All'inizio del romanzo, Olga Arbélina non è che un nome inciso su una pietra tombale in un piccolo cimitero parigino in cui sono sepolti russi fuggiti dalla Rivoluzione d'ottobre ed alle purghe staliniane. Un vecchio custode, anche lui russo, avvolto in un lungo e logoro vecchio cappotto militare, racconta ai visitatori del cimitero la loro storia.
Sotto quella lapide c'è la principessa Olga Arbélina, morta negli anni '60. Una bella donna nata all'inizio del Novecento. Fuggita ancora giovane alla rivoluzione sovietica e rifugiata assieme al figlio emofiliaco ed ancora piccolo in un paesino vicino Parigi, in una sonnolenta comunità di anziani esuli russi in cui solo le variazioni del cielo e delle stagioni costituiscono eventi significativi e dove la vita trascorre monotona.
Fino al giorno in cui un passante scopre sulla riva del fiume "nella quiete sonnolenta e campagnola" di una calda giornata estiva una scena assurda e raccapricciante: "un uomo dagli abiti inzuppati d'acqua, disteso sulla riva, con il cranio sfracellato, e una donna dai capelli scarmigliati e grondanti, dai seni nudi, una donna che sedeva immobile su una roccia, accanto all'uomo in agonia" (p.20)
Si tratta di un delitto oppure di un incidente? Al processo Olga non fa nulla per difendersi, al punto che il giudice istruttore -- il quale non crede si sia trattato di omicidio -- dice "E' la prima volta in vita mia che devo convincere una persona che non è stata lei ad uccidere" ed all'interprete, che perplesso gli chiede:"Ma non crede che attribuendosi questo delitto lei voglia tacerne un altro" il giudice risponde "Un assassino rompe una vetrina, lo confessa e, incarcerato, elude un omicidio. Ma non ci si fa carico di un omicidio per nascondere una vetrina rotta..." (p.33)
Olga viene assolta pienamente e poco dopo lascia il paese insieme al figlio. Di lei, gli abitanti di Villet-La -Forêt si disinteressano e non hanno più notizie. Comincia invece, per noi lettori, la discesa agli Inferi nella scoperta dell'inconfessabile delitto di cui Olga Arbélina si è resa colpevole, della straziante presa di coscienza della protagonista che dapprima intuisce, intravede, scopre concretamente, infine accetta -- se pure inorridita -- ciò che non può nemmeno essere pensato. Eppure, Olga deve trovare le parole per dirla, "questa cosa che non si lasciava nè pensare nè dire" Deve riuscire a "dire ciò che era proibito alle parole".
Fino ad una sera in cui "un pensiero la ferì con la sua verità dolorosa e bella. Se quanto stavano vivendo poteva chiamarsi amore, allora si trattava di un amore assoluto perchè colpito da un divieto inviolabile eppure violato, un amore visto solo da Dio perchè mostruosamente inconcepibile per gli uomini, un amore vissuto come l'eterno primo istante di un'altra vita..."
La grande bellezza di questo romanzo in cui la vita francese di Olga è spesso inframezzata da flash back della sua vita nella Russia pre-rivoluzionaria sta in questa lenta osservazione inframezzata da eventi dolorosi, nella descrizione di un tempo che passa ed allo stesso rimane immobile, nel comportamento da sonnambuli che Makine attribuisce ai suoi protagonisti, nella ineluttabilità allucinatoria in cui matura un "delitto" ("crime" nel titolo originale francese) ben più terribile di un omicidio...
Sono due le citazioni che Makine pone in epigrafe a questo bellissimo ma emotivamente molto impegnativo romanzo: la prima è da I fratelli Karamazov di Dostoevskij e dice: "Mia madre ha dovuto piegare Dio per me", depose l'accusato nell'inchiesta".
La seconda citazione è tratta da "Sentimenti filiali di un parricida" uno scritto di Proust -- importantissimo ma in genere noto più che altro agli "addetti ai lavori" --- che dice: "Che ne hai fatto di me? Che ne hai fatto di me? A volerci riflettere, non esiste forse una madre amorosa che non potrebbe, sul suo letto di morte, e spesso ancor prima, rimproverare così il figlio"
Di Makine, autore russo emigrato in Francia dove vive da anni e che ho scoperto da poco, avevo parlato parecchio quando ho scritto del suo La donna che aspettava
Con la lettura di questo Il delitto di Olga Arbélina Makine si conferma, ai miei occhi, un vero maestro nella creazione di particolari atmosfere, capace di evocare i mille aspetti che può assumere un paesaggio innevato, di trasmettere a chi legge il senso dei rumori misteriosi di una casa, il drammatico significato del banale cigolio di una porta, del rumore di passi che si fondono e si confondono con il sibilo dl vento.
La natura è molto presente, nei romanzi di Makine, ma non costituisce mai mero contesto e le sue descrizioni non sono mai fine a se stesse: gli elementi della natura sono utilizzati come codici e decodificatori linguistici del contenuto narrativo. Altrettanto importante il senso del tempo: in questo romanzo, come ne La donna che aspettava, il tempo sembra sospeso se non addirittura immobile. Come in Proust, è il tempo interiore dei suoi personaggi quello che conta, e non il tempo dei calendari.
Man mano che procedo nella conoscenza di questo autore scopro temi ricorrenti, analogie, elementi comuni tra i suoi libri. Per ora posso parlare, evidentemente, solo dei due che ho letto finora e tra le tante analogie sono rimasta colpita anche da un particolare apparentemente secondario: in entrambi i romanzi i personaggi più importanti indossano "un lungo, vecchio e logoro cappotto militare" che viene nominato talmente tante volte da assumere un robusto valore simbolico: vanno in giro con questo indumento (e le parole che Makine usa per descriverlo sono sempre le stesse) Vera, la protagonista di La donna che aspettava, il vecchio russo custode del cimitero, il figlio di Olga e il suo ex marito ne Il delitto di Olga Arbélina. Mi sono chiesta se questo cappotto non possa essere il simbolo del peso del tempo e del passato, del logoramento dell'anima dei personaggi, del loro tentativo di proteggersi indossando qualcosa fuori dal tempo. E della tragicità della guerra. Passata, ma i cui effetti sono, in entrambi i romanzi, sempre presenti. Chissà.
Andreï MAKINE, Il delitto di Olga Arbélina (tit. orig. Le crime d'Olga Arbélina), traduz. dal francese di Anna Zanetti, p.260, Passigli editore, 2000
Da NonSoloProust
2 commenti:
Grazie per aver inserito questo pezzo nel tuo non-blog. Sono contenta soprattutto perchè aiuta a far conoscere Makine, autore secondo me veramente notevole
Gabrilu, per una strana coincidenza mentre tu scrivevi questo commento io ero su NonSoloProust a leggere le novità del giorno. I tuoi consigli sono preziosi ed è bene farli circolare il più possibile. Come valore aggiunto c'è l' analisi interessante e mai banale che fai delle tue letture.
Un arricchimento per me e per chi dedica un po' del suo tempo anche a leggere il Nonblog. Sono io che ringrazio te.
Un caro saluto
habanera
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