Sono una "diarista" convinta (e questo blog ne è in qualche modo testimone). Amo anche (e soprattutto) i diari degli altri, perché mi danno l'impressione di entrare nella loro psicologia, di comprendere a fondo quello che in altre letture resta solo in superficie. Il diario che mi ha affascinato più di tutti è quello di André Gide, perché è la storia di uno spirito inquieto, ma anche la lezione di un maestro del gusto.
Forse nella letteratura italiana non abbiamo una grande tradizione diaristica. Se guardo all'800 penso a Niccolò Tommaseo, al suo "pecco, mi pento, ripecco". Il suo è un buon diario, non costruito "ad arte". Quello di Leopardi non si può definire "strictu sensu" un diario; troppo composito, poco incline al biografismo sincero (che invece è assai più deducibile dal suo epistolario). Per quanto riguarda il '900, invece, mi sono piaciuti molto i diari "morali" di Corrado Alvaro, scrittore che credo abbia scritto proprio fra quelle pagine le sue cose migliori. E poi c'è Tommaso Landolfi (ancora lui): i suoi diari sono solo in apparenza lavori "letterari", in realtà non fanno altro che denunciare una tragedia. Anche D'Annunzio (autore che non sta di solito in cima ai miei pensieri) ha scritto buone pagine di journal, a volte mi diletto a leggerle, anche con passione.
Ho visto il Nulla, e questo Nulla mi ha spinta a convincermi che molto (se non tutto) dipende da noi. Non siamo semplicemente "portati" dalla corrente di un fiume. Noi abbiamo in mano il timone e, se vogliamo usarlo, nessuno può impedirci di farlo.
Il vero diarista è colui che si trova in un'ansa del fiume, vede passare la grande corrente e prende nota. A me piace osservare in silenzio, ma descrivere con parole. Che siano scritte e non pronunciate vuol dire poco. Quel che conta è esprimersi. Penso in questo senso a Henri Frédéric Amiel che non ha fatto altro che dialogare con se stesso, nel suo intimo.
Nutro un certo disincanto per la frenesia dei giorni. Ripeto: non siamo portati, ma scegliamo di navigare. Quando sono sul punto di coricarmi mi capita spesso di ripensare alle mie stanze piene di libri, e mi chiedo che cosa dicono, che cosa resterà di tanta festa dell'ingegno. Accetto con tranquillità la possibilità che tutto questo possa un giorno scomparire. Di sicuro lo farà quando morirò, ma questo mi lascia del tutto indifferente. Peggio sarebbe se accadesse per i libri - e in vita - ciò che accade per certi amori, quando col passare del tempo non si ricorda più nulla, né il volto né il nome.
Scrivere dei libri nel mio diario (anche in questo diario) mi aiuta a non dover un giorno rimpiangere di aver dissipato, per distrazione, il mio vero patrimonio.
Qualcuno ha scritto che alla fine resta solo il bene che uno può fare.
Ecco, in questo senso io sento di averlo fatto.
Da Akatalepsia
3 commenti:
Ti ringrazio per la citazione e ti saluto caramente.
Clelia
Benvenuta, Clelia! sono arrivata a te dal blog di Solimano e da allora non ho più smesso di leggerti. Ti citerò ancora e lo farò sempre con immenso piacere.
Ricambio affettuosamnete il saluto.
habanera
Il blog di Clelia Mazzini è molto meglio delle pagine culturali dei "giornaloni" che compero: ci sono più notizie, più segnalazioni, e poi Clelia non fa le recensioni "con conflitto d'interessi" - è una bella cosa poter scegliere quello di cui parlare.
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