317. Invidiare la felicità altrui è inutile: se anche potessimo ottenerla, non sapremmo poi come adoperarla.
318. Gide sosteneva che scrivere è come provare l'affanno di un tisico in un luogo senz'aria, o quello di un minatore che, intrappolato in una galleria, anela alla luce. Secondo lui scrivere è subire l'angoscia di un Plauto o quella di Sansone legato alla macina, o quella di Sisifo che rotola il masso.
Amando aria e luce, e rifuggendo l'angoscia, ho sempre seguito il suo consiglio: non scrivo e vivo senza ambasce.
Ma sono solidale: leggo (e molto) l'affanno, il buio e l'angoscia degli altri.
319. ...trovare la risposta a una domanda che nessuno mi ha posto.
320. Se ho ben capito, Cioran vorrebbe che io fossi ben più infelice di quanto sia e che la smettessi di essere così incosciente da mettere in atto ogni stratagemma per non essere così infelice come dovrei. Secondo lui è da pazzi ambire alla felicità, vista la certa delusione che ne consegue.
Forse ha ragione, ma la sola illusione (non dico la realizzazione) dell'eudaimonía ha il potere di una sostanza allucinogena: distoglie dal passato, non fa pensare al futuro e trasfigura il presente.
Non c'è nessun anestetico malinconico che regga il confronto.
321. La noia annoia solo i noiosi.
Da Akatalepsia
Nessun commento:
Posta un commento