Prima di uscire dal palazzo Pepoli Campogrande ho detto ai custodi di procurarsi un po' di quelle comode sedie a sdraio - meglio ancora i lettini - delle spiagge romagnole: contemplare distesi gli affreschi dei soffitti sarebbe meglio. Lì per lì mi hanno guardato male, ma quando ho detto che loro potrebbero passare col il carrello delle bibite hanno cominciato a vedere la cosa da un altro punto di vista. Si annoiano, a stare lì fermi per delle ore, spero che ogni tanto abbiano una mezz'ora senza turisti, così si fanno una partita a carte.
Ed ora, verso San Domenico, previo una sosta su una panchina di Piazza Minghetti, a contemplare gli zampilli della piccola fontana; complice la giornata calda, l'acqua che scorre rialza il morale. In San Domenico, diritto verso l'Arca. La Cappella era abbastanza affollata da un gruppone di turisti a casa propria (pure loro) che un sabato si fanno San Petronio, l'altro sabato palazzo Re Enzo e così via; il più istruito, che in genere è quello che rompe di più, gli fa la spiega live, possono permettersi di non utilizzare il playback di quegli aggeggi infestanti che si vedono soprattutto alle mostre temporanee. Molto interessato, mi sono intruppato pure io, e sono stato immediatamente premiato: adesso so i nomi degli otto patroni di Bologna e so quale statua li raffigura, ad uno ad uno. Sant'Agricola può essere anche il ritratto di Giovanni II Bentivoglio – altra cosa che non sapevo – e San Vitale, che è lo schiavo di Sant'Agricola, è quel giovane con una specie di stivaloni arrotolati all'ingiù, che mi hanno fatto sempre pensare a Sivori, con i suoi calzettoni arrotolati a sfottere a forza di dribbling i terzini di allora. Ma attribuire nomi precisi alle statue dei quattro evangelisti, nisba, sono tutti vestiti in modo orientaleggiante, diceva il provvisorio cicerone. Bravo nel suo volontariato competente, solo che ha alzato gli occhi ed ha indicato la Gloria di San Domenico del Reni, lassù nella semicupola, ed è cominciata la solita solfa del sì… ma… Col Reni fanno sempre così, prima lo lodano poi lo ridimensionano, che è anche giusto, ma non di fronte al concerto di angioloni che avevamo sotto, pardon, sopra gli occhi. Se il Paradiso c'è, quella è l'orchestra che voglio, magari con un coro di angiolesse, da soprano di agilità a contralto, passando per soprano drammatico, lirico, leggero, mezzosoprano. Ah, mi convertirei volentieri, con un repertorio di Purcell, Bach, Haendel, anche Haydn toh! E qualche voce di basso profondo dalla cantina.
Ma torno all'Arca di Niccolò, su cui ho scritto un Bel Momento che mi è costato fatica e piacere, tanto. E' mirabolante la vegetazione verso l'alto della cimasa, dove si annidano due puttini vivacissimi. Si vede che Michelangelo, che aveva meno di vent'anni, era (lui!) intimidito dalla grandezza di Niccolò; lo si vede nei suoi due patroni, inferiori a quelli di Niccolò, meno liberi, più fermi. Ma nell'angelo porta-candelabro accetta, come è giusto, la sfida da pari a pari. Niccolò comincia quando finisce Donatello e finisce quando comincia Michelangelo. Molto, molto dopo ci saranno il Mochi e soprattutto il Bernini. La grande scultura italiana che conosciamo ed amiamo tanto meno della pittura, e non è giusto. Ce lo insegneranno i turisti colti che pian piano cominciano ad affollare Bologna, meravigliosa città d'arte.
Un buon giro da Feltrinelli sotto le due Torri, una delusione in San Martino – Amico Aspertini è in restauro – un chinotto, seduto nei pressi della stazione, 4 euro e 60, ladri! Ma li perdòno, dopo una giornata così.
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