martedì 22 settembre 2009

Scampoli d'infanzia

Sandra Mastore
(ginni)


Alla fine sì.
Avrebbe organizzato lei la festicciola di Halloween per la figlia e le amiche.
Difficile trovare qualcosa di interessante per intrattenerle:
a dodici anni tutto va in obsolescenza con rapidità impressionante, ciò che solo ieri era divertimento assicurato oggi poteva essere fonte di noia senza rimedio.
Ma non voleva perdere l’occasione, pochi mesi potevano rappresentare un’era geologica a quest’età: gli scampoli d’infanzia andavano assecondati e goduti. Presto sarebbero stati soppiantati da brufoli, mugugni e porte chiuse.

Tutt’altro che semplice l’impresa in sé, ma addirittura titanico parlarne con sua madre, nonché nonna dell’interessata, per chiederle l’uso, diciamo dalle diciotto alle ventidue e trenta, della parte meno nobile della casa.
Nella notte dei suoi tempi, sua madre era stata ribattezzata “Odoacre” da un compagno di scuola, allibito da regole e veti di stampo quasi militare che la signora aveva stabilito per i giovani che avrebbero avuto l’ardire di frequentare la magione.
Il tempo qualcosa stempera, si sa. Con i nipoti, i nonni possono essere più morbidi…


Ma Odoacre era pur sempre Odoacre: occorreva muoversi con cauto machiavellismo, alla fine avrebbe capitolato.
Infatti. A suo carico tutta l’organizzazione e la seguente pulizia, naturalmente. Prendere o lasciare.
Prendere: Odoacre avrebbe liberato il campo andando da Teresita per la partita di burraco che si giocava, con bisettimanale rigore, da lei.

Si era procurata ghirlande di pipistrelli e ragnatele, per caricare un’atmosfera già inequivocabile che partiva dalle scale fino alla taverna e al cosiddetto “cantinino”, giù giù fino alla porta della cantina vera e propria che fungeva anche da autorimessa. Enorme e disseminata di pilastri com’era, sarebbe stata perfetta per il percorso al buio da proporre alle ragazze.
A coppie, una munita di pila per fendere l’oscurità pressoché completa, avrebbe guidato l’altra, bendata, dalla taverna fino all’uscita dalla saracinesca della cantina. Una volta risalito lo scivolo, non molto ripido, sarebbero state davanti a una fantasia di zucche illuminate, rumori mostruosi da uno stereo nascosto, ali di pipistrello abilmente collocate tra i rami degli alberi e teschi, teschi e scheletri ovunque.


Qualcosa di memorabile, le aveva chiesto sua figlia.
Bene. Più di così non poteva fare. E trovare.
Metri di similraso nero, chili di zucche da svuotare, cibarie in tema. Sperava in un risultato abbastanza memorabile per un addio all’infanzia.
Comunque, da madre assennata, avrebbe dovuto provare lei per prima questo percorso, al buio della benda.
Aveva sempre pensato di poter scendere e salire ad occhi chiusi, tranquillamente, quelle scale della sua casa di figlia.
Si bendò con una delle fasce di finto raso e affrontò disinvolta i primi gradini, proponendosi come prima tappa la taverna, dove le ragazze si sarebbero intrattenute all’inizio della festa.


Procedeva con le braccia in fuori così da poter toccare entrambi i muri laterali. Sotto le dita l’intonaco cambiava texture rapidamente: levigato poi più ruvido, secondo la velocità di marcia del polpastrello, ora zigrinato poi ancora liscio. Uno spigolo della nicchia ricavata nel muro - era già lì!- le solleticò un palmo, sotto le dita il freddo del ripiano di vetro vellutato dalla polvere. Qualcosa si sbriciolò crepitando: doveva aver spostato una composizione di fiori secchi. Già, dimenticava il gusto “decor” di sua madre…
Ne sfiorò i corpi aguzzi, arrotondati o seghettati, più in basso conici, forse erano pigne.
Continuò a scendere più lentamente, finché la falcata arrotondata e piena fu decisamente arrestata dalla scarpa contro il pavimento: era al pianerottolo. Saliva un lieve odore di muffa. Dopo la seconda rampa si trovò a premere il corrimano freddo e oleoso. Odore di officina sulla mano. Ecco il calore del legno della porta della taverna, una volta aperta le rimandò la tipica zaffata da ambiente chiuso e protetto. Non la sentiva quando ci entrava con i suoi amici, tanti anni prima. Ma ora la riconobbe: era l’odore dei suoi ricordi.
Da qui sarebbero partite le ragazze.


Superato il “cantinino”, il tanfo di sotterraneo cominciò a ispessirsi. Doveva essersi graffiata il dorso della mano, sulla lingua lo stesso “dolciacquoso” delle antichissime sbucciature dei ginocchi. I ricordi l’avevano distratta: era GIĂ davanti alla porta della cantina. Aprendola, sorrise al vecchio cigolio metallico. Niente le impediva di togliersi la benda, ma ora la strada sarebbe stata tutta in piano: diritta per una trentina di metri fino alla saracinesca ed era fatta. Percepiva il buio più denso. Strano, persisteva “l’aspro odor dei vini”, sebbene suo padre non ci fosse più da qualche anno. Evidentemente l’ambiente ne era rimasto impregnato Ma non le rallegrava l’anima. Cercò, a tastoni, un indizio che la aiutasse ad orientarsi, agitandosi a vuoto. Poi cominciò a temere lo scontro con uno dei pilastri. Era bagnato per terra? Il pavimento, a tratti, le era sembrato addirittura viscido, ma la paura di scivolare non era mai stata un suo problema. Toccò qualcosa che somigliava a grossi spaghetti freddi e si ritrasse.
Ascoltava i soliti rumori che si sentono nelle case di notte.
A proposito di rumori, ricordò che a destra della saracinesca si trovava un rubinetto: avrebbe potuto farsi guidare dal suo gocciolio. Niente. Il fido idraulico Pietro doveva averci messo mano. Non c’èra neanche un sibilo di vento per far sbatacchiare il finestrino in alto, da fuori arriva il guaito di un cane. Impossibile che i pilastri si fossero volatilizzati.
In preda a uno stordimento esasperante si strappò la benda.

Il senso dell’orientamento l’aveva abbandonata: non aveva fatto altro che girare in tondo a poca distanza dall’ingresso della cantina. Si era insabbiata proprio lì, dove pensava che ormai fosse facile arrivare all’uscita.


6 commenti:

Solimano ha detto...

Ginni, in questi giorni sono privo di PC, e il riparatore non ci ha messo ancora su le mani. Sto incrociando le dita, e commenterò più distesamente fra qualche giorno, quando tornerò nel pieno possesso delle mie... facoltà informatiche.
Per il momento ti dico solo questo:
1. Ebbi una seria crisi di identità quando ci trasferimmo da Bologna a Parma. Mi toccò di passare dalla Befana a Santa Lucia (preferivo la Befana).
2. Tuttora, se mi sveglio di notte e cammino al buio, vado a finire nell'armadio quattro stagioni o sbatto contro il comò.
3. Il tuo brano è disseminato di trappole gradevolissime (linguistiche, semantiche, di sentimento). Va letto e riletto adagio, sennò superi balzellon balzelloni una trappola e caschi nella successiva.
Ne riparleremo.

Per ora, complimenti e grazie, Ginni
Solimano

Solimano ha detto...

Poiché non ho avuto figlie, ho imparato solo molto tardi come si esercitano quotidianamante due aspetti strettamente collegati fra loro: la conflittualità e la solidarietà femminile all'interno del nucleo familiare.
Parlo di solidarietà e non di amore perché trovo che sia una parola meno ambigua: la solidarietà la si tocca, l'amore spesso si dice o si festeggia ricorrenza per ricorrenza.
Una mia amica, ancor oggi, mi dice che quando va a trovare sua madre non può fare a meno di passare prima dalla parrucchiera.
E la porta chiusa, perché la porta chiusa? I litigi fra padre e figlia spesso si concludono con la figlia che va in camera sua sbattendo la porta. E' un modo inconscio di dire al padre che dormono in camere diverse.
Ci sono due tipi di solidarietà, quella iuxta propria principia perché si è veramente solidali per fatti concreti: parti, lutti ad esempio.
Esiste anche un altro tipo di solidarietà, quella di gruppo contro gruppo. Si è solidali contro, non per: madri contro figlie, sorelle contro sorelle.
La differenza di modalità di manifestazione nei rapporti quotidiani delle tensioni inevitabili che la vita presenta non finisce di stupirmi: partendo da dati di partenza simili, il modo di manifestare è diversissimo fra maschi e femmine. Non è che un modo sia meglio dell'altro, sono semplicemente diversi, e come tali vanno compresi: la gentilezza femminile può essere ipocrita, la schiettezza maschile può essere aggressiva. Il discernimento non finisce mai e il frequente contatto fra i due sessi aiuta: guai alle donne che stanno sempre fra donne e agli uomini che stanno sempre fra uomini!

grazie Ginni e saluti
Solimano

Habanera ha detto...

Ginni, per prima cosa grazie per aver condiviso con noi questo tuo scritto.
Risponderò domani in pv alla tua mail ma ora vorrei chiederti una cosa.
Quanto c'è di autobiografico in quello che scrivi?
E' una domanda che mi faccio spesso quando leggo cose coinvolgenti come quelle che sai scrivere tu.
Da dove parte l'ispirazione? Cos'è che fa scattare il meccanismo che porta a così felici risultati?
La mia è semplice curiosità di lettrice perchè di scrivere, come tutti sanno, non mi passa manco per la capa.
Da lettrice pura leggo i vostri scritti con passione e senza ombra di invidia, cosa che mi permette di goderne a 360 gradi ed anche di essere selettiva, proprio perchè non c'è competizione.
Chi ha il dono della scrittura (e tu ce l'hai!) è bene che lo usi a beneficio degli altri. Chi questo dono non ce l'ha sappia trarre il massimo godimento dalla lettura di cose che vale davvero la pena di leggere.
E' lo spessore umano di chi scrive a fare la differenza, unito alla sublime capacità di usare le parole per riuscire a trasmetterlo anche agli altri.

Ho detto che non sono invidiosa? Davvero l'ho detto? :)

Un abbraccio
H.

remo bassini ha detto...

è brava sandra, già.
un saluto

Anonimo ha detto...

In Odoacre mi è sembrato di vedere la mia mamma, nonna do didiversi nipoti che, però, si è addolcita molto con i nipoti.E mi hai anche ricordato il "seminterrato" dove ci si poteva sentire "più liberi".
In quanto ad atmosfere di "paura", mio fratello era bravissimo anche nella quotidianità, riesce a calamitare i bambini con storie terribili, ma molto affascinanti. Ora che è nonno si è un po' ammorbidito, ma ai miei tempi avevo il terrore di rimanere in casa solo con lui.
Il percorso che descrivi al buio è bellissimo e sembra di camminare al buio davvero. Io comunque avrei perso l'orientamento molto prima.

E' davvero bellissimo questo racconto.
Grazie

Anonimo ha detto...

Condivido tutto, Solimano, per ciò che riguarda la solidarietà-conflittualità femminile in famiglia, così sfumata e fluida da perderci la testa. La porta chiusa, invece, trovo possa essere riservata anche alla madre, se non soprattutto alla madre, in una certa fase. Quando è vigile, ad esempio, sul percorso della femminilità che sboccia, contrappone modelli e consigli non richiesti, segue con muta critica prove ed errori del germoglio. Grazie per le caratteristiche che hai generosamente ravvisato in questo scritto.
Sai Habanera, ho messo insieme più d'una cantina fra quelle che conosco. L'ispirazione è scaturita dal limbo di uno stato d'animo: la taverna (della casa di B.) che frequentavo con i miei amici, da ragazza,è stata riportata agli antichi splendori un paio d'anni fa, per un'occasione speciale. Per una sola sera. Tendevo a fare la lista delle persone che mancavano più che sorridere ai presenti. Ma pensavo anche (con soddisfazione) al sorriso dei nostri figli adolescenti, più smagliante di quello che fu il nostro. Un senso di futuro remoto che mi divideva in due.
Grazie per le tue parole di apprezzamento, che non merito completamente.
Ciao Remo, grazie.
Giulia, tra i miei genitori chi si avvicina a Odoacre non è certo mia madre. Forse anch'io mi sarei arresa molto prima in quel percorso al buio! Grazie.
Sandra