La prima volta che vai in un posto finisce sempre che vedi quello che devi vedere, obbligato, che tu lo voglia o no, dalle informazioni delle guide e dalle chiacchiere di chi c’è già stato. La seconda volta è meglio, perché torni a vedere quello che hai già visto in modo più consapevole e mirato, ma soprattutto perché sei tu a scegliere fra le altre cose che ti attendono. Così successe a Parigi a mia moglie e a me, la mattina che andammo al Museo Nissim de Camondo, che è vicino al Parc Monceau, la vera meta che ci eravamo proposti. “Già che andiamo lì, vediamoci anche questo museo di mobili”, pensavo, piuttosto riduttivo: la mia incompetenza era grande quanto il mio tollerante disdegno. Scoprimmo che il Nissim de Camondo è anche un museo di mobili, ma è soprattutto una casa che è stata abitata per decenni. Solo che in questa casa tutto, proprio tutto, è del ‘700: le posate e le stoviglie, i libri e i quadri, le porcellane, gli orologi, le oreficerie, oltre naturalmente ai mobili di ogni tipo: per il salone grande, le sale più piccole, le camere da letto ed i locali di servizio.
Di una casa ancora abitata ha l’aspetto e l’odore, probabilmente derivante dai tappeti, dalle tende, dagli arazzi, dai paraventi e parafuoco. Un odore di intimità confortevole, ma anche di sfarzo quotidiano, ci si aspetta di incontrare in un corridoio il padrone di casa - non il Camondo, ma l’uomo del ‘700 che non è mai esistito, visto che l’hotel particulier è stato edificato dall’architetto Sergent fra il 1911 ed il 1914. Quindi, in quella casa finta - che però esiste - sono affluiti tanti oggetti veri provenienti da case che probabilmente non ci sono più, e i legni, i libri, i tessuti - ma non solo - si sono portati dietro il loro odore particolare fondendolo infine nell’odore del Nissim de Camondo. I visitatori erano pochissimi, ogni pezzo era corredato da una piccola spiega che notavi solo se la cercavi: il risultato fu che ci stemmo due ore e pian piano mi sentivo come un uomo del ‘700, chissà perché bardato in un modo cosi sconveniente. Forse è nata lì, al Camondo, la mia passione per il ‘700: letture, musiche, quadri, modo di ragionare e di scrivere, persino cinema - per me il Barry Lyndon di Kubrick è uno dei più bei film, anche il Casanova di Federico Fellini. In qualche bacheca non vistosa c’erano le fotografie dei membri della famiglia Camondo, ma non ci badai, quasi distolsi lo sguardo verso i tanti capolavori di ogni genere, perché il Camondo non è solo coerente, né solo alto antiquariato, è stato costruito sotto la guida di grandi critici d’arte, lo si capisce oggi anche visitando il magnifico sito del museo.
Il non aver guardato le fotografie mi dispiacque all’uscita, quando lessi con attenzione ciò che era scritto sulla grande lapide fuori dal palazzo. Nissim de Camondo non ci ha mai abitato: morì, giovane pilota d’aereo, nel 1917, durante la prima guerra mondiale. E’ stato suo padre, Moise de Camondo, morto nel 1935, a volere che la sua casa divenisse proprietà pubblica col nome del figlio. C’era anche una figlia, Béatrice, esperta cavallerizza - tutti i giorni al Bois de Boulogne - che sposò Leon Reinach, ed ebbero due figli, Fanny e Bertrand, dopo il 1920. Tutti e quattro morirono durante la seconda guerra mondiale, ad Auschwitz. Così la famiglia Camondo si estinse. Quei pochi minuti di lettura fecero in modo che l’uomo del ‘700 che era in me ripiombasse nel ‘900, il secolo breve e crudele. Pian piano la passeggiata nel meraviglioso Parc Monceau mi tranquillizzò, ed è a questo giardino che la mia mente torna più volentieri oggi, anche perché lo collega, non so se a torto o a ragione, a un piccolo film del mio amato Rohmer, Les rendez-vous de Paris, ed ad un suo film ancora più piccolo, La boulangère de Monceau, che dura solo venti minuti.
3 commenti:
Se parli il Francese leggi : " Le dernier des Camondo" di Pierre Assouline.
Ciao Giancarlo
Ti ringrazio dell'informazione, lo leggerò volentieri.
saludos
Solimano
o , puoi anche leggere , " Fuck the Future " , il titolo è inglese ma il testo è in italiano , l'autore è Luigi Cerina
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