazza di Porta Genova, tutti sudavano, compresi i tanti bambini. Si, è una zona con grande presenza di bambini, che è come dire che è una zona di extracomunitari, piena di bar-trattoria con fuori la lavagna con i prezzi. E mi sono sentito subito bene, benissimo. Poi ho capito perché: le tante passeggiate al Quartiere Latino fatte quando ero studente. Le lavagne, i bistrot, i tre menù diversi, le amicizie improvvise. Chi non c'è stato allora non conosce del tutto che cosa significa il piacere di essere vivo.
Ma sulla cartina, prima di partire da casa, non avevo guardato bene: credevo di essere a 300 metri dalla meta ed invece ero a due chilometri. Anche se ci sono le lavagne, non è bello camminare per chilometri alle 13,14 col sole cocente e la borsa in similpelle che ti si attacca alla mano. Per fortuna, ecco la darsena del Naviglio, le anatre e le oche: funzionano come le lavagne. Mi rassereno e mi accorgo delle cose. Perché le cose succedono, solo che non ce ne accorgiamo.
E finalmente, alle 13,27 ecco la meta: via Col di Lana numero 12. Si entra dal portone in un grande cortile su cui si affacciano una decina di condomini. Hai voglia, a trovare il seminterrato giusto! Perché in un seminterrato dovevo andare; finché un portinaio assai sgradevole mi ha indicato un foglio dentro una cartelletta trasparente attaccata con lo scotch al muro.
Giù per le scale, entro dall'unica porta: tre stanzoni disadorni con mobili spaiati; in fondo, due scrivanie affiancate a simularne una sola molto grande, tre personal computer, cinque donne con età variabile dai venti ai cinquanta, ed un portacenere - per fortuna. Le Girandole: questa è la sede fantasmagorica di una delle più note organizzazioni dei girotondini, quella in particolare che ha "fatto" il Palavobis. Facce appassionate e stanche. Dio, come possono essere belle le donne, quando non ci pensano proprio ad essere belle, quando hanno altro da fare che essere belle. Baudelaire l'aveva capito, centocinquant'anni fa.
Ho tirato fuori i miei 36 euro, ho avuto il mio tagliando per il treno speciale per Roma, ed abbiamo parlato un po'. Avevano avuto già mille prenotazioni, e gli ho detto che era il caso di pensare al secondo treno. Mi hanno risposto: "Aspettiamo che chi ha prenotato venga a pagare, non possiamo basarci solo sulle prenotazioni". Loro non me l'hanno detto, ma io lo so, perché non dormo all'umido: aiuto finanziario da parte dei partiti zero; aiuto organizzativo da parte dei partiti zero ( e questo sarebbe ancora più importante dei soldi).
Ognuno può pensarla come gli pare, ma se in questi giorni trovo qualcuno che mi blatera di radical-chic e di cachemire, lo prendo letteralmente a calci: noi magut, ogni tanto, possiamo anche venire a vie di fatto. A S.Giovanni, non più a piazza del Popolo, ci sarò, e passerò due notti in treno. Certo, potrei pagarmi l'aereo, ma persone così le trovo solo nei treni che viaggiano di notte.
Al ritorno, sentivo di meritarmi un premio. In via Col di Lana ho trovato un grande bar: toast, birra piccola e caffè. Di fronte al bar c'era la fermata del tram che portava alla stazione di Porta Genova. Ecco la quinta alternativa. L'ho scelta, felice di sceglierla.
7 settembre 2002 (rivisto per l'occasione)

Daumier: Interno di un vagone di prima classe

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