La Belle Epoque, non a caso chiamata così, ci trasporta immediatamente a Parigi, in particolare per le grandiose Esposizioni Universali che vi si tennero in quegli anni. Nel 1889, per celebrare il centenario della Rivoluzione, fu inaugurata la Tour Eiffel destinata a essere smantellata una volta terminata la manifestazione. Divenne invece simbolo della città ed è, ancora oggi, una pietra miliare dell'architettura contemporanea.
Il nome "epoca bella" è stato creato solo in seguito per sottolineare gli aspetti di particolare creatività, spensieratezza, serenità borghese e sicurezza che caratterizzarono quel periodo.
Si riferisce a una società cosmopolita e benestante che aveva il suo centro ideale in Francia ed era fiduciosamente convinta della durevolezza della propria condizione sociale.
Nessuno poteva immaginare che da lì a pochi anni la Prima guerra mondiale avrebbe distrutto inesorabilmente quelle certezze e quel diffuso senso di benessere.
I visitatori, che nell'esposizione del 1867 avevano potuto fare escursioni sulla Senna con i battelli a vapore, in quella del 1889 poterono ammirare il pallone aerostatico più grande del mondo (Le Géant costruito da Nadar) e la famosa torre, alta più di trecento metri, progettata da Eiffel.
In quegli anni nacquero il cabaret, il cancan, il cinema dei fratelli Lumière e molte nuove invenzioni che resero la vita più facile a tutti i ceti e livelli sociali. La scena culturale prosperava, e l'arte prendeva nuove forme con l'impressionismo e l'art nouveau.
Jean Béraud, celebre per le sue scene della vita quotidiana di Parigi, è considerato il più parigino dei pittori della Belle Epoque.
Nato a Pietroburgo, il 31 dicembre 1848, dopo la morte del padre, scultore, si trasferisce con la famiglia a Parigi dove conclude gli studi al Liceo Condorcet.
Seguendo il suo maestro Léon Bonnat, nel cui atelier ha fatto i primi studi artistici rimanendovi per due anni, inizia la carriera artistica come ritrattista. Presto però rivolge altrove la sua attenzione imitando Edouard Manet e Edgar Degas, dipingendo numerosissimi quadri che riflettono gli aspetti più diversi della società francese durante la Terza Repubblica.
I caffè, principali luoghi di incontro, ed i teatri, sono dipinti con la cura meticolosa di uno studioso che vuole documentare tutti gli aspetti di una società.
Mentre i suoi contemporanei Impressionisti si spostavano nel paese per studiare gli effetti della luce sui paesaggi, Jean Beraud rimase sempre a Parigi.
Dipinge i parigini che, vestiti alla moda, trascorrono i loro pomeriggi nel parco, o ad ammirare le vetrine ed a farsi ammirare.
Viene ammesso al Salon per la prima volta nel 1872 e nel 1894, a riconoscimento del suo lavoro artistico, ha ricevuto le insegne di Cavaliere della Legion d'Onore.
Nel febbraio del 1897 fu uno dei due testimoni nel duello di Proust con Jean Lorrain, causato da un articolo scritto dal giornalista in occasione della pubblicazione de Les Plaisirs et les Jours e da Proust giudicato ingiurioso.
Jean Beraud, il più parigino degli Impressionisti, muore a Parigi il 4 ottobre 1935 ed è sepolto nel Cimitero di Montparnasse.
(Le informazioni sulla biografia di Jean Béraud sono tratte dal sito Settemuse)
Per i nostalgici della Belle Epoque ed in particolare per gli appassionati di Proust, massimo interprete di quel periodo, segnalo un interessantissimo libro dello storico inglese Richard Davenport-Hines: Una notte al Majestic (Proust e la Cena Modernista del 1922) che ha il dono di trasportarci, invisibili, accanto a Marcel Proust, durante una memorabile cena in uno dei più grandi hotel di Parigi.
Ne parla, mirabilmente, Paola Cerana, in questo imperdibile articolo.
9 commenti:
Che bello. tornare qua è vedere che c'è anora una porta aperta. Adesso non posso leggere con calma, ma tornerò: intanto mi sono goduta le nellissime immagine.
Grazie, Habanera, per sesserci.
Un abbraccio
Le sorprese non finiscono mai: il Nonblog prosegue con un bel post robusto. Meglio così, Habanera.
saluti
Solimano
Cara Haba, questo è davvero un gran regalo: ho letto e gustato parole e immagini, così in armonia fra loro da diventare un unico racconto (deliziosamente elegante la modista che non vuole imbrattare l'orlo dell'abito...).
E', questo, l'invito a un banchetto: verrebbe voglia di portare un ratafià, per rallentare il commiato da questa Parigi che resta negli occhi...
Grazie:)
Come avere un bel vestitino nuovo, le scarpette giuste, l'amica cortese con cui fare due chiacchiere, stare seduta al Bar-Caffè preferito, ordinare una tazza di ciccolato caldo coi pasticcini, guardarsi attorno e vedere solo cose belle e armoniose, sentire nell'aria profumi corposi e dolci e concedersi il lusso di non pensare a niente. Anche per due secondi.
Questo post mi ha dato queste sensazioni, mi ha proiettata in un'altra epoca, in un'altra città, dimensione, stato d'animo.
E poi ci sono pubblicati quadri strepitosi. Un post delizioso da gustare come un pasticcino francese.
Grazie cara:)
Ricomincio da... me
La porta è di nuovo aperta anche se, a guardare bene, non ci siamo allontanati troppo dalla Patisserie Cloppe in cui ci eravamo lasciati.
L'autore del dipinto è sempre lui, Jean Béraud, e siamo ancora a Parigi.
Ma questo mese non è passato invano.
Avevo scritto: "non escludo che fra qualche tempo possa venirmi ancora voglia di aprire le finestre, cambiare l'aria, fare entrare il sole e magari pubblicare qualcosa. "
Per farlo dovevo ritrovare quello slancio che credevo di aver perduto, sentirmi di nuovo in armonia con me stessa e con il mio blog, capire cosa voleve farne ed in che modo.
Adesso sono abbastanza sicura di saperlo, almeno negli aspetti fondamentali. Nel futuro di questo blog non ci sarà più niente di programmato, nessuna tabellina di marcia da rispettare. Ormai posso anche confessarlo. Invidiavo la libertà di chi può fare quello che vuole del suo blog: sospenderlo, cambiare a suo piacimento il template, andarsene in vacanza, riprenderlo, chiuderlo (per poi magari riaprirlo) senza essere costretto a renderne conto anche ad altri.
Ho deciso di seguire il consiglio di un'amica che ha saputo leggermi dentro con incredibile lucidità e mi ha scritto: "E proseguire il nonblog in assoluta libertà, postare se vuoi, chiudere per ferie o altro in una distensione autentica di tempi e modi? Che ne dici?"
Ne dico che hai ragione e ti ringrazio.
E' proprio quello che volevo fare e che farò.
Non mi piace dover chiudere le porte e tantomeno mi piacciono le prigioni.
Mi piace invece, e tanto, essere ancora qui e poterci restare liberamente insieme a voi.
Un grazie veramente di cuore a tutti, anche a chi mi ha scritto in privato in questi giorni.
I segnali di affetto e di amicizia arrivano in mille modi ed io non ne dimentico nessuno.
Prima di allontanarmi da qui per qualche giorno (sono di nuovo in partenza per Parigi) spero di riuscire a rispondere a tutte le vostre mail.
Un abbraccio particolare a Giulia, Zena e Silvia che, come me, amano questi momenti di serenità e di armonia che non hanno altro scopo se non quello di ossigenare i pensieri per affrontare con maggiore forza la vita.
H.
Sono felice anch'io del tuo ritorno, ciao Habanera.
Eccomi di ritorno da Parigi.
Amfortas, leggo solo ora il tuo commento. Il Nonblog andrà avanti un po' a rilento, secondo la disponibilità di tempo e le mie priorità, ma la porta rimane aperta.
Ciao e grazie
H.
Allora ben tornata:)
Tu lo sai che i ritorni (e per di più a porte aperte) mi piacciono tanto.
Zena, lasciare Parigi è sempre uno strappo al cuore ma il tuo ben tornata rende più dolce il ritorno alla vita quotidiana.
Un bacio
H.
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